Lei era la figlia prediletta del Mago, lui il secondogenito fragile e geniale che cercava invano di affermarsi liberandosi dall’ombra di quel padre così ingombrante.
La storia di Erika e Klaus Mann, i figli del gigante della letteratura mondiale Thomas Mann, rappresenta un affascinante romanzo a sé: un racconto di vita che sembra intrecciarsi inesorabilmente con la letteratura trasformando persone reali in personaggi con una continuità narrativa disarmante.
Il confine sottile tra vita e arte, quella tensione estrema e inesprimibile che animava sottotraccia tutte le opere di Thomas Mann, divenne la maledizione di un’intera famiglia: mai l’eredità paterna ebbe un peso così gravoso sulle spalle dei figli come accadde in questa sventurata “amazing family”, come amava definire il clan dei Mann la stampa americana del Novecento.
Nelle vite difficili, avventurose, nomadi dei fratelli Mann si esemplifica tutta la ricerca dell’individualità di due personalità artistiche e geniali che desideravano, più di ogni altra cosa, affermarsi in autonomia.
Anime tormentate, ribelli, fratello e sorella furono uniti come gemelli siamesi nella loro ostinata ricerca di una vita che valesse la pena di essere vissuta. Erika e Klaus avevano un solo anno di differenza, non si assomigliavano affatto fisicamente: lei era alta e imponente, lui magro e gracile dalle sembianze androgine, eppure tutti li chiamavano i “gemelli Mann”. La loro unione appariva subito evidente a chiunque li guardasse: erano legati l’uno all’altro da segrete assonanze della mente e, più di ogni altra cosa, dal desiderio di riscattarsi dall’infelicità in cui erano nati e cresciuti.
Nel 1924 insieme lasciarono Monaco e partirono alla volta di Berlino. Fu l’inizio di una vita nomade, sempre in fuga, in bilico tra scrittura e una vocazione disperata e disperante per l’autodistruzione. Erika aveva ventidue anni, Klaus ventuno: il padre, da lontano, scriveva a entrambi lunghe lettere e si premurava di sostenerli economicamente. Tutto infatti di Thomas Mann oggi si può dire tranne che non fosse un padre presente, lo era fin troppo: era presente persino nell’assenza. La fama di Thomas Mann si distese come un’ombra sull’esistenze di Erika e Klaus, non lasciò loro tregua per tutta la vita. I loro nomi sarebbero rimasti sempre inestricabilmente legati al suo.
Erika Mann, la figlia prediletta del Mago
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Intraprendente e volitiva, Erika Mann era la beniamina del padre. Lei e Thomas Mann si scambiarono lunghe lettere per tutto il corso della vita. Tra i due scorrevano fiumi di parole affettuose e fantasiose. Lui la definiva la sua “discepola intellettuale”. Al termine di ogni missiva il grande scrittore tedesco era solito firmarsi “Il Mago”. In seguito l’epistolario fu pubblicato dalla stessa Erika Mann con il titolo Mein Vater, der Zauberer (Mio padre, il mago, Ndr).
Lei ebbe non una, ma mille vite, grazie alla sua capacità camaleontica di reinventarsi costantemente. Iniziò la carriera come cabarettista, inventandosi il cabaret politico chiamato Il macinapepe (Die Pfeffermühle, Ndr) che a Monaco radunava gli oppositori del regime. Presto odiata dai nazisti per le sue posizioni politiche controcorrenti, le fu attribuito l’appellativo infamante di “traditrice ebrea”. Fuggì dalla Germania hitleriana anche per questo motivo. Fu attrice, scrittrice per l’infanzia, saggista, giornalista politica.
Ebbe numerose relazioni omosessuali e altrettanti matrimoni di facciata che le permisero di espatriare e vivere dove desiderava con un nuovo passaporto. Visse a Parigi, in Inghilterra, e infine nella sua patria d’elezione: gli Stati Uniti, dove lavorò a lungo come corrispondente per la BBC.
