Vardø. Dopo la tempesta
- Autore: Kiran Millwood Hargrave
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2020
Il romanzo che segna l’esordio nella narrativa per adulti di Kiran Millwood Hargrave, pluripremiata autrice per bambini e ragazzi, Vardø. Dopo la tempesta (Neri Pozza, 2020, traduzione di Laura Prandino), è ambientato nel 1617 su una sperduta isola nel punto più nord-orientale della Norvegia: un’ambientazione piuttosto inedita per affrontare un argomento quale i processi alle streghe.
In una vigilia di Natale carica di cattivi presagi, in un remoto insediamento settentrionale, una tempesta improvvisa quanto violenta, di proporzioni insolitamente immense e crudeli, provoca la morte di tutti gli uomini usciti in mare attirati da un banco di pesci:
“E poi il mare si solleva e il cielo si abbassa e una folgore livida sferza tutto quanto, illuminando il buio con un bagliore istantaneo e terribile. […] Ci sono solo il mare e il cielo e le luci delle barche inghiottite e le barche che saettano e le barche che vorticano e le barche sollevate, rovesciate, sparite”.
Nel villaggio c’erano cinquantatré uomini, adesso ne sono rimasti solo tredici: due poppanti in braccio alle madri, tre bambini e gli altri ragazzi troppo giovani per uscire sulle barche. Persino il ministro è scomparso. La burrasca ha reso nemico il mare che da sempre dà forma alle loro vite: hanno vissuto per sua grazia e per grazia sua sono morti.
Rimaste sole e prive di mezzi per provvedere a se stesse, alcune donne cercano un segno: uno è stato la burrasca; i corpi che il mare deve ancora restituire, un altro, e poi c’è la balena, che ha attirato gli uomini e che per alcune di loro è stata mandata dal diavolo. A Kiberg, infatti, a parte qualche barca ormeggiata nel porto, hanno perso soltanto tre uomini. La paura si diffonde insieme alla convinzione che la balena sia stata mandata per loro, e l’inquietudine aumenta:
“Le parole sono catene alle quali appendere i fatti, più saldi a ogni ripetizione. Molte di loro non si curano più di che cos’è vero o falso, si limitano a cercare disperatamente una ragione, un senso per fare ordine alle loro vite, anche se basato su una menzogna”.
Per quattro mesi si sono prese cura una dell’altra, ma quando l’inverno allenta la sua presa le provviste si sono quasi esaurite nelle dispense. Linee sempre più nette distinguono, da una parte, Kirsten – una donna particolare, forte e testarda, fermamente convinta che sia necessario cominciare a cavarsela da sole, che è giunto il momento di andare a pescare –, dall’altra, Toril, bigotta e devota, che, insieme alle altre “donne da kirke”, accoglie con soddisfazione la notizia che un Lansmann si insedierà a Vardøhus, nella fortezza che è rimasta vuota dacché se ne ha memoria: su ordine diretto del re Cristiano, porterà grandi cambiamenti circa la frequentazione della kirke e si occuperà di condurre i lapponi a Dio.
La proposta di Kirsten viene accolta da otto donne che potranno manovrare solo una barca: indossano indumenti e cappelli di pelle di foca dei loro morti, le mani sono impacciate nei guanti spessi, i remi sono più alti delle loro teste, le reti ingarbugliate, e quando, dopo la pesca, arrivano in porto, non c’è nessuno ad aspettarle. Le altre si fanno vive, però, quando cominciano a riversare il pescato nelle tinozze, Toril in testa.
Altre si aggiungono, e presto sono tre le barche che escono regolarmente in mare. Hanno stabilito un sistema che funziona: se servono pelli si prendono da Kristen, barattandole con pesce secco, i lavori di cucito di Toril in cambio di filo o muschio. Ciascuna di loro ha qualche capacità e le utilizza, si intrecciano e si sostengono a vicenda come una scala a pioli in cui ogni elemento si aggiunge all’altro.
A narrare ciò che è successo è la giovane e disorientata Maren Magnusdatter. Nella tragedia, a soli vent’anni, ha perso il padre, il fratello Erik – sua moglie Diinna, una donna lappone, una sámi, aspetta un figlio e vivrà in un isolamento sempre più profondo. Maren ha perso anche il suo futuro marito, Dag Bjørnssom, che nella seconda rimessa per barche di suo padre stava preparando la loro abitazione: l’avrebbe finita prima dell’inverno e si sarebbero sposati.
