Il 24 marzo 2022 è arrivato nelle librerie italiane un piccolo libro dalla copertina color verde petrolio, pubblicato da Fazi editore. È il primo volume di una trilogia che ha riscosso ampio successo in tutto il mondo, si intitola Infanzia (traduzione di Alessandro Storti, Fazi editore, 2022) e la sua autrice è Tove Ditlevsen, celebre scrittrice danese morta suicida nel 1976, fino a oggi sconosciuta in Italia.
Il nome di Ditlevsen è stato accolto dalla critica nazionale con grandi apprezzamenti: di lei dicono che è la “Annie Ernaux danese”, come se fosse necessario accostarla a un’altra autrice, più nota al pubblico italiano, per esprimerne il valore. Il New York Times, dal canto suo, ha paragonato la Trilogia di Copenaghen di Ditlevsen alla fortunata saga de L’amica geniale di Elena Ferrante. La critica scrive che Tove Ditlevsen ha in comune con Ernaux il taglio auto-socio-biografico della scrittura e con Ferrante l’ambientazione: la strada di Istedgade, il quartiere operaio di Copenaghen descritto da Ditlevsen, ricorda infatti il rione ferrantiano del quale rievoca personaggi, odori e umori.
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Il punto, tuttavia, è che Tove Ditlevsen era arrivata prima di tutti: il primo volume della sua fortunata trilogia, Infanzia, fu scritto nel 1967, più di cinquant’anni fa. Dunque, anziché presentarla come la copia di Ernaux e Ferrante, forse bisognerebbe dire che sono Ernaux e Ferrante e altre scrittrici contemporanee a essere potenzialmente in debito con Ditlevsen che inventò un genere di autobiografia letteraria capace di guardare alle mille sfaccettature del reale e, al contempo, alla frammentata interiorità dell’Io.
Ma per quale motivo, questa grande autrice del Novecento viene pubblicata in Italia soltanto ora, perlopiù di riflesso al successo di altre scrittrici contemporanee? Scopriamo la sua storia.
Tove Ditlevsen: la vita
Tove Ditlevsen nacque a Copenhagen il 14 dicembre 1917 e trascorse infanzia e adolescenza nel quartiere popolare operaio di Vesterbro. Era figlia di un intellettuale socialista, letterato mancato che per gran parte della vita si arrabattò con lavori saltuari e sottopagati che consentivano alla famiglia a malapena un poco di agiatezza.
La piccola Tolve ereditò dal padre quella vena creativa tenace e, al contempo, autodistruttiva. All’età di dieci anni già scriveva poesie, una delle sue prime opere poetiche adolescenziali apparve su un giornale dell’epoca e recava un titolo drammatico, che già preannunciava tematiche e stile della sua scrittura successiva: Al mio bambino morto.
A neppure vent’anni pubblicò la sua prima raccolta di versi, un esordio precoce che testimoniava un grande talento.
Nel 1947 divenne piuttosto celebre in Danimarca grazie alla raccolta di poesie Blinkende Lygter (tradotta in inglese come Flickering Lights, Ndr) e la casa editrice Danish Broadcasting Corporation le commissionò un romanzo. Nel 1954 uscì dunque il primo libro di Ditlevsen Vi har kun hinanden (Abbiamo solo l’un l’altro, Ndr) che fu trasmesso anche in radio in diverse puntate che appassionarono gli spettatori danesi.
Giovanissima, Tove Ditlevsen poteva vivere di scrittura. Alternava l’attività letteraria a quella di giornalista, gestendo alcune rubriche per dei quotidiani nazionali. Per diversi anni curò la rubrica del settimanale Familie Journalen rispondendo alle domande dei lettori.
Durante la sua esistenza scrisse 29 romanzi, alcuni dei quali oggi sono studiati come libri di testo nelle scuole danesi dove Ditlevsen è ritenuta un’istituzione, un’autrice ormai entrata nel canone letterario nazionale.
La sua vita privata, tuttavia, non era affatto felice. Ebbe quattro matrimoni, cui seguirono altrettanti divorzi.
