Tutti i morti volano in alto
- Autore: Joachim Meyerhoff
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2019
Joachim Meyerhoff è un noto autore e attore di teatro tedesco, nonché uno degli scrittori contemporanei più affermati. Ha infatti suo attivo una “serie” di quattro romanzi di grande successo, due dei quali sono stati pubblicati in Italia da Marsilio: dopo "Quando tutto tornerà ad essere come non è mai stato", lo scorso gennaio è uscito "Tutti i morti volano in alto":
A diciotto anni andai in America per un anno. Ancora oggi racconto spesso di aver avuto una borsa di studio per la pallacanestro, ma non è vero. Sono stati i miei nonni a pagare lo scambio.
Da Hesterberg nello Schleswig-Holstein, la cittadina nel nord della Germania dove la sua famiglia – padre medico, madre, due fratelli maggiori e il cane – si è trasferita quando aveva tre anni, Joachim sta andando in treno ad Amburgo: a scuola ha avuto un giorno libero per partecipare a una selezione che decreterà la sua idoneità a trascorrere un anno negli Stati Uniti. I nonni hanno sborsato una quantità di denaro per finanziare questo soggiorno tanto desiderato, che gli permetterà di andarsene molto lontano, di lasciarsi alle spalle alcune cose che sono “successe”.
Il tempo trascorso sul treno gli permette di rievocare una serie di ricordi ed esilaranti episodi di vita vissuta nella sua infanzia. Come quando, inginocchiato sul marciapiede mentre cercava di disegnare una mucca, un uomo lo aveva afferrato alla caviglia e al polso e lo aveva scaraventato nell’orto di persone sconosciute; oppure quando, in seconda elementare, in gita con la scuola ad Amburgo, a un parco-giochi, non era riuscito a scendere nel vortice di uno scivolo gigantesco a causa dei pantaloni in pelle che amava tanto, ornati di bretelle e corna di cervo, che quella mattina si era scelto senza pensarci troppo. Dietro di lui si era ammassata un’orda di minorenni ringhianti, uno addosso all’altro, che aveva intasato la struttura.
Giunto ad Amburgo, nella sede dell’organizzazione dello scambio, durante il colloquio per la selezione, è dolorosamente consapevole delle evidenti differenze con la gioventù locale, urbana e cosmopolita: il taglio di capelli, gli abiti, persino per il modo di parlare e di rispondere “presente” all’appello. In breve, per la sicurezza che viene ostentata, pari solo all’indifferenza nei suoi confronti.
Joachim spera che questo viaggio diventi una rottura totale col passato e una fuga dal presente: è in questo momento che capisce che, se vuole avere una possibilità di essere scelto, deve fare di tutto per farsi assegnare una famiglia in provincia, rispondendo al questionario in modo non del tutto sincero, anzi, calcolato.
Il ritratto che ne esce è quello di:
Uno che sta volentieri in provincia a dormire in una stanza a più letti, molto credente e che è già stato in Texas quando aveva cinque anni! E con grande sorpresa della sua famiglia ospitante si scopre che non parla una parola d’inglese e di notte muore nel suo letto per un attacco d’asma.
Tre settimane dopo, la risposta positiva per l’America, insieme al numero di conto sul quale i suoi genitori, o meglio, i suoi nonni, devono accreditare il denaro.
Il suo nuovo indirizzo sarà a Laramie, nel Wyoming: sull’atlante questo stato appare quasi totalmente privo di strade, un quadrato deserto color ocra che copre l’intera pagina, con un po’ di verde in alto a sinistra. Laramie non è neppure la città più grande, ma propone una buona offerta universitaria e sportiva che potrebbe permettergli di entrare nella squadra di pallacanestro. Quando mostra la fotografia della famiglia ospitante – padre, madre e tre figli maschi –, i genitori di Joachim hanno un momento di mancamento, mentre i fratelli non hanno pietà: il padre, Stan, sembra un predicatore perverso, la madre, Hazel, una che soffre di stitichezza e il figlio minore, Donald, un malvagio psicopatico.
Ma per un adolescente che desidera più di ogni altra cosa un nuovo inizio, lontano e da solo, la sconfinata provincia americana della metà degli anni ottanta, affacciata sulle Montagne Rocciose, pur con le sue stranezze e contraddizioni, con i suoi ritmi lenti, il silenzio e le distanze quasi incalcolabili, diventa per lui un vero e proprio rifugio.
Comincia dunque il racconto, a suo modo straordinario, della crescita, del cambiamento che Joachim subisce in questo nuovo contesto, così diverso da quello borghese e rumoroso della cittadina tedesca in cui vive, dove la minaccia di uno “shock culturale” si concretizza solo in minima parte, mentre si realizzano le sue aspettative: “diventare un’altra persona”.
