Un acre odore di aglio
- Autore: Mimmo Gangemi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2015
Non si può non pensare subito alla grande letteratura meridionale, a Verga, a Corrado Alvaro, a Carlo Levi, leggendo l’intenso romanzo che Mimmo Gangemi ha intitolato “Un acre odore di aglio”.
Di Verga ricorrono i nomi dei protagonisti, Cola, ‘Ntoni, Peppe, oltre al tema tipicamente verghiano del vano tentativo di riscatto che anima tutti i personaggi della lunga epopea; di Alvaro l’ambientazione, al centro della Calabria, tra la montagna e il mare Tirreno, guardando le isole Eolie, di Carlo Levi l’attenzione alla storia delle popolazioni che vivono le vicende nazionali da lontano, troppo prese dalla loro eterna miseria.
La lunga vicenda narrata nel libro è quella di una famiglia di contadini che coltivano olivi, strappando ad una terra arida e difficile raccolti non sempre sufficienti alla loro sopravvivenza; siamo poco dopo l’Unità, Garibaldi è passato per quelle terre ma il Generale feudatario e proprietario terriero è rimasto fedele ai Borboni, e con lui i contadini che vivono sulle sue terre.
‘Ntoni, il capostipite, è appena morto e la vicenda si sposta su suo figlio Cola, che parte soldato per Torino dopo una muta promessa a Carmela, diciassettenne che serve in casa del generale divenuto Marchese e padrone assoluto della vita dei suoi “servi”. Cola tornerà tre anni dopo, capace di scrivere, deciso a servirsi del nuovo diritto che si prospetta per i maschi alfabeti: il voto.
Le sue idee, maturate durante il servizio di leva, lo rendono pericoloso agli occhi del Marchese, tuttavia gli sarà consentito di sposare Carmela, anche se lei è stata involontaria preda sessuale del padrone. Nel tempo i due impareranno una forma di affetto e metteranno al mondo numerosi figli…
La storia li segue nel tempo: i tentativi di riscatto sociale, lo studio, la Grande guerra che li strappa alla vita, uccidendo il figlio sbagliato, le delusioni, i lutti, il terremoto di Messina, il socialismo, l’avvento del fascismo, e poi la Seconda guerra mondiale, le ingiustizie subite… Cola e Carmela attraversano tutto, vivono il lutto, lo sconforto, la disperazione.
“Il drappo nero del lutto, il vento non riuscì a strapparlo dalla porta di Cola. Sbiadì lì finché divenne grigio. Dentro il silenzio incupiva. E ristagnava una cappa opprimente”.
Questa atmosfera pesante che aleggia nella casa diviene odore di aglio nei momenti delle disgrazie: i fiati, il sudore, l’angoscia si manifestano in questo afrore che contagia tutti quasi come una vera malattia.
La seconda parte del libro ha per protagonista il figlio di Cola, Peppe, che innamorato di Lina che gli si concede, sposerà per convenienza la irosa Francisca, la madre dei suoi numerosi figli: Cola studia medicina, Masi lavora la terra, Antoni resta un eterno bambino. I primi due finiranno nel mattatoio della guerra, dispersi per lungo tempo: il primo prigioniero in Australia tornerà tardi a casa, il fratello Masi sparito in Russia, riuscirà imprevedibilmente a tornare, gravemente mutilato.
Insomma una vera epopea degli umili in cerca di riscatto quella che Gangemi ci racconta con un linguaggio estremamente evocativo, pieno di forme dialettali, di formule del parlato quotidiano di quelle popolazioni, di proverbi, locuzioni tipiche di un tempo in cui la lingua nazionale era quasi sconosciuta: numerosissimi termini delle parlate locali vengono riproposti in corsivo, cofanata, cioccaiolo, incannizzato, sufetare, fiumarina, restatina, zirre, paucciana. I coloriti soprannomi dei personaggi, Cuzzurro, Gargiazza, Mulinota, Rocco u babbu, Pasca Manilordi, ricordano una società chiusa, tutta intrisa di superstizioni, pregiudizi, malanimo, vera e propria violenza nei confronti di ogni forma di novità e di progresso. Il mito della cultura, degli studi come unica forma di rivalsa per uscire da una condizione di atavica minorità, si affaccia ripetutamente nei tentativi di finanziare a qualunque costo il conseguimento della laurea, l’unico antidoto all’emigrazione forzata.
