Vincent il matto. Quell’anno con Van Gogh
- Autore: Luiz Antonio Aguiar
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2014
Giallo-grano, giallo-(gira)sole, cielo stellato, sparpagliate stelle, notte di Arles, sedia vuota, stanza, promenades di fantasmi, autoritratti, vigna rossa, mietitori, Paul Gauguin. Libere associazioni, variazioni sul tema di Van Gogh dettate da un romanzo interiore, acceso e raffinato, scritto da Luiz Antonio Aguiar, ottimamente tradotto da Nadia Ischia e Diogo Rodrigues per Giunti: si intitola “Vincent il matto. Quell’anno con Van Gogh”, quattro stagioni (feconde) nel sud della Francia dall’ottica di Camille Roulin, “Il bambino con il cappello” del dipinto omonimo, quello che per errore è chiamato anche “Lo scolaro”. Poco più di cento pagine bastano e avanzano ad Aguiar per schizzare il senso di un’anima fiammeggiante e desertica al contempo, un’anima che dipinge come fosse l’ultima cosa da fare al mondo, di contro le ragioni di Arles che non l’ha mai capito.
1988. Van Gogh è appena arrivato da Parigi, Camille ha undici anni e suo padre è il postino del paese, gli consegna spesso i pacchi di colore, le tele, i pennelli che gli arrivano dalla capitale: nel breve e lungo termine il solo amico (per quanto e come uno potesse dirsi amico di Vincent) che il pittore riesce a farsi. I dodici mesi furoreggianti e malinconici del “Rosso matto” (come lo battezzano sottovoce le malelingue di Arles) stanno tutti nel libro, dodici mesi a idealizzare un amore impossibile, a perdersi e ritrovarsi, a eviscerare, soprattutto, fino al sanguinamento (cromatico e interiore) uno per uno i colori della natura del Sud, vicino un passo dalla catarsi assoluta, dallo straniamento, dalla follia vera e propria: le luci e i toni gemelli di cielo e mare, le stelle spettatrici, i campi arroventati di giallo-sole, i vigneti a perdere, il rigoglio degli alberi in primavera, i girasoli-totem, e persino i volti dei ritratti. Molti dei ritratti sono somiglianti ai volti Roulin, trasfigurati alla sua maniera, alla maniera del genio: la famiglia del postino (una specie di simbolo di famiglia ideale: il piccolo Camille, la moglie, la neonata Marcelle, il postino stesso) dalla quale va spesso, della quale è spesso ospite bizzarro. C’è un episodio di “Sogni” - un film del 1990 di Akira Kurosawa - dedicato al pittore fiammingo: se la memoria non mi inganna, il protagonista finisce dentro uno dei suoi quadri e al suo interno si muove, alla ricerca del pittore appena dimesso dal manicomio. “Vincent il matto” evoca un’esperienza molto simile, lo fa con discrezione biografica, con il tono sospeso e il passo incantato di chi sa di procedere sul labile confine tra arte e vita e non volerne sperperare una goccia, dell’una e dell’altra. Utilissima, in appendice, la sitografia attraverso cui risalire ai diversi quadri “illustrati” (nella loro partenogenesi quotidiana) nel romanzo. Se proprio ci tenete a saperlo, la prima cosa che ho fatto quando ho finito di leggere, è andare a darci una sbirciata e mi sono quasi commosso. Grande Aguiar!
Vincent il matto. Quell'anno con Van Gogh
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