Immaginate lo stupore che dovette destare, nell’estate del 1848 in Inghilterra, la sorprendente rivelazione che l’autore del caso letterario dell’anno, Jane Eyre, il fantomatico “Currer Bell”, fosse in realtà una donna.
L’inatteso disvelamento suscitò parecchio fermento nelle cronache dell’epoca, e anche qualche pettegolezzo. Perché sotto lo pseudonimo maschile di Currer Bell si celava una donna fragile e minuta, anzi una fanciulla, proveniente dalle sperdute brughiere dello Yorkshire. Quando si presentò al ricevimento indetto in suo onore da William M. Thackeray, celeberrimo autore della Fiera della vanità a Londra, Charlotte Brontë, questo il vero nome dell’enigmatica autrice, deluse le aspettative delle signore altolocate e dell’alta società inglese. Era infatti vestita in modo semplice e molto modesto, e di certo non una persona loquace né particolarmente socievole.
Racconta nelle sue memorie Lady Ritchie, figlia di William M. Thackeray, che Charlotte Brontë rimase seduta tutta la sera in un angolo del salotto e non scambiò parola con nessuno eccetto la governante.
All’unica domanda che le fu posta in segno di cortesia: “Le piace Londra, Miss Brontë?” rispose con una formula sibillina: “Yes and no”, e non ci fu verso di cavarle un’altra parola di bocca.
In compenso, però, il pubblico festoso parlava per lei e tutti decantavano i suoi elogi. Non c’era dubbio che Jane Eyre fosse il “miglior libro dell’anno”. Lo stesso Thackeray dovette ammettere che la fanciulla aveva guadagnato con un solo romanzo il successo di critica che a lui era costato dieci anni di lavoro.
Link affiliato
Quello pseudonimo, “Currer Bell”, le era servito da scudo, e Charlotte se n’era appropriata di sua volontà per abbattere i pregiudizi dell’epoca sui libri scritti dalle donne. Ora che il successo era assicurato e l’aveva travolta come un’onda inattesa, finalmente poteva rivelare di essere una “scrittrice” e non uno “scrittore” senza alcun imbarazzo. Nessuno avrebbe più osato sminuire Jane Eyre perché scritto da una donna: proprio come la governante protagonista del suo romanzo, anche Charlotte Brontë aveva attuato la sua personale rivoluzione. E continuava a combatterla in silenzio, con il suo sguardo fiero e penetrante che osservava tutto senza lasciarsi sfuggire nulla. In quel salotto aristocratico poteva apparire la presenza meno interessante, eppure era senza dubbio la più autentica.
Lei era di un’altra razza, forse addirittura di un’altra epoca. E se qualcuno, anche una sola persona presente in quella sala, fosse riuscito a leggere all’interno della sua mente vi avrebbe scoperto un’opera meravigliosa.
Charlotte Brontë: la vita
La vita stessa di Charlotte Brontë potrebbe essere letta come un romanzo. Che storia affascinante, mitica e irripetibile, quella di Charlotte e delle sue sorelle Emily ed Anne, un trio unico nel suo genere formato dalle personalità fondanti della letteratura inglese di metà Ottocento.
Charlotte nacque a Thorton, nello Yorkshire, il 21 aprile 1816. Crebbe in una piccola canonica anglicana, sperduta nella brughiera. Suo padre, Patrick Brontë, era il pastore della cittadina di Haworth. Charlotte e i suoi fratelli, Branwell, Emily ed Anne crebbero a pane, Bibbia e fantasia.
La maggiore delle sorelle Brontë era solita definire la Bibbia come “il miglior libro del mondo”: e di certo quelle storie, avventurose, per certi versi sanguinose e non sempre edificanti furono alla base della sua scrittura.
I fratelli coltivarono la loro sfrenata immaginazione fin dalla più tenera età inventando la saga di Angria che narrava le gesta eroiche del loro esercito di soldatini di piombo. La passione per le storie nacque così, nel clima umido e piovoso della brughiera dello Yorkshire, dove quattro vivaci bambini diedero libero sfogo alla loro fantasia immaginando mondi paralleli che prendevano vita in punta di penna.
Quello tuttavia era solo l’inizio, e la vita avrebbe sfidato l’innocenza felice dei fratelli Brontë con i colpi duri della sorte. L’infanzia di Charlotte fu segnata dall’esperienza del collegio dove assistette, impotente, alla morte delle due sorelle maggiori, Maria ed Elizabeth.
Fu un trauma che si portò appresso, come un fantasma, per tutta la vita. Cercò in seguito di esorcizzarlo nelle pagine di Jane Eyre in cui narra della Clergy Daughters’ School a Cowan Bridge e della morte della giovane Helen Burns.
Il viaggio a Bruxelles
Fortunatamente Charlotte crebbe sana e forte, riuscì a ritagliarsi un destino diverso, valicando i confini della brughiera. Nel 1842 si recò a Bruxelles per perfezionare gli studi e vi rimase l’anno seguente come insegnante di lingua inglese. Il viaggio a Bruxelles fu un evento capitale nella vita di Charlotte Brontë, perché nella cittadina belga ebbe l’opportunità di conoscere il professor Heger - un uomo colto che esercitò un grande fascino sulla giovane. Tuttavia Heger era sposato e il loro amore si sarebbe rivelato impossibile, se non addirittura sconveniente.
