Tra le macerie
- Autore: Davide D’Urso
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
Una discesa a spirale in una città che ferisce a morte, attraverso lo sguardo affilato di un uomo condannato ad inseguire il sogno dal quale è stato scelto. In questo suo ultimo lavoro, Davide D’Urso più che degli attrezzi del mestiere di uno scrittore sembra essersi servito di quelli di un minatore e così, dopo aver demolito ogni immagine da cartolina della città di ‘O Sole, ‘O Mare, ‘A pizza e ‘O Mandolino, inizia a picconare e ad aprire squarci nei meandri di una Napoli che sembra fuoriuscita da una delle notti più cupe di Mimmo Borrelli: un vulcanico grido di dolore e rabbia si abbatterà come un angelo sterminatore su di una realtà malevola e dissociata.
Partendo dalle strade dei ricchi, giù fino ai quartieri, per poi estendersi a macchia d’olio verso la periferia, lo sguardo dello scrittore si posa implacabile su mondi talmente lontani tra loro che sembrano appartenere a galassie diverse, evidenziandone tuttavia una costante: ovunque si possono avvertire i miasmi di un’umanità putrescente e dannata. Nel descrivere questo frattale storico di umanità nel quale siamo tutti immersi fino al collo, D’Urso si sforza di mantenere sempre una lucida e distaccata obiettività, riuscendo così ad alternare toni apocalittici con una più morbida ironia partenopea ‘in agrodolce’.
Tra le macerie, questo è il titolo del romanzo, è la storia in prima persona di Marco Moraldo, un ragazzo che non può sottrarsi all’ingrata missione della scrittura. Non è uno sprovveduto, anzi, e sa bene che di questi tempi e soprattutto nella sua città, una scelta del genere è l’anticamera di una vita di stenti e miseria. Ma certe strade non si scelgono, sono loro che mentre ti impegni diligentemente a percorrere la via degli ‘sbocchi-professionali-seri’ ti prendono alle spalle persuadendoti a seguirle verso il paese dei balocchi.
Dato che l’opzione “scrivere per vivere” di questi tempi non è contemplata, Marco tenterà di prodigarsi per salvare ‘capra e cavoli’, ovvero coltivare il sogno di un aspirante scrittore e sopravvivere accomodandosi in qualche angolino senza pretese all’interno della società del lavoro. La ricerca di questo funambolico equilibrio tra ‘il lavorare per scrivere’ e ‘lo scrivere per non morire’ sfocia inevitabilmente nel delta del precariato, ma non un precariato qualsiasi, si entra infatti nel cuore pulsante di questo vampiro mai sazio di sangue giovane, quello “dallo stipendio più micragnoso, dai turni più assurdi... per farla breve, un call center”.
Poi, i primi passi nel mondo dell’editoria che da lontano, come il canto di una sirena, emana baluginii di promesse di fama e opulenza, ma che a ben guardare mostrerà un volto non troppo dissimile da quello dei call center.
Ma Marco Moraldo ci sa fare con le parole, e non c’è dubbio che questa qualità l’abbia assunta direttamente dall’inchiostro del suo autore, del quale potrebbe anche esserne l’alter ego, e su questa consapevolezza baserà la sua resistenza ad un sistema che non sembra volerne tanto sapere della sua narrativa di indubbia qualità ma, proprio per questo, poco smerciabile. Il sistema ha fame di intrattenimento a impegno zero, bei grossi Gialli con cui sfamare i palati meno sottili.
E a proposito di libro Giallo, non passa inosservato che ad ogni evocazione di questo genere letterario, l’autore manifesti una reazione tutto simile a quella che il nome Frau Bluncher suscita negli oscuri cavalli in Frankenstein Junior. Dall’iniziale citazione del monito di Bianciardi al corretto uso della grammatica “...scrivere qual senza apostrofo, tranne che nei libri gialli, nei quali si può anche mettere l’apostrofo, perché tanto il lettore bada solo alla trama”, fino alle ultime pagine del libro, il Giallo viene considerato un purulento untore lebbroso che si aggira senza campanello all’interno dell’editoria. Le ragioni di questo riflesso pavloviano ‘lievemente’ fazioso emergeranno in tutta la loro evidenza nel corso del romanzo, ma probabilmente non basterà a salvarlo da una reazione dei Giallisti, tipo chiamata-alle-armi-in-nome-di-Poe-e-con-la-benedizione-di-Eco.
Ma anche le pulsioni più insane possono avere risvolti positivi, e così il tentativo di D’Urso di mettere a confronto diversi generi letterari (tra cui il Giallo) ricorrendo ad un vero e proprio esempio dimostrativo, riesce a far emergere una metamorfica capacità narrativa davvero notevole e che oltrepassa i confini del genere letterario per contagiare anche la gergalità: dall’italiano più colto e ricercato, passa al vernacolare e poi al linguaggio adolescenziale filo american-tv, “se capite cosa intendo”, ogni volta cambiando ritmo, velocità e perfino la voce che parla nell’orecchio del lettore, che a volte è Gassman, altre Troisi e sul finale pare di ascoltare Humphrey Bogart.
Dicono che un libro funzioni davvero solo se dopo averlo letto almeno una piccola parte del lettore ne esca, in qualche modo, trasformata. Ebbene, una cosa è certa dopo questo romanzo non sarà più tanto semplice riattaccare la cornetta in faccia agli operatori telefonici che molestano la quotidianità. L’aver dato un nome, un volto e soprattutto un’anima ad una delle voci che intasano le nostre linee telefoniche, complicherà parecchio le cose con un barlume di consapevole empatia che generalmente riserviamo agli amici più cari.
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