Rosalba Perrotta ha insegnato Sociologia alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania. Ha già pubblicato altri tre romanzi, tra cui “All’ombra dei fiori di Jacaranda” (Salani 2013) e una raccolta di racconti. Vive a San Gregorio, un piccolo centro ai piedi dell’Etna.
Esce oggi 23 febbraio “L’uroboro di corallo” (Salani, 2017, pp. 324, euro 15,90), il nuovo romanzo della scrittrice siciliana, suggestiva storia di una rinascita femminile tardiva ma proprio per questo credibile e contagiosa. Come cornice alla godibile narrazione, appare una Sicilia contemporanea in bilico tra modernità e retaggi esoterici, tradizioni e famiglie allargate.
“Scrivo questa lettera per chi erediterà la mia casa: per le nipoti dell’uomo che mi ha portato a vivere con sé una vita felice. Cercate tra le mie cose: dentro una scatola, in mezzo a varie cianfrusaglie, c’è una spilla di corallo che vorrei restasse nella famiglia. Non ho il tempo e la forza adesso di spiegarvi perché. E probabilmente non mi credereste neanche”.
La “Vita Nova” di Anastasia Buonincontro parte da un palazzetto di fine Settecento sito nel quartiere più malfamato di Catania co-ereditato insieme alle cugine paterne in seguito alla morte dell’amante lituana del nonno che ne aveva l’usufrutto. Una spilla di corallo che raffigura un uroboro, un serpente che si mangia la coda, per uno strano scherzo del destino viene affidata ad Anastasia. Per lei questo piccolo oggetto contenuto con altri gioielli in una vecchia scatola diventa una sorta di talismano, la chiave di volta per ritrovare se stessa. Anche a più di settant’anni.
“Strano che la spilla sia capitata proprio a lei e strano che da allora lei si senta diversa: l’uroboro avrà poteri occulti?”.
Abbiamo intervistato l’autrice.
- Rosalba, la storia di Anastasia Buonincontro dimostra che non è mai troppo tardi per imparare a vivere?
A 71 anni Anastasia impara finalmente a cantare, si veste di rosso Valentino e inizia una nuova interessante attività. Troppo anziana per questo? Ma chi sono gli anziani? Gli anziani, osserva sua figlia Nuvola, non esistono: “Non sono un’entità ontologica. Siamo noi a creare le categorie, a catalogare le persone e ficcarcele dentro”. Nell’Ottocento una donna era già anziana a quarant’anni.
Circondata dalle tre cugine “continentali” sue coetanee, che fungono sia da modello (“Vedi come siamo libere e indipendenti noi?”) sia da specchio (“Tu vali. Hai anche tu la possibilità di cambiare”), e rassicurata dai presunti poteri dell’uroboro, Anastasia impara a guardare la realtà con occhi diversi. Si comporta quindi in modo differente, e spezza (finalmente!) la gabbia di convenzioni in cui era prigioniera. Non è mai troppo tardi, come affermava in tv il maestro Manzi.
- Che cosa simboleggia l’uroboro?
Il serpente che si morde la coda è simbolo di trasformazione e rinascita. Il mio è un romanzo sul cambiamento. L’inaspettata eredità favorisce una reazione a catena che aiuta i personaggi a mutare in meglio la loro vita. La spilla tocca in sorte ad Anastasia che la considera un talismano e, rassicurata, supera timidezza e paure. Le nuove relazioni di Anastasia (la cugina Alida e il suo amico Matteo) aiutano Nuvola a superare il dolore per il matrimonio sfumato poco prima delle nozze e a intraprendere una nuova affascinante strada. E cambiano anche Fernanda, l’amica di Nuvola, Matteo, il cuoco-notaio bello, nero e solitario, e Rossella, apprendista panettiera… E, in particolare, cambia Igor Pastorello, il primo amore di Anastasia, che tornerà dalla Guadalupa per iniziare con lei un’interessante avventura tra i libri.
“Sì, lei fa i cappelletti, all’antica: tira la sfoglia, prepara il ripieno... ”.
- Nei Suoi romanzi il lettore trova anche la descrizione di piatti appetitosi. Ce ne vuole parlare?
I cibi che metto nei miei romanzi sono quelli che a me piacciono, e sono tanti. Nell’Uroboro di corallo, invito il lettore ai succulenti pranzi di Anastasia e al cenone di Capodanno nel palazzetto di San Berillo, lo porto a Palermo, dinanzi alla pasta con le sarde di Doriana, e in Guadalupa, alla Catanesella, il ristorante siciliano di Giovanni. Descrivo le vivande e spiego anche “come si fa”. Seguiamo quindi Anastasia nel rito dei cappelletti, spiamo gli ingredienti della salade au chèvre chaud dinanzi a cui Nuvola riflette nella brasserie di Bruxelles, scopriamo cosa c’è nella trionfale pasta alla Norma e nella opulenta parmigiana della Catanesella. Nel romanzo, come nella vita, il cibo sostiene e conforta, rafforza i legami di affetto e di amicizia, sottolinea le trasformazioni dell’identità (i cibi macrobiotici e vagamente vegani di Nuvola, ad esempio) ed esalta la creatività.
- Quanto è importante, come sosteneva Virginia Woolf, che una donna abbia “una stanza tutta per sé”?
È molto importante avere uno spazio personale, anche se piccolissimo, in cui sia possibile chiudere la porta, per “staccare”, per ritirarsi dal mondo e far lavorare la mente in tranquillità. Nei secoli, questo alle donne è stato negato: Jane Austen riusciva a scrivere nel soggiorno o nell’angolo del tavolo da pranzo, ma chissà a quanti contributi femminili abbiamo rinunciato, perché alle donne mancavano le condizioni per coltivare ed esprimere il loro pensiero. Io ho la fortuna di avere una stanza tutta per me, e fuori dalla mia finestra sventolano i rami di una jacaranda.
L’8 marzo non è un giorno di festa ma una celebrazione per le donne che riuscirono a ottenere tutti quei diritti che diamo per scontati: diritto di voto, uguaglianza sul lavoro, parità tra i sessi. Serve ancora una giornata per festeggiare l’essere donna?
C’è ancora molto da fare per raggiungere una parità reale, per fare in modo che le donne siano considerate esseri umani a tutti gli effetti e non più, come diceva Simone de Beauvoir, “Il secondo sesso”, e c’è molto da fare per ottenere che pure gli uomini sviluppino le loro capacità espressive ed estetiche e non siano costretti nel rigido modello “maschile”. Si tratta di un mutamento culturale che presuppone un processo di socializzazione diverso da quello attuale: è necessario partire sin dai primi anni di vita, modificare il linguaggio, i giochi e le narrazioni per proporre modelli che non siano stereotipati. Se si vuole liberare la donna dal carico del “doppio ruolo”, la cura dei figli e della casa dovrebbe essere compito di entrambi i coniugi, in eguale misura; la parità comporta che un bambino, quando cade, non gridi più automaticamente “Mamma!”. Le donne hanno percorso un tratto di strada per riscattare la parte di sé amputata dalla storia e dalla cultura, un percorso analogo anche per gli uomini porterebbe a una maggiore equità nella divisione dei compiti e permetterebbe di valorizzare quegli aspetti che sono stati soffocati e repressi.
C’è bisogno di una festa per questo? Sì, se serve a ricordarlo. No, se è soltanto un pretesto per fare scempio di mimose.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Rosalba Perrotta presenta “L’uroboro di corallo” in un’intervista
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