Le loro frequentazioni troppo strette apparivano di cattivo gusto e presto Charlotte fu costretta a fare ritorno in Inghilterra. Di quell’amore soffocato, che continuava ad ardere sotto le ceneri mai spente, la giovane Brontë decise di fare materia di scrittura.
Charlotte Brontë e il successo di Jane Eyre
Trasformò l’amore che non avrebbe mai potuto vivere in una passione letteraria, destinata a resistere al trascorrere degli anni e addirittura delle epoche. A Monsieur Heger dedicò ben tre romanzi: Il Professore, Villette e il suo capolavoro Jane Eyre. La pubblicazione di Jane Eyre fu la consacrazione letteraria di Charlotte Brontë. Il romanzo ebbe un successo immediato e fu subito chiaro che la sua fortuna sarebbe stata destinata a durare.
Link affiliato
Aveva presentato al pubblico - all’epoca ancora ignaro - un’eroina anti-convenzionale, per certi versi persino anti-letteraria. La sua Jane era una giovane povera, non particolarmente attraente, che mirava a guadagnarsi da vivere con la sola forza del suo intelletto e non tramite un buon matrimonio. Una donna indipendente, volitiva, determinata che agisce seguendo il proprio temperamento e l’audacia delle proprie scelte. Jane Eyre, Charlotte non poteva saperlo, sarebbe diventata un’eroina immortale destinata a essere il modello di intere generazioni di donne.
La rivoluzione di Jane Eyre
Alla sua protagonista Charlotte riservò il lieto fine che lei, con Monsieur Heger, non avrebbe mai avuto. Le permise di sposare, nel trentottesimo capitolo dopo una lunga trafila di peripezie, l’amato Mr. Rochester.
Va detto che, comunque, il matrimonio tra Jane e Mr. Rochester avvenne in una condizione di assoluta parità ritenuta anomala per l’epoca. È lei a sposare lui, e non viceversa. È curiosa l’affermazione: “L’ho sposato, lettore” (Reader, I married him, Ndr) riferita da Jane al principio di uno degli ultimi capitoli. Con questa frase Charlotte Brontë ribaltò le convenzioni di genere del tempo, affermando l’assoluta volontà femminile.
È una donna, Jane, a decidere le sorti della sua vita fino alla fine. E, non a caso, la protagonista torna da Rochester quando lui è malato, cieco e infermo e bisognoso delle sue cure. Non si tratta certo di un principe o di un bel nobile che corre in soccorso di una giovane in pericolo: al contrario, nel finale è lei a salvare lui. Questo il lieto fine completamente innovativo che Charlotte Brontë propose ai lettori di metà Ottocento.
La morte di Charlotte Brontë
Lo stesso lieto fine, purtroppo, non toccò alla scrittrice. La vita le riservò un successo letterario inaspettato, e straordinario per l’epoca, ma non le risparmiò i dolori. L’esistenza di Charlotte Brontë fu infatti costellata da lutti: perse la sorella Emily, il fratello Branwell (artista e genio incompreso della famiglia) e infine persino l’amata Anne.
Era stata Charlotte, fin dall’inizio, ad amministrare la fortuna della famiglia. Fu sua l’idea di firmare i romanzi suoi e delle sorelle con degli pseudonimi maschili: da cui nacquero i nomi Currer, Ellis e Acton Bell che riprendevano simbolicamente le loro iniziali. Fu sempre lei a portare le poesie di Emily a un editore perché le pubblicasse (al volume aggiunse anche i suoi scritti e quelli di Anne, di tutt’altro valore, Ndr). E ancora lei decise di presentarsi a quel ricevimento a Londra svelando la sua vera identità.
Charlotte era indipendente e determinata, come la sua Jane Eyre, e si prese il successo a piene mani dopo averlo perseguito per tutta la vita con determinazione.
Rifiutò vari matrimoni, decisa a non sposarsi mai, se non per amore. Capitolò nel 1854 per il reverendo Nicholls. Aveva trentanove anni, un’età avanzata per l’epoca, considerata persino inadatta al matrimonio secondo la mentalità vittoriana.
La gioia ritrovata dopo tante pene tuttavia ebbe breve durata. Charlotte Brontë si spense il 31 marzo 1855, incinta del primo figlio, per le conseguenze di una grave bronchite.
Riportano i biografi che le sue ultime parole furono:
Devo morire anch’io? Che peccato morire ora. Sono così felice.
Il capitolo finale della storia della sua vita avrebbe voluto, ancora una volta, scriverlo lei. Lei che con una penna in pugno aveva saputo sovvertire le regole della società e di un’intera epoca. Tramite l’Io fittizio della propria scrittura, in una forma di autobiografia romanzata, Charlotte/Currer dava del “tu” ai propri pensieri e permise a una donna di affermare la propria volontà e la forza delle proprie passioni narrando l’indicibile.
Quella di Charlotte Brontë fu una scrittura militante che forse senza volerlo, obbedendo unicamente a se stessa, dischiuse una nuova visione del femminile in ambito letterario.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La vita appassionata di Charlotte Brontë
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Narrativa Straniera News Libri Charlotte Brontë Storia della letteratura
Lascia il tuo commento