Un buon detective non si sposa mai
- Autore: Marta Sanz
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Nutrimenti
- Anno di pubblicazione: 2014
La scrittrice madrilena Marta Sanz pubblica il suo secondo romanzo, "Un buon detective non si sposa mai" (Nutrimenti, 2014), che ha per protagonista un detective assolutamente insolito, Arturo Zarco.
Fantasioso personaggio tardivamente gay, marito di Paula, una donna zoppa con la quale ha rotto i rapporti ma che è presente in tutto lo svolgimento del racconto solo nella sua testa e lo accompagna lungo la narrazione di un racconto che si fa sempre più intricato.
Zarco è coinvolto in una storia che disorienta il lettore sia per il continuo mutare della voce narrante, sia per l’ambientazione insolita, ma soprattutto perché compaiono sempre nuovi personaggi che descrivono a loro modo la realtà fino a che, solo nelle ultime pagine del libro, finalmente la tensione si scioglie e vengono compresi tutti i non detti e svelati gli apparenti misteri nel quale la storia si era avviluppata.
Inutile parlare di trama o di intreccio in questo caleidoscopio di vicende dove tutto è doppio: il tema del doppio, dello specchio, così caro alla letteratura fantastica del secondo ottocento europeo, viene qui ripreso dall’autrice con un piglio deciso.
Marina e Ilse sono gemelle, figlie di altre due gemelle, Amparo e Janni: quest’ultima dopo aver avuto le due figlie le ha abbandonate alla sorella per seguire il marito tedesco a Stoccarda, e lì vive, ormai vedova, gestendo un negozio di merceria. La sorella Amparo domina la casa e gli affari di famiglia nella piccola città della costa valenciana, una casa ricca dove la padrona controlla nipoti, pronipoti (gemelle ovviamente), domestici, tra i quali emerge il personaggio della cameriera Charly, che avrà un posto centrale nello svolgimento della storia, e soprattutto Amparo sembra dominare anche il marito, uomo bellissimo di professione podologo.
Zarco in realtà è stato chiamato dalla bella Marina, con la quale in gioventù aveva flirtato, la quale si dichiara in pericolo e pensa che con la sua presenza il detective spaventi eventuali delitti. E’ pazza Marina? Perché la porta di Amparo è sempre chiusa? Cosa succede fra il bel Marcos e le donne di casa, che sembrano tutte innamorate del podologo? Quali misteri si celano dietro la solo apparente armonia familiare che permea tutta l’atmosfera? Quali ombre si celano nel passato dei vari attori del palcoscenico, tale sembra il salotto della villa?
Il romanzo è un vero thriller, anche se questa appartenenza al genere si manifesterà solo alla fine, quando tutte le tessere dell’intricato puzzle troveranno il loro giusto posto; tuttavia la qualità principale del romanzo sta nella ricchezza delle suggestioni letterarie, dei rimandi, delle citazioni che ne fanno un testo dalla prosa originalissima: si susseguono elenchi infiniti di termini che attingono alla brutale quotidianità quando non alla corporeità, anche nelle sue parti più intime e disgustose.
Il podologo vive con i piedi delle sue donne nelle mani, le impronte, le scarpe, le unghie, le pelli, le incisioni, i tagli, gli smalti fanno parte del suo quotidiano che appare non solo fisiologico ma più spesso simbolico. La vita sessuale dei diversi personaggi è sostanzialmente infelice o inappagata e il delitto cova inespresso e pronto ad esplodere.
Non tutte le pagine del romanzo sono gradevoli, anzi spesso si desidererebbe sapere dove l’autrice vada a parare, e se davvero è necessaria la lunghezza del romanzo per arrivare alla conclusione... Poi invece la conclusione giunge e ridà smalto a tutta la storia, se ne capiscono i meccanismi complessi ma assolutamente originali che in realtà erano sotto i nostri occhi.
La traduzione di Scaffidi è ineccepibile, messa a dura prova dal testo, di cui cito una breve sequenza:
“Janni non si sentiva sola in mezzo a questo miscuglio di odori di cipolla, di grasso di pollo allo spiedo, di acqua di zagara, di coloranti per la paella, di feromoni, di menopausa, di urina assorbita dal miglior salvaslip, di vera pelle bovina, di bagnoschiuma, di lattex e pelliccia sintetica, di impasto di mais e sciroppo, di spezie, di salsedine, di benzina, di salsa barbecue, e di lupanari di Singapore…”
Linguaggio espressionista, iperrealista, con debiti al grande romanzo modernista del Novecento, tutto questo e altro nel libro che la stessa autrice commenta in un’intervista recente:
“Volevo trasmettere l’idea che tutti noi siamo un po’ Frankenstein... un’amalgama in cui convivono contraddizioni, schizofrenie e doppie personalità”.
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