Alberto Cavanna scrittore, saggista, traduttore, disegnatore e illustratore, vive e lavora nel piccolo paese di Polverara (comune di Riccò del Golfo di Spezia), nella bassa Val di Vara. Prima operaio, poi impiegato e dirigente, ha lasciato i cantieri navali per dedicarsi esclusivamente all’attività artistica. Il suo romanzo d’esordio “Bacicio do Tin” (Mursia, 2003) si è classificato secondo al Premio Bancarella 2004. Ha pubblicato il saggio storico “L’ultimo viaggio dell’imperatore – Napoleone tra Waterloo e Sant’Elena” (Mondadori, 2014) e il romanzo “Il dolore del mare” (Nutrimenti, 2015), candidato al Premio Strega 2015. Nel 2016, per Cairo, è uscito “La nave delle anime perdute”, finalista al Premio Bancarella e vincitore del Premio Marincovich. È in libreria “Ma forse un dio” (Cairo Editore 2018, pp. 249, euro 14,00), coinvolgente narrazione delle dolorose vicende di due ragazzi Anna ed Ettore, sullo sfondo della II Guerra Mondiale e l’immediato dopoguerra.
Com’è già accaduto nella precedente produzione letteraria di Alberto Cavanna, il mare è ancora una volta il protagonista del bel romanzo che il bravo autore dedica
“Alle donne. Alle loro lacrime”.
Un mare sì metafora del passato, ma che può condurre, dopo aver attraversato l’inferno, verso la tanto agognata Terra Promessa.
“E quel mare di primavera si sciolse nella spuma delle onde, divenne rugiada, salì alle nubi e si trasformò in una pioggia leggera che dal cielo scese sulla terra a fecondare il suolo ancora arato dalle bombe e intriso di sangue”.
Abbiamo intervistato Alberto Cavanna.
- “E tutto fu giovinezza, tutto fu primavera. 1933. Anno XI dell’Era Fascista!” Ettore Sbarra, fascista, figlio di contadini analfabeti della Lunigiana. “Adonai sofer et àdemaott scel nascim...”. Anna Della Seta figlia di ebrei emiliani trasferiti a La Spezia per lavorare nelle fabbriche d’armi. Apparentemente diversi ma simili, perché portano nell’anima un forte senso di colpa. Ce ne vuole parlare?
Anna ed Ettore sono figli del loro tempo. Ettore parte volontario per la guerra che farà poi tra le fila della famigerata X Mas, partecipando alle pagine più nere della nostra storia. Anna subisce la discriminazione prima e la deportazione ad Auschwitz dopo… Apparentemente un carnefice e una vittima ma entrambi stritolati da un meccanismo che non lascia a loro più nessuna speranza, se non la perdita della loro umanità in mezzo agli orrori della repressione nazifascista e l’annientamento dei campi di sterminio. Ma a un certo punto Ettore salva Anna e poi lei salverà lui.
“Perché lo hai fatto?”
lui le chiede.
“Se oggi uccidevano anche te, sarebbe tornato in vita un figlio, un padre, una sorella di chi li ha persi?”.
L’orrore non ha una giustificazione, non un senso: bisogna solo andare oltre, oltre quel mare che alla fine si trovano entrambi davanti. Non si guardano indietro, nessuno dei due vuole ricordare gli orrori di cui sono stati rispettivamente autore e vittima. E dall’oblio forzato al senso di colpa, il passo è breve, la verità verrà fuori solo alla fine: una strage di civili per lui e la vergogna di essere sopravvissuta per lei.
- Il romanzo pone l’accento su un tema molto attuale, quello delle migrazioni che non può prescindere da quello dell’accoglienza. Che cosa ne pensa?
Ettore e Anna nascono e crescono in un contesto storico di cui solamente al termine di un percorso di sofferenza conosceranno le distorsioni: e sarà proprio il dolore che hanno provato a essere un antidoto contro il male. Lasciando il loro mondo, i ricordi e il passato alle spalle fanno una scelta precisa… Anche noi siamo nati e stiamo vivendo in un contesto storico preciso e abbiamo segnali forti che il mondo sta cambiando, e sta cambiando in peggio. Saremo capaci anche noi di ammettere i nostri errori e sopravvivere ai sensi di colpa? Non abbiamo idea di come saremo giudicati tra 60, 70 anni da chi oggi subisce la nuova Shoah della mutazione della geografia umana. Possono essere illuminanti le parole di uno dei protagonisti minori, un prete:
“il Signore perdona chi il male lo ordisce e lo serve volontariamente con coscienza: sono pochi e sono il male stesso. Ma da perdonare sono anche coloro che del male finiscono per esserne inconsapevole strumento e sono minori solo agli indifferenti, che hanno le colpe più grandi”.
Autori consapevoli, involontari e la massa degli indifferenti. Allora come oggi. La storia ci ha insegnato qualcosa?
- “L’Italia non è ancora un Paese pacificato, perché chi allora vinse, non ha raccontato fino in fondo cosa accadde durante e dopo la Guerra Civile. Il muro d’omertà dei vincitori non è stato mai rotto. E dunque la Guerra Civile, nel dolore delle famiglie, non è mai finita”, ha dichiarato Giampaolo Pansa, autore del contrastato saggio storico “Il sangue dei vinti” (Sperling & Kupfer, 2003). Cosa ne pensa?
Liquidare quel periodo tracciando una linea precisa tra buoni e cattivi è il modo peggiore per andare oltre al male di quegli anni terribili. È una forzatura pericolosa dare colori netti alle figure, solo rosso o solo nero, senza prendere in considerazione tutta la serie di sfumature dei grigi che invece erano il colore dominante. Noi oggi condanniamo le leggi razziali, è ovvio: ma come le vissero i nostri nonni? Io credo che siano stati veramente in pochi a fremere di sdegno mentre per la maggior parte delle famiglie il problema era come tirare a campare, e non fecero altro che scrollare la testa e finire nella massa degli indifferenti, il che non fa di loro dei carnefici. E quanti poi non furono in grado di poter scegliere da che parte stare, senza necessariamente diventare degli aguzzini? Il giudizio tranchant, il dogma, ha in sé un enorme pericolo: pensare che il male sia nettamente identificabile e dunque la possibilità di scelta sia sempre a portata di mano. Ma non è così. Il Male ha sempre i suo lati seducenti e le sue ragioni: è poi il prezzo da pagare per esserci finiti in mezzo che ci deve far riflettere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Alberto Cavanna presenta “Ma forse un dio” in un’intervista
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