Vittoria. Una storia degli anni settanta
- Autore: Annalisa Terranova
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2013
Storie di altre storie dalla notte della Repubblica, gli anni di piombo inquadrati in chiave “fascia”. Starebbe per fascista, nera, destrorsa, missina, underground, fieramente minoritaria rispetto all’onda rossa, all’antagonismo giovane-modaiolo dei Settanta. La formazione minima - politica & sentimentale, nella fattispecie giocoforza coincidenti - di una rivoluzionaria della “parte sbagliata”, testimone di slanci e derive ideologiche, fermatasi forse a un soffio dalla lotta armata. In altre parole, ontologia pubblica e privata di Vittoria (“Vittoria. Una storia degli anni Settanta”, Giubilei Regnani, 2013) per un romanzo deciso e struggente come una malinconia, scritto mettendocela tutta, anima e corpo e probabili madeleine autobiografiche, dalla giornalista del “Secolo d’Italia” Annalisa Terranova.
Dall’infanzia segnata da una “mitologia” familiare declinata fiamma tricolore (era il logo del Movimento Sociale Italiano) e apologia del Duce, all’adolescenza militante contromano, negli anni accesi dallo scontro ideologico (rossi vs neri vs celerini, ricordate quelle strade e quelle piazze?), fino al lancinante faccia-a-faccia con la disillusione a seguito della strage di Acca Larentia (il 7 gennai 1978, a Roma, tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù vengono uccisi dalle forze dell’ordine) e dell’omicidio Moro. Su questo scenario socio-politico si innestano senza frizioni tanto gli accadimenti intimi della protagonista - gli anni bambini in un piccolo condominio nel quartiere Marconi di Roma dove si consuma il primo “indottrinamento” all’ideale fascista, quelli in trincea degli studi liceali, segnati dall’isolamento quindi dallo scontro aperto con i compagni e i professori comunisti -, quanto, per inciso, le note di costume sull’Italia che (non) va - le Fiat 850 segno di benessere piccolo borghese, le gite fuori porta, i giocattoli, i libri, le canzoni, i riti, i miti, quindi l’austerity e la violenza stradaiola di quegli anni. In senso ulteriore, il romanzo regge dunque anche come foto di gruppo dell’altra giovane generazione, quella che a Marx e Marcuse preferiva (opponeva) Evola e Nietzsche, e a Guccini e De Gregori, le canzoni di Mogol-Battisti e degli Amici del vento.
In coda a una recensione apparsa su un settimanale di sinistra ho letto che “Vittoria” non paleserebbe alcuna presa di distanza da “quel” tipo di scelta militante. Personalmente la penso in modo opposto, rintracciando proprio nel taglio oggettivo uno dei meriti principali di un romanzo dalla resa asciutta, cioè non mielosa, non revisionista, non ruffiana, non pentita, non di moda, non buonista e nemmeno precettista. Ammesso sia vero che gli anni Settanta abbiano rappresentato il male assoluto (ma quanto mai!), la loro genesi nefasta più che alle azioni dei giovani movimentisti (di destra o di sinistra) andrebbe ricondotta a quelle dei gangli più o meno deviati dei servizi segreti e all’inerzia (già da allora strumentale) dei partiti. “Vittoria”, con molte meno pretese, si pone come punto di vista alternativo su quegli anni, un romanzo utile e di piacevole lettura, cui accostarsi senza pregiudizi.
Vittoria. Una storia degli anni settanta
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