Divorzio di velluto
- Autore: Jana Karšaiová
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2022
Questo non era cambiato. Il paese nella sua frenetica corsa verso la modernità partoriva sé stesso continuamente, ma poi di notte ritornava ad avere le sagome di sempre.
Tornare a casa. Solitamente le storie terminano con il ritorno. Il cerchio si chiude, l’eroe ha compiuto il suo viaggio, persino Ulisse torna a Itaca dopo aver sfidato malefici e ciclopi. Narrativamente si abbina l’idea del ritorno a un atto pacificatore: è il lieto fine per eccellenza, cosa accada dopo non è dato sapere.
Divorzio di velluto (Feltrinelli, 2022), il folgorante romanzo d’esordio di Jana Karšaiová entrato nella dozzina del premio Strega 2022, stravolge tutte le prospettive e le modifica. È con il ritorno che il libro ha inizio e, significativamente, si conclude con una partenza.
Quando torna a casa per le vacanze natalizie, Katarìna è pervasa dalla sensazione di sempre, un malessere diffuso difficile da scacciare. Il suo primo pensiero, mentre cammina per le strade innevate di Bratislava, è che “sarà per l’ultima volta.”
Il ritorno - l’atto del ricongiungimento - è in realtà una lacerazione. Ma non si può sfuggire dalle proprie radici e Katarìna dovrà fare i conti con una verità ineludibile: i ritorni non implicano riconciliazioni.
L’atmosfera familiare è claustrofobica, asfissiante, Katarìna vi si agita senza respiro come la carpa immolata per il cenone della Vigilia. Per la madre lei è la “figlia guasta” e la notizia della sua recente separazione dal marito non fa che accrescere l’evidenza dell’affermazione. “Eugen se n’è andato, forse ha un’altra”, dice Katarìna con voce ferma, ma nessuno capisce il suo dolore, lo smarrimento dell’abbandono.
Il romanzo di Jana Karšaiová narra la storia di un duplice divorzio: quello tra Katarìna e Eugen - lei ceca, lui slovacco - e quello di una nazione. La dissoluzione della Slovacchia è anche conosciuta con il nome di Divorzio di velluto in riferimento alla Rivoluzione dell’89 che avvenne senza violenza, tramite manifestazioni pacifiche. Non esistono tuttavia divisioni senza strappi: c’è sempre qualcosa che resta impigliato nel margine slabbrato, pezzi che rimangono spezzati per sempre incapaci di ricomporsi, ferite nascoste che non rimarginano. Nel narrare di un divorzio, flashback dopo flashback sino all’apice, Karšaiová ci racconta anche una storia d’amore e di identità.
Sono tanti e stratificati i piani di lettura attraverso cui potrebbe essere letto questo romanzo: Divorzio di velluto non è solo la storia di Katarìna, ma anche quella di Eugen, Viera, Lukas, Dora e della professoressa D’Angelo, tutti esseri in fuga. Infine è, soprattutto, la storia di un paese che potrebbe essere paragonato a una fenice moderna. Tutti i personaggi imparano ad affrontare una propria personale crescita, ognuno a modo suo, e certamente non come avrebbe immaginato.
In un romanzo breve eppure fulminante, Karšaiová riesce ad affrontare numerosi temi con una scrittura magistrale. Il linguaggio asciutto, scabro, ma denso di riferimenti e analogie, rivela una padronanza rara per una scrivente esordiente e, perlopiù, non madrelingua.
Merita sicuramente un cenno la riflessione linguistica, interessante sottotrama di Divorzio di velluto. Il personaggio che meglio la esplicita è quello di Viera, vecchia compagna di università di Katarìna, approdata in Italia grazie a una borsa di studio e, anche, per inseguire un amore destinato a tramutarsi in una delusione cocente.
Fuori Viera si era seduta sul prato davanti alla mensa, era una giornata mite con il primo sole primaverile, era rimasta con le gambe allargate a stritolare l’erba fra le dita. Quello era il momento che più tardi avrebbe chiamato il punto zero, una specie di piccolo personale big bang.
Forte e indipendente, Viera ha studiato italiano per anni e non accetta l’idea di sentirsi straniera. Sovrappone l’italiano persino alla propria lingua madre, lo slovacco. Annulla la lingua d’origine a favore della lingua d’adozione. Dibatte con un professore universitario a proposito del concetto di relatività linguistica: è vero che il modo in cui si osserva il mondo è determinato totalmente o in parte dalla struttura della propria lingua madre? Viera è determinata a sfatare questa ipotesi. Dice che non vuole più sentirsi una straniera, il che equivale ad essere “un’eterna intrusa”.
Jana Karšaiová attraverso l’espediente linguistico propone al lettore una riflessione profonda sul concetto di integrazione. Il cervello di Viera a volte fa clic, quando è troppo arrabbiata o troppo triste, e ritorna allo slovacco: per lei parlare la propria lingua diventa indice di debolezza. Tutta la fatica, la frustrazione, il duplice impegno che costa essere stranieri, fuori dal proprio paese d’origine, viene paradossalmente rivelato da una donna che si è integrata nel migliore dei modi. Karšaiová non ci racconta l’esclusione, ma lo smarrimento, lo sforzo della metamorfosi.
Divorzio di velluto inizia con un ritorno per narrarci le esistenze di esseri in fuga, il che a ben vedere è l’effettiva condizione dell’uomo contemporaneo. Smarrirsi per ritrovarsi, o forse solo perdersi di nuovo. L’identità è un processo in costante divenire e si nutre di strappi, di separazioni e di ricongiungimenti tardivi. La letteratura, del resto, deve raccontare quel che si nasconde sotto la superficie: dunque i sentimenti sconvenienti, i legami familiari insani, l’amore perduto e smarrito, ciò che non può essere detto.
È un imperativo categorico questo e Jana Karšaiová vi ha obbedito mettendo sulla carta l’indicibile in una maniera stupenda, rendendolo più giusto e, soprattutto, più vero.
Non esistono rivoluzioni gentili né separazioni senza conseguenze. Divorzio di velluto per quasi duecento pagine ci narra la storia di uno strappo mostrandoci i bordi che lentamente si dividono allargando la spaccatura sino alla scissione definitiva. Tutti di solito raccontano il “prima” e il “dopo” e sono bravi in questo, ma per raccontare il processo, la lacerazione dolorosa, ci voleva coraggio e una grande voce.
Non vorrei fare previsioni avventate, ma credo di aver appena finito di leggere il futuro premio Strega.
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