Vita e tempi del cardinal Fabrizio Ruffo
- Autore: Alfredo Roncuzzi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
La storiografia progressista esecra il cardinale Fabrizio Ruffo, quella conservatrice lo esalta per la reconquista della Napoli giacobina, ma come sempre la verità sta nel mezzo anche per il condottiero dell’esercito della Santa Fede. Non era certo un rinnovatore, anzi si adoperò per la pre-restaurazione dell’Ancient Regime, tuttavia fu l’unico a preoccuparsi di arginare le vendette sommarie e la giustizia spietata nei confronti dei patrioti filofrancesi. “Patriotti” li chiama il romagnolo Alfredo Roncuzzi (1905-1999), in un saggio storico rimasto inedito fino ai primi del 2022, quando il prodigarsi in sua memoria della nipote bolognese Laura Spadoni ha ottenuto la pubblicazione di Vita e tempi del cardinal Fabrizio Ruffo, “opera in cui l’autore si immedesima nella personalità del Ruffo”, a cura di Pier Giorgio Bartoli e con la presentazione di Gianandrea de Antonellis, per i tipi delle edizioni Solfanelli, del gruppo editoriale Tabula Fati di Chieti (344 pagine).
Roncuzzi apparteneva certamente alla vague carlista (aggettivo quanto mai azzeccato, come vedremo), che esalta da sempre il prelato calabrese condottiero dell’armata sanfedista, che nel 1799 risalì il Mezzogiorno della penisola e riportò i Borboni sul trono di Napoli, decretando la fine nel sangue della Repubblica partenopea.
Romagnolo atipico, scatenato in tenera età e in gioventù, dopo la laurea in farmacia Roncuzzi esercitò nell’eremo di Camaldoli, dove stava per pronunciare i voti. Rimasto allo stato laicale e coniugato a Roma senza figli, partecipò alla guerra civile in Spagna tra i Requetés carlisti, per combattere il comunismo imitando il Ruffo di Calabria, che aveva lottato contro i francesi libertari. Si dichiarava antifascista, ma contrario alle democrazie che predicavano il suffragio universale. Durante la Resistenza, guidò nel Lazio la Brigata Bianca Gruppo Roncuzzi, pur rifiutando nel dopoguerra le onorificenze partigiane. Si dedicò completamente agli interessi letterari, pubblicando una trentina di opere a tema politico, storico, teatrale. Solitario e isolato di proposito, rimase dimenticato.
Quanto a Fabrizio Ruffo, nato dai duchi di Bagnara e Baranello a San Lucido di Cosenza (1744-1827), si avviò alla carriera ecclesiastica, a Roma, dal 1748, sotto l’egida dello zio porporato Tommaso Ruffo, decano del Sacro Collegio. La carriera nella Curia vaticana e la fiducia di papa Pio VI lo condussero a definire una riforma finanziaria, fiscale ed economica dello Stato della Chiesa. Intervento equo e corretto, che irritò tuttavia l’aristocrazia romana, tanto da spingere il pontefice a rimuoverlo in cambio di una promozione ultra veloce al cardinalato. Esiliato nell’agro romano nel 1794, decise più avanti di servire re Ferdinando IV di Borbone, che gli assegnò incarichi prestigiosi.
Il 21 gennaio 1799 i francesi raggiungono Napoli e proclamano la Repubblica. Li sostiene solo una minoranza di borghesi, piccoli aristocratici e intellettuali. Il popolo resta a guardare, sempre più ostile ai giacobini. Il re fugge in Sicilia e il cardinale Fabrizio si offre di mettersi alla testa di una milizia, cacciare con la forza gli occupanti, rimettere Ferdinando sul trono di Napoli e Pio VI su quello di Roma. A Ruffo sono riconosciuti pieni poteri per formare un esercito popolare.
Inesperto di cose militari, ma affidandosi a progetti chiari e intraprendenti, avvia la sua impresa con due soli cannoni e 1500 uomini, raccogliticci e male armati. Cresceranno di numero strada facendo, riprendendo Crotone, Altamura, la Terra di Lavoro, Ariano, Nola. Richiamati altrove da Napoleone, i francesi lasciano i giacobini assediati a Castel Sant’Elmo e San Martino. Il cardinale accorda la resa onorevole il 14 giugno 1799, in cambio della vita dei rivoluzionari, ma l’ammiraglio Nelson pretende la sconfessione del patto. La giustizia borbonica si aggiunge all’inclemenza dei lazzari, che linciano i giacobini: 99 esecuzioni capitali a Napoli, fino a 300 nelle province, 222 condanne al carcere a vita, 322 a pene diverse, 355 all’esilio.
Ruffo si adopera per fermare gli eccessi di una lotta che si frantuma in mille vendette, persecuzioni, calunnie, denunce, sequestri, insensate, processi arbitrari ed errori irreparabili. Ispirato dalla moderazione, insiste per salvare il salvabile, ottenere la grazia per Pagano, Cirillo, Ciaia, la Sanfelice, che ha fatto ricorso a una gravidanza immaginaria. Tutto inutile.
L’ampio lavoro di Roncuzzi è incentrato sulle vicende di quegli anni e sul cardinale. Ma quasi echeggiando Vincenzo Cuoco, il saggista carlista sottolinea l’errore dei “patriotti”, non solo politico anche sociale. Politicamente si lasciarono trascinare dai proclami di libertà di un oppressore (Bonaparte). Socialmente, ripudiarono le aspirazioni di popolo che voleva cancellare i privilegi feudali di una nobiltà in lotta di potere contro il re.
Se avessero cercato invece di avvicinarsi alla “plebe”, che non li capiva, l’avrebbero avuta alleata nelle lotte d’indipendenza politica e riforma sociale successive. Il Risorgimento sarebbe stato “meno opera di minoranze e di compromessi”.
Sull’italianità del Ruffo, si domandava perchè la sua battaglia contro i francesi fosse stata negletta.
“Se nelle scuole si insegna ad ammirare Ettore Fieramosca come un grande italiano, non si comprende perché il cardinale debba rimanere dimenticato o insultato”.
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