Spie e zie
- Autore: Siegmund Ginzberg
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2015
Nel volume “Spie e zie” (Bompiani 2015) di Siegmund Ginzberg, lo scrittore/giornalista, nato a Istanbul nel 1948, per anni corrispondente e inviato per L’Unità, racconta la storia della propria famiglia, ebrei emigrati nei primi anni del Novecento dalla Romania alla Turchia, attraverso le alterne vicende di cinque fratelli, tre maschi e due femmine.
È una fotografia in bianco e nero che raffigura un’elegante coppia vestita da sera in procinto di recarsi a una soirée, la raffinata cover di un libro che non è
“propriamente un romanzo, e nemmeno un saggio. Non è un libro di storia, ma di storie, frammenti di storie orecchiate in famiglia intrecciate a storie e luoghi del Novecento”
Il volume narra “di bambini e di ricordi di quando ero bambino”, ma non è un’autobiografia. Forse qualche vecchia immagine fotografica sarebbe in grado di dare la giusta ambientazione ai ricordi che vengono evocati. Ecco allora uno scatto, anzi “una foto di famiglia color seppia”, l’unica immagine che ritrae il nonno paterno di Ginzberg e risale agli inizi del Novecento, stampata su un foglio di cartone spesso, con gli angoli smangiati, qualche graffio e “qualche accenno di piega”. Il patriarca si trova all’estrema sinistra, un uomo ancora prestante, alto e asciutto, in giacca e cravatta, con capelli e baffi bianchi, il suo nome era Siegmund e faceva l’avvocato o almeno lo fece finché le nuove leggi della Romania di fine Ottocento proibirono l’esercizio della professione agli ebrei. Ai tempi di Siegmund Ginzberg, già c’erano stati molti esodi, compresa l’epopea dei “fusgeyer”, “i camminatori”, uomini, donne e bambini che partivano in primavera per giungere a destinazione prima dell’inverno. A decine di migliaia attraversavano a piedi il paese in lunghe colonne fino alle frontiere con Austria e Ungheria, per poi continuare, sempre a piedi, verso Vienna e Praga, e attraverso la Germania fino a raggiungere un porto qualsiasi, dove imbarcarsi per l’America. Si accampavano per strada, nel fango, nei campi e nelle foreste, rispettando quando possibile il sabato e recitando il kadish per i propri morti seppelliti lungo la via. Continuarono a partire e camminare per migliaia di chilometri, fino allo scoppio della I Guerra Mondiale. I “camminatori”, non volevano fermarsi in Europa, perché le loro mete erano gli Stati Uniti, il Canada o l’America del Sud. Se veniva sbarrata una via, i “camminatori” ne tentavano un’altra. Del resto
“dirigersi in Russia anziché verso l’Europa sarebbe stato passare dalla padella nella brace: lì c’erano regolarmente i pogrom”
Restava quindi l’Impero ottomano che riconosceva la cittadinanza agli ebrei residenti nei territori che erano stati sotto dominio turco fino a fine Settecento. In molte migliaia si trasferirono in Palestina o in Anatolia negli insediamenti concessi loro dal sultano. Siegmund Ginzberg riuscì a raggiungere Costantinopoli con la sua famiglia e lì si fermò. Nella fotografia Nonno Siegmund poggia la mano su una sedia sulla quale è seduta nonna Regina, nata a Corfù e di cognome Gezelter, vestita di scuro, “maestosa come il suo nome”. Dei cinque figli di Siegmund e Regina, Bernard, Perla, Paul (padre dell’autore), Dolceta, Benjamin, dal nome biblico, non appare nell’immagine, perché nato poco dopo la scomparsa del padre cinquantenne.
“Non riesco più a trovare quella foto con mio nonno. L’ho cercata disperatamente, per anni, rovistando in tutte le cartellette, sfogliando tutti i libri che avrebbero potuto contenerla, ma senza esito. Deve essersi persa in uno dei molti traslochi, probabilmente durante quello da Pechino a New York. Anche questa è una delle ragioni, una delle tante, per cui odio i traslochi”
Quando l’autore era bambino il padre gli raccontava delle storie ma in un modo tutto particolare. Prima Paul Ginzberg cominciava con una fiaba, poi sul più bello del racconto ne inseriva un’altra, la trama di un film. Poi ne inseriva un’altra ancora e nel bel mezzo di questa, un episodio della sua vita. E così via. Rubando quest’originale idea di narrazione al padre, l’autore racconta la storia del proprio genitore e degli zii paterni, i quali lasciarono la Turchia per gettarsi nel “mare magnum” delle strade infinite del mondo. Al lettore il compito di scoprire le tante avventure di “spie e zie”, di chi si trova e di chi si perde, per sempre.
“Di quello che sto per raccontarvi non ho molte pezze d’appoggio. Non ci sono documenti. Non ci sono lettere, carteggi, diari dei protagonisti. Era gente non abituata a raccontare dei fatti propri, forse neanche a se stessi, figurarsi agli estranei. Inutile che mi chiediate quale parte del racconto che sto per narrarvi sia verità e quale finzione. Non potrei farlo nemmeno se volessi. Non sono più in grado di distinguere nemmeno io”
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