Invece, a causa del terreno troppo duro per la sepoltura, alcuni dei corpi che sono tornati quasi integri, nove giorni dopo la burrasca, sono stati spostati proprio in quella che poteva diventare per lei una bella casa.
Il punto di vista di Maren si alterna e si completa grazie a quello, privilegiato, di Ursa, figlia di un armatore di Bergen che si ritrova precipitosamente sposata con l’autoritario Absalom Cornet, uno scozzese inviato a Vardø per assolvere un compito ben preciso: vista la sua esperienza e il suo operato durante il processo di Kirkwall del 1616 alla strega Elspeth Reoch, gli è stato offerto un incarico al fianco del Lensmann della contea di Vardøhus, così che potrà individuare, provare l’accusa e giustiziare chiunque pratichi la stregoneria.
Sarà quest’uomo timorato di Dio, ancor più della tempesta, a sconvolgere il mondo che le donne hanno faticosamente ricostruito, costrette a reinventare il proprio ruolo e a sovvertire gli equilibri sociali e di genere su cui questa piccola comunità si è sempre basata. Il legame di amicizia e di reciproco sostegno fra Ursa e Maren, intanto, si sta trasformando in una forte attrazione l’una per l’altra.
Come spiegato dall’autrice nella Nota storica, quella descritta nel suo romanzo è un’epoca di grandi cambiamenti nel paese che a quel tempo era Danimarca-Norvegia. Il re Cristiano IV, luterano integralista, intendeva rafforzare la propria chiesa e liberarla una volta per tutte dall’influenza dei sámi nei territori più settentrionali e nel Finnmark, una vasta area selvaggia e senza legge, dove la popolazione indigena si rifiutava di obbedire alle riforme religiose diventate presto vere e proprie persecuzioni e massacri sanciti dallo stato.
Traendo ispirazione dalla Scozia, dove re Giacomo VI aveva pubblicato un trattato di sulla stregoneria contenente istruzioni dettagliate per individuare, mettere alla prova e uccidere una strega, re Cristiano affidò l’incarico di ridurre il Finnmark all’obbedienza al comandante John Cunningham, il quale presiedette non meno di cinquantadue processi per stregoneria, provocando la morte di novantun persone.
Ma se i quattordici uomini condannati erano tutti sámi, le settantasette donne erano – fatto piuttosto singolare – norvegesi.
Il primo grande processo fu proprio quello che, nel 1621, vide tra gli imputati, otto donne accusate di aver provocato al burrasca del 1617.
Quella che rimane un’opera di fantasia ha, dunque, un solido fondamento storico, ed è incentrata più che sui processi, sulle condizioni che li hanno resi possibili:
“Questa storia riguarda le persone, il modo in cui vivevano, prima che il come e perché sono morte diventasse la loro sola definizione”.
Grazie alla sua scrittura potente, Kiran Millwood Hargrave risulta particolarmente efficace nel rielaborare le fonti storiche in una trama avvincente. Ogni particolare –dall’ambientazione ai dettagli sull’abbigliamento, sul cibo, su usi e costumi; dalle difficili condizioni di vita, in un territorio ostile, all’alternarsi delle stagioni; dagli equilibri di potere fra donne, alla prevaricazione degli uomini, fino alle denunce, alle torture e alle condanne a morte provocate da meschine inimicizie – contribuisce a costruire un mondo che, pur essendo distante da noi nello spazio, ci risulta, purtroppo, per certi tratti, molto familiare.
I personaggi femminili si allontanano da facili stereotipi, anche se alcune delle protagoniste possono essere definite “femministe”. A queste eroine dai tratti inaspettatamente moderni si contrappongono donne che finiscono per essere, più o meno consapevolmente, complici di chi, in nome di reati solo presunti, legati più a credenze e superstizioni, le accusa di stregoneria e le condanne a morte.
Vardø. Dopo la tempesta ci rammenta il prezzo troppo alto che le donne hanno dovuto pagare – e che purtroppo stanno ancora pagando – in qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine, per ottenere il rispetto e il riconoscimento dei propri diritti, per esprimere liberamente i propri sentimenti, per imporre la propria volontà e per non vedere i propri talenti derubati e azzoppati da restrizioni culturali e religiose.
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