Nel romanzo di Gangemi ritroviamo tutta la storia italiana del meridione vista dalla prospettiva dei “vinti”, scritta oggi con la consapevolezza dei gravi errori compiuti dallo stato unitario e dei governi che si sono succeduti, ma con la pietà umana di chi conosce bene quelle terre e l’ignoranza in cui le popolazioni sono state volontariamente tenute: saper leggere un peccato da scontare per un tempo colpevolmente lungo.
Le pagine più belle del libro si debbono alle descrizioni della natura, ostile e feroce, e tuttavia l’unica vera interlocutrice di intere generazioni di contadini calabresi, persi tra terremoti e inondazioni, e terre difficili, segnate da demoniache superstizioni:
“Già ottobre e l’estate non intendeva arrendersi. Era scivolata fin lì con un cielo terso e coceva a terra con un sole che durava da giugno e sconfiggeva sul nascere i sospiri umidi – qualcuno lassù si era dimenticato di cambiare la stagione”.
Un acre odore di aglio
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Un titolo sagace e forte di contenuto, giacché racchiude l’essenza
narrativa di una storia nella grande Storia italiana.
Il periodo storico in cui si colloca il romanzo è quello che va dalla
metà dell’ottocento alla metà del novecento, e tra un susseguirsi
di eventi, a livello nazionale, nel profondo Sud, si consumano
vicende legate alle sorti di chi vive la propria realtà dettata dalla
sua misera condizione. L’ignoranza come condizione di forte
limitazione e la scarsa posizione sociale relegano l’uomo calabrese
nella categoria degli “ultimi”, gli unici destinatari di soprusi e
prevaricazioni. Rituali e credenze sono le pratiche che coesistono
con l’individuo in misura di ogni spiegazione. Personaggi come
Cola, Peppe, Ntoni, Carmela, Lidia … che vivono di forti tormenti le
loro storie, seppur dentro ma lontano dalla grande Storia. Poveri
miserabili il cui destino sfortunato è riconducibile alla convinzione
di intendere le folaghe, le lucertole nel basso e i sogni infausti,
veri e propri anticipatori di sventure. La terra è l’unica risorsa di
sopravvivenza ma nello stesso tempo riconosciuta maledetta di
ogni sacrificio e sopportazione. Un servilismo imprigiona l’uomo di
quel tempo, riconoscendogli l’unico stato quello di sottomissione al
potere del “Generale” feudatario e fedele ai Borboni. La ribellione
e il disprezzo di “Cola”, un figlio che mal sopporta le angherie del
potente blasonato di turno, l’unico che detiene il possesso di ogni
vergine donna a mortificazione per l’uomo che ne diverrà marito.
E’ un romanzo avvincente. Il profumo di zagara e di gelsomino
aleggia in questa terra condannata al sacrificio che si lega al tanfo
che non tarda a mancare, di un odore acre di aglio. Tre
generazioni di una famiglia aspromontana che affrontano ogni
vicissitudine con una forza d’animo sorprendente, caratteristica
propria dell’”ultimo”, nutrito di sacrifici e di speranza. Un forte
desiderio di riscatto sociale si configura in chi vuole varcare il limbo
dell’ignoranza per vedersi riconosciuta una dignità violata.
L’autore adopera un linguaggio semplice e autentico. Le parole
dialettali inserite rendono più vigorosa la narrazione. Ogni
accadimento descritto nel romanzo sono cellule di vita che
orientano le azioni di ogni protagonista. Il filo conduttore di ogni
nefasto giorno è sempre riconducibile a un acre odore di aglio. Sta
al lettore percepirne le sensazioni al punto di sentirselo aleggiare
attorno e se ciò accadesse allora, siete empaticamente entrati
nella storia.