Una scrittura femminile azzurro pallido
- Autore: Franz Werfel
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2014
“Una scrittura femminile azzurro pallido” (Adelphi ebook 2014, titolo originale "Eine blassblaue Frauenschrift", traduzione di Renata Colorni) è il romanzo breve che lo scrittore e drammaturgo austriaco di origine ebraica Franz Werfel (Praga, 10 settembre 1890 – Los Angeles, 26 agosto 1945) pubblicò per la prima volta a Buenos Aires nel 1941.
Erano undici lettere, di cui dieci scritte a macchina. Tanto più eloquentemente spiccava in quella serie amorfa l’undicesima lettera scritta a mano con inchiostro azzurro pallido.
Una scrittura femminile, i caratteri grandi un poco ripidi e severi, solo a vedere quella missiva Leonida, nominato da qualche mese capodivisione al Ministero per il Culto e l’Istruzione, era diventato cinereo. L’alto funzionario statale era stato attanagliato dall’ansia e dalla paura, la normalità di quella prima mattina e il piacere di fare colazione insieme alla bella, ma possessiva moglie erano spariti all’improvviso. Quel passato da nascondere e da dimenticare per sempre, era arrivato per lettera. Un cattivo scherzo del destino, che Leonida riteneva di non meritare, lui che proprio da poco aveva festeggiato il suo cinquantesimo compleanno e che da solo, con la propria determinazione e forza di volontà, aveva compiuto una scalata sociale da record. Figlio di un povero insegnante di ginnasio che gli aveva lasciato in eredità un’intera collezione di classici greci e latini, Leonida si era laureato grazie a borse di studio e lezioni private. Ma il punto di svolta era stato un frac, sì un frac nuovo fiammante, che un suo collega di università, “un intelligente ragazzo israelita” che si era suicidato, gli aveva lasciato in eredità.
È noto che chi possiede un frac può frequentare balli e altri intrattenimenti mondani. La scalata sociale di Leonida, allora povero precettore, aveva avuto inizio quando qualcuno gli aveva donato un biglietto di entrata per una delle grandi feste da ballo della stagione. Leonida ballerino provetto di valzer, aveva conquistato l’élite della società viennese e dopo un anno era diventato uno dei giovani più contesi della città.
Diligenza, perseveranza, sobrietà nelle pretese, unite a splendide raccomandazioni, avevano spalancato a Leonida le porte dell’impiego statale. Il coronamento della sua fulgida ascesa era stato il matrimonio con Amelie Paradini, la più bella e ricca ereditiera di Vienna. “Amelie, il grande, grandissimo successo della sua vita”, che mai e poi mai avrebbe dovuto scoprire il nome di colei che aveva vergato la lettera redatta con un inchiostro azzurro pallido. Era stato per questo che il nostro eroe, cui faceva difetto un “cuor di leone”, aveva aperto la missiva nel luogo più segreto e appartato della casa. La lettera conteneva una richiesta di aiuto che coinvolgeva un giovane, il quale, che Dio non volesse, forse avrebbe potuto essere suo figlio. Quella felicità e sicurezza ottenute a caro prezzo adesso rischiavano di scivolare via dalle dita come granelli di sabbia.
Quella con Vera non era stata altro che una vecchia e stupida storia, una sciocca ragazzata che risaliva a vent’anni prima.
O invece Vera, di origine ebraica, era forse stata l’unica, autentica passione della pavida e pusillanime esistenza di un uomo ridicolo.
Al diavolo, perché tutt’a un tratto lei si rifiutava di essere ciò che era stata per quindici anni, una tomba interrata che nessuno riesce più a localizzare?.
L’autore, nato all’epoca dell’Impero Austro-Ungarico, uno dei principali esponenti della letteratura mitteleuropea della prima metà del Novecento, in queste poche, ma esemplari pagine attraverso la magnifica descrizione del “cuore guasto” del protagonista, sembra dare il suo personale addio alla vecchia Europa funestata dal nazismo, alla quale aveva deciso di voltare le spalle per sempre.
Erano colmi di una presenza terrificante, quei sottili tratti di penna.
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