Nel corso di tutta la sua vita adulta Ditlevsen lottò contro la dipendenza da alcol e droga. Fu ricoverata più volte in ospedali psichiatrici, che divennero un tema ricorrente nei suoi romanzi della maturità. Aveva scritto per salvarsi ma non ci era riuscita. Oggi le sue pagine sembrano rievocare una spietata operazione di psicanalisi che doveva essere cura, eppure fu veleno: in Infanzia, primo capitolo della sua celebrata autobiografia, rivive l’infelicità di Tove bambina che sembra rilucere di riflesso la tristezza granitica, sempiterna, inscalfibile della madre Alfrida tanto amata e così bella, che tuttavia non ricambiò mai l’adorazione della figlia. L’infanzia per Tove fu un periodo di luce breve, destinato presto a svanire: il suo scritto rievoca una bambina infelice, che poi fu una donna infelice e da quel dolore esistenziale profondo non guarì mai.
“L’infanzia”, scriveva Tove Ditlevsen, nel primo volume della sua Trilogia di Copenaghen “è lunga e stretta come una bara”.
La breve parentesi infantile era infatti destinata a consegnarla alla “prigione” dell’età adulta e per una outsider come Ditlevsen, spirito libero e creativo, non vi era modo di venire a patti con l’esistenza. Morì a soli cinquantotto anni, il 7 marzo 1976, per un’overdose di sonniferi. Era venuta meno anche la speranza che tuttavia rivive nei suoi libri soffusa, riverberando sul lettore una luce impalpabile, come nell’incipit folgorante di Infanzia:
Al mattino la speranza c’era. Si posava come un effimero bagliore sui capelli neri e lisci di mia madre che io non ho mai osato toccare, e si stendeva sulla mia lingua insieme allo zucchero del semolino tiepido che mangiavo lentamente mentre osservavo le sue mani affusolate, ripiegate l’una sull’altra, immobili sul giornale.
La trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen
La trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen è un’opera autobiografica che segue le tre fasi di vita dell’autrice e inizia significativamente con il volume Barndom (Infanzia, Ndr) pubblicato in Danimarca nel 1967. Seguono altri due libri, Ungdom (Gioventù) (1967) e Gift (1971) (che in danese significa sia veleno che matrimonio).
L’opera di Ditlevsen riscosse grande successo in Danimarca, tuttavia è giunta al pubblico internazionale solo in tempi più recenti. In America i primi due libri furono tradotti da Tiina Nunnally e pubblicati nel 1985 da Seal Press con il titolo Early Spring. La trilogia completa, con il terzo libro tradotto da Michael Favala Goldman, è stata pubblicata in un unico volume nel 2019 (con i titoli Childhood, Youth e Dependency) e indicata per la prima volta con il nome di The Copenhagen Trilogy.
Tre libri brevi che tuttavia lasciano un’impronta indelebile nel lettore e sono osannati in tutto il mondo come un capolavoro. Il New York Times scrive che la Danimarca narrata da Tove Ditlevsen è umida e “senza fiori”, che vi si respira un’atmosfera densa e spirituale ma, al contempo, devastante.
Quel che è certo è che la parola scritta di Ditlevsen rieccheggia sino ad oggi senza perdere un briciolo della sua intensità. In lei ritroviamo l’analisi spietata del reale, in bilico tra pubblico e privato, che caratterizza la prosa limpida, sferzante di molte autrici contemporanee.
La femminilità descritta dall’autrice danese rispecchia infatti l’immagine più fedele delle narrazioni attuali: è in controluce, punteggiata di chiaroscuri, un ritratto in ombra che sembra raccontare ciò che fiumi di pagine scritte non sono ancora riuscite a dire sull’evoluzione complessa dell’interiorità di una donna, dall’infanzia sino all’età adulta.
Quando usciranno gli altri romanzi della trilogia di Tove Ditlevsen in Italia?
Dopo la pubblicazione di Infanzia, primo capitolo della fortunata Trilogia, Fazi editore porterà nelle librerie italiane anche i libri successivi: il secondo volume Gioventù uscirà in autunno, mentre il prossimo anno, il 2023, sarà il turno dell’ultimo volume, Dipendenza, il capitolo conclusivo della saga di memorie di Tove Ditlevsen.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Tove Ditlevsen, l’autrice de “La trilogia di Copenaghen”
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