Per certi versi, in America, tutto sembra esattamente come a casa, persino il cane: i genitori che lavorano, gentili, ma assenti; il padre che legge il giornale in poltrona dopo il lavoro, mentre la madre cucina; la televisione dopo cena. Donald, il fratello più giovane, che ancora vive in famiglia, sarà l’unico a mostrare una sincera antipatia, se non intolleranza, per l’ospite tedesco.
Ma una volta fatta l’abitudine al letto ad acqua, alle preghiere prima di mangiare e ai rituali notturni del suo ostile vicino di camera, Joachim vive con spensieratezza e curiosità l’esperienza del college: le amicizie, i flirt, le lezioni, il rapporto con i professori… almeno fino a quando una telefonata del padre lo informa della morte, in un incidente, del fratello di mezzo:
… ero perplesso di fronte a questa notizia e aspettavo come paralizzato che qualcosa scoppiasse, esplodesse, che il dolore prorompesse in me o erompesse da me. Aspettavo l’eruzione del mio dolore. Ma non ci fu.
Una volta tornato in Germania per il funerale, si rende conto che il lutto sì è infilato in ogni fessura della casa: non c’è angolo che non sia sotto shock. Il padre è dimagrito, persino il cane inghiotte a fatica e di malavoglia il cibo; la doccia è diventata un gravoso dovere; l’immondizia si accumula sotto il lavello.
Joachim, tuttavia, sta male, ma neanche lontanamente come i suoi genitori e sogna di tornare in America:
Avevo già fatto molte esperienze, e queste esperienze erano forti e vitali e volevano essere pensate e ricordate. E fra non molto sarebbe cominciata la stagione della pallacanestro.
Così, dopo tre settimane trascorse immerso nel dolore e nel senso di colpa di chi, quel dolore, non riesce a provarlo fino in fondo, il ragazzo ritorna a Laramie.
Al college, dove viene chiamato “German”, entra a far parte della squadra di pallacanestro, nonostante, con il suo metro e novanta di altezza, sia uno dei più piccoli tra i cinquanta aspiranti; diventa anche l’ “amico di penna” di un individuo – madre tedesca e padre americano – rinchiuso in carcere da dodici anni e condannato a morte per un duplice omicidio in Germania.
I tre mesi che lo separano dal suo ritorno sono pieni di iniziative e di avvenimenti: frequentazioni femminili, regali, gite, un grande viaggio con i genitori ospitanti e, soprattutto, sentimenti contrastanti:
Volevo restare e volevo partire. Pensavo, ormai in inglese: «Perché devo andarmene proprio adesso? Maureen mi piace davvero. Mi piace la vista dalla mia stanza sulle Rock Mountains. Ho un cavallo tutto mio. Mi piacciono Stan e Hazel. Ho trovato degli amici. Come farò a vivere senza la pallacanestro? Maledizione, perché devo andarmene proprio adesso?». […]
Al mio ritorno in Germania pesavo dieci chili di più, ero ben allenato e questa volta il ritorno fu come me l’ero immaginato. Vennero a prendermi i miei genitori e mio fratello. Quando li vidi, mi misi a correre. Mio padre era – me ne accorsi subito quando lo abbracciai – di nuovo grasso come in passato, se non ancora più grasso.
E una volta a casa, le notizie di Hazel e il tentativo di allenare una squadra di pallavolo non sono l’unico retaggio portato dall’America…
Il tema del viaggio, in questo romanzo, è trattato nella sua accezione più ampia: il desidero non solo di conoscere nuovi luoghi, di fare nuove amicizie ed esperienze – lingue, culture, abitudini diverse –, ma anche di fuggire dai problemi di tutti i giorni, dalle incomprensioni, da situazioni divenute ormai intollerabili.
Lasciare la confortante sicurezza del “conosciuto”, per addentrarsi nelle insidie dell’imprevedibilità e dello “sconosciuto”.
Viaggio non solo concreto, ma anche inteso in senso metaforico, come ricerca di se stessi, della nostra essenza più profonda, così da riuscire a scoprire chi siamo veramente e chi vogliamo diventare.
Ma ciò che caratterizza maggiormente "Tutti i morti volano in alto" è certamente il tono adottato da Joachim Meyerhoff: quasi inconsapevolmente auto-ironico, struggente e nello stesso tempo di una spontaneità disarmante. La maggior parte degli aneddoti riportati alla memoria e delle situazioni vissute in America non ha nulla di veramente eroico: piccole storie che, pur in un mare di emozioni mutevoli, potrebbero apparire banali, se non fosse per lo sguardo stupito e un certo gusto per l’esagerazione dell’autore.
Nonostante le grandi aspettative e alcune scelte importanti, la vita sembra quasi “capitare” al protagonista, ma non c’è posto per delusione o recriminazione: l’atto di ricordare e di raccontare, filtrato dalla curiosità, dalla sorpresa e dall’apertura mentale verso il nuovo e il diverso, è sorretto dalla consapevolezza che anche l’esistenza più comune può essere illuminata da una lingua capace di restituire la poeticità e l’autenticità dei sentimenti.
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