Soltanto negli ultimi anni Erika decise di porre fine al suo nomadismo esistenziale e di fare ritorno a Zurigo, in Svizzera, per prendersi cura del padre ormai vecchio e malato. Divenne la sua segretaria, la sua consigliera, lo accompagnò sino alle soglie della morte. A lei Thomas Mann scrisse la sua ultima lettera prima di morire, come a suggellare un patto d’amore.
Klaus Mann, l’angelo ribelle
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Controversa e tragica è invece la parabola di Klaus Mann, secondogenito del grande scrittore. Genio precoce e incompreso dal suo tempo, Klaus fu prima eclissato e infine sconfitto dall’ombra del padre.
Come la dinamica sorella, Klaus fu attore, giornalista ma soprattutto scrittore.
A soli diciotto anni si era già affermato come critico teatrale a Berlino, ma decise di andarsene dalla città quando iniziò l’ascesa di Hitler. Deciso oppositore della Germania nazista rimproverò al padre in lunghe lettere la mancanza di una ferma presa di posizione nei confronti del regime hitleriano. A soli vent’anni Klaus Mann scrisse una monumentale biografia su Alessandro Magno, riscoperta e ripubblicata solo in tempi più recenti. A quella prima estrema fatica letteraria - come lui stesso la definì - fecero seguito altri romanzi di successo come Mephisto e Il vulcano, oltre alla monumentale autobiografia intitolata La svolta pubblicata in Italia dalla casa editrice Il Saggiatore.
Era animato dal fuoco vivo dell’ispirazione letteraria che lo aveva travolto come incendio già nei suoi primi vent’anni, permettendogli di trasformare la vita di Alessandro Magno in una favola orientale. Ma era fragile Klaus, viveva la propria omosessualità come un tormento, sprofondò nella droga come nel più tremendo dei vizi. E quello stesso padre, che nelle lettere cercava di aiutarlo e sostenerlo, si rivelò essere la sua peggiore sciagura.
Della paura devastante che lo dilaniava parlò nel libro Figlio di questo tempo, in cui narrava il tempo della sua giovinezza “prima della vita”: l’infanzia protetta da “ultimi, viziati, rampolli di una borghesia altamente intellettualizzata”.
Klaus pubblicò la biografia su Alessandro Magno quando Thomas Mann vinse il Nobel. Il cono d’ombra del padre si allungava oscurando i suoi successi. Poteva essere un grande scrittore, ma non sarebbe mai stato “il più grande”.
La dedica che Thomas Mann scrisse al figlio su una copia della Montagna incantata oggi risuona come una tragica profezia:
All’ apprezzato collega - il padre pieno di speranze.
Il Mann padre restava per Klaus un modello irraggiungibile. Il rapporto padre-figlio continuò a scorrere su un doppio filo di amore-odio. Klaus invidiava al padre il successo; mentre Thomas Mann invidiava al figlio la vita libera, bohémienne, lo stile dandy, il fatto che non avesse una residenza fissa e non facesse mistero della propria omosessualità.
Quel confronto continuo tuttavia degenerò in conflitto e non portò a nulla di buono. Due grandi scrittori in una famiglia sono troppi, finiscono per divorarsi tra loro come galli in un pollaio.
In una lettera Klaus Mann osservò lucidamente:
Se il figlio di un grande scrittore si mette a far libri anche lui, la gente alza le spalle.
Quella vita in eterno secondo piano finì per distruggerlo. La sua irrequietezza non trovava pace, non c’era luogo nel mondo dove potesse andare e realizzare pienamente se stesso.
Il 22 maggio 1949 Klaus Mann morì suicida, a Cannes, per un’overdose di barbiturici.
La tormentata storia di Erika e Klaus Mann è stata raccontata anche cinematograficamente in un avvincente documentario Escape to Life: The Erika and Klaus Mann Story dei primi anni duemila. Il titolo rimanda all’omonimo romanzo scritto a quattro mani dai fratelli Mann, in cui i due narravano la vita dei tedeschi esuli durante gli anni del nazismo, pubblicato per la prima volta nel 1939.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi erano Erika e Klaus Mann, i figli scrittori di Thomas Mann
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