Un abbraccio forte. Luciano. Lettere di un alpino italiano 1941-1943
- Autore: Maria Cristina Lòcori
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Una grande busta di carta gialla pesante, ben ripiegata a custodire i fogli e le immagini che contiene. È tutto quello che resta di un ventiduenne italiano dopo quasi ottant’anni, dei suoi affetti, della sua vita cancellata dalla guerra, ingoiata dalla steppa russa nel gennaio 1943. Era un alpino dell’Armir Luciano Trefiletti, di naja nel 1941. Nessuna comunicazione della sua sorte alla famiglia, dopo l’ultima lettera al padre e alla madre, dal fronte del Don, il 3 gennaio 1943. L’ultima di ottantanove, raccolte da una nipote, Maria Cristina Lòcori, in un libro epistolare pubblicato da Tralerighe Libri alla fine del 2020, Un abbraccio forte. Luciano. Lettere di un alpino italiano 1941-1943 (160 pagine).
Tralerighe, fatta a immagine, sensibilità e somiglianza del suo editore Andrea Giannasi, è una casa editrice indipendente di Lucca che si impegna soprattutto nella saggistica storica, con particolare attenzione alle vicende delle due guerre mondiali del Novecento e uno spiccato interesse per le esperienze ed emozioni dei singoli, anche i protagonisti più modesti di quegli eventi giganteschi del 1915-18 e 1940-45.
Classe di Leva 1921, Luciano Trefiletti era nato ad Avola, in Sicilia ma il Distretto di appartenenza era La Spezia, dove la famiglia aveva seguito il papà sottufficiale di Marina. Dapprima recluta nel Battaglione Mondovì in Piemonte, poi caporale sempre nel I Reggimento della Divisione alpina Cuneense, ha raggiunto la pianura ucraina a settembre del 1942, sul fronte russo, dal quale non è più tornato, né ha lasciato tracce dopo l’ultima lettera “all’adorata famiglia, alla mamma cara, al caro papà”, datata 3 gennaio 1943.
Stava per cominciare la tragica ritirata delle tre divisioni alpine, isolate sulla linea del Don, scavalcate ai lati dai sovietici e non arretrate dai nostri comandi, mentre si andava già consumando nel gelo la marcia del davai della fanteria italiana, investita l’11 dicembre e incalzata dai tank russi.
Disperso in Russia, ecco la sorte di Luciano, al pari di migliaia di altri poveri ragazzi di tutta Italia.
A La Spezia c’erano il papà Paolo (morto nel 1963), la madre Maria (1899-1984), il fratello Giuseppe (1924 2013). La secondogenita Tina era morta preadolescente per un tumore al cervello e l’ultima nata, nel 1932, molti anni dopo i fratelli, è Paola, detta Lina o Spo, la Trefiletti alla quale si deve la pubblicazione di tutte le lettere, conservate per decenni nella busta gialla. Le ha affidate alla figlia Maria Cristina, che non ha mai conosciuto lo zio ma è come se l’avesse avuto sempre accanto, attraverso il ricordo inconsolabile della nonna Maria, straziata da due perdite, la piccola Tina e il primogenito mai tornato dalla Russia.
La raccolta della corrispondenza militare di Luciano è anche l’affermazione dell’identità di una famiglia. Nipoti e pronipoti hanno riconosciuto un’appartenenza comune e la rivendicano, rendendo omaggio allo zio alpino, ai bisnonni, a una storia piccola (quella familiare), nel contesto di una storia grande (il secondo conflitto mondiale).
Le lettere arrivate nelle mani amorevoli di Maria Cristina sono unidirezionali, dal militare a casa, consumate dalla frequente consultazione della mamma Maria, che deve averle bagnate di lacrime. Con Luciano sono andate perdute le risposte e la corrispondenza del padre al figlio, che pure dev’essere stata intensa, come s’intuisce dalle repliche dell’artigliere anticarro al papà, anch’egli militare.
La nipote sottolinea che zio Luciano non ha mai fatto riferimento a vicende belliche o ai disagi al fronte. Era invece prodigo di accenni ai buoni rapporti con i commilitoni, con cui divideva il contenuto dei pacchi inviati dalla famiglia, comprese le zeppole di Capodanno che il 31 dicembre 1942 hanno allietato la nottata degli alpini in linea, riscuotendo “un’accoglienza superba da parte dei compagni”, scrive Luciano. Sono le ultime righe dell’ultima lettera spedita dalla Russia, con l’immancabile “Bacioni Luciano”, prima di svanire nel bianco della steppa innevata e nel buio della storia.
Era un ragazzo positivo, spesso entusiasta. Negli scritti si legge chiaramente ch’era portato a vedere quasi sempre il bicchiere mezzo pieno. Si dichiarava immancabilmente di salute ottima e non sembrava provato da marce, addestramenti e poi dalle fatiche belliche. Di buon carattere, ben disposto per educazione familiare al rispetto della disciplina, era benvoluto dai commilitoni e dai superiori, che apprezzavano la disponibilità agli impegni più gravosi.
I sentimenti espressi sono tuttora vivi: stravedeva per la famiglia, la “Mammina cara”. Credeva nell’amicizia e nella fratellanza d’armi. Aveva aperto il cuore all’affetto tenero per una fanciulla e qui si inserisce una parentesi sentimentale che deve avergli provocato non poca sofferenza. La pena traspare chiaramente in una lettera del 10 settembre 1942, nella quale accetta rispettosamente il punto di vista severo del padre e comunica di avere chiuso la relazione con la ragazza — definita dal genitore “una donna di strada” — dicendosi certo che il papà e la mamma perdoneranno la sua uscita di testa e che tra loro ritornerà presto l’armonia di sempre.
In appendice, tre documenti. Due delle Autorità militari, uno della segreteria del papa. Ripetono il mantra della mancanza di notizie sull’alpino e congiunto disperso. Risalgono allo stesso 1943: era appena cominciata la strada dolorosa dei familiari di un non vivo non morto.
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