Il quattordicesimo romanzo di Cosimo Argentina, “Le tre resurrezioni di Sisifo Re”, rappresenta un traguardo importante nell’ampia e diversificata produzione letteraria dell’autore pugliese: iniziata nel 1999 con “Il cadetto”, passando per “Cuore di cuoio”, “Viaggiatori a sangue caldo”, “Maschio adulto solitario”, “Vicolo dell’acciaio” e “Per sempre carnivori” – solo per citare alcuni titoli – arriva ad un libro che, in modo molto riduttivo, potremmo inserire nel genere fantascientifico.
Procedendo per blocchi tematici, Argentina è passato da una narrativa di tipo “realistico”, con paesaggi urbani caratteristici del Sud, al primo episodio di una trilogia ambientata in un tempo futuro, in una realtà disgregata, ricca di rimandi letterari, cinematografici e iconografici, dove il tema del “doppio” si presenta come portatore di ambiguità e mette in discussione la nostra identità e unicità.
A detta dello stesso autore, però, l’intento è quello di parlare del nostro presente, della strada che abbiamo intrapreso: non una proiezione del nostro domani, dunque, piuttosto una rappresentazione dell’oggi, di un futuro che è già qui.
Abbiamo approfondito con Cosimo Argentina alcuni dei temi presenti nel suo ultimo romanzo.
- Quali sono i “padri letterari” cui ti sei ispirato per questo romanzo?
Per la prima volta in uno dei miei libri c’è una pennellata di pura letteratura. Questo è dovuto al fatto che ci sono dei rimandi, ad esempio, alla letteratura fantastica e fantascientifica degli anni ’50, che io amo molto. Cito, fra gli altri, Robert E. Howard, meglio conosciuto per essere il padre di Conan il Barbaro. Morto giovane, suicida a trent’anni, aveva creato diversi cicli del fantastico molto importanti. Ci sono poi omaggi ai fumetti di Sin City e al loro autore, Frank Miller; ho inserito citazioni di Virgilio, Milton, Dante...
Amo molto la fantascienza, ma non quella delle astronavi con gli omini che tentano di conquistare la terra e poi ripartono, ma quella del “qui e adesso”: in questo momento siamo qui a parlare ma potremmo, invece, essere la proiezione, il sogno della mente di un altro essere. È la fantascienza del doppio, che cerca di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è: un grande come P. J. Dick, ad esempio, aveva una gemella morta poco tempo dopo il parto e si chiedeva di continuo se era veramente morta lei e non, piuttosto, lui stesso.
- Questo romanzo è stato definito in molti modi, “fantascienza d’autore” con risvolti del noir, del fumetto…, altri affermano che “non è catalogabile”: che cosa pensi a questo proposito?
Ho sempre pensato che la fantascienza sia la moderna mitologia: come la mitologia, attraverso il fantastico, ci parlava dei costumi degli antichi, così la fantascienza, in fondo, è la sentinella che ci avverte su cosa potrebbe succedere, su quale strada siamo diretti.
Per far capire di che cosa si tratta, posso accennare la trama. C’è una città di 40 milioni di abitanti, una metropoli che, per estensione, è grande come una regione – per la sua conformazione allungata, potrebbe essere la Puglia. Qui è stato ucciso il tiranno ed i tre figli, piuttosto che spartirsi il potere, hanno deciso di combattere fra di loro. In questo caos, con eserciti regolari e irregolari che sono in guerra, tutti contro tutti, ci sono due personaggi anomali che devono trovare un assassino che ancora non lo è: sembra che debba essere ucciso un uomo, ma questo non è ancora avvenuto.
Quindi l’assurdo è che in una città dove tutti uccidono tutti, occorre trovare un omicida in divenire.
- Ci puoi parlare dei personaggi principali?
Uno di questi personaggi anomali, Sisifo re, è un detective sempre malato, narcolessico, che tende a svenire; va in giro vestito da pagliaccio, truccato da joker e, soprattutto, non riesce mai a dire una frase completa: le inizia, ma rimangono sempre a metà.
Il suo fido scudiero, Oscar Orano, detto Oh-Oh, è uno sporco irlandese – così come lui stesso si definisce – da parte di madre, un uomo corpulento, pratico, che mantiene i contatti e dà all’agenzia investigativa il senso vago di luogo reale. Li accompagna in questo percorso anche l’ultimo dei lombrosiani, un professore universitario esperto di criminologia – nel XXIII secolo le teorie ottocentesche di Lombroso contano ancora qualche seguace – che vive con un uomo deforme che gli fa da assistente all’interno dell’università, in mezzo alla formaldeide e a pezzi di corpi sezionati. Se ci spostiamo all’interno di questa città, c’è anche un ragazzo bellissimo, una specie di angelo caduto sulla terra, che si innamora di una ragazza tossica e invece di elevare lei al suo rango, è lui che sprofonda nell’inferno della tossicodipendenza. C’è infine un surfista – inteso come un elicotterista che fa surf magnetico –, che entra nei meandri della mente di questo angelo, cercando di suturare le sue ferite attraverso la vendetta.
- Identificate dal corsivo, alcune parti del romanzo sono ambientate in un mondo parallelo, “un altro dove”, in cui - tu scrivi - sperare di strapparsi di dosso il laconico presente: ci sono, infatti, due piani narrativi...
Sì, l’altro piano narrativo è quello pseudo-normale dove ritroviamo gli stessi personaggi con un altro ruolo: un uomo uccide delle prostitute e la polizia è sulle sue tracce. L’aspetto anomalo è che la situazione “normale” è una proiezione della mente di Oscar, mentre la situazione apparentemente pazzesca, degradata, allucinante, è la realtà. In questa doppia realtà può succedere che una donna bellissima, fatale come Selina Corbeves affermi che il marito sta per essere ucciso e sia anche l’affascinante capo-sezione del dipartimento di polizia che maltratta i suoi sottoposti.
- Che rapporto c’è, allora, fra i due mondi di finzione che hai creato nel romanzo e la nostra realtà?
Uno scrittore cerca di dare la sua versione di ciò che vede o che pensa di vedere; nella sua visione c’è la sua sensibilità o comunque il suo modo di deformare le circostanze. Penso a Céline che faceva l’esempio di un bastone dritto che, immerso nell’acqua, sembra piegato. Perché appaia diritto bisogna spezzarlo un pochettino prima di immergerlo, deformarlo preventivamente, se così si può dire. Ecco, pur mantenendo una coerenza interna, io cerco di distorcere il più possibile con la mia lente interiore quello che scrivo in modo che il lettore possa apprezzare ciò che sembra una forzatura, ma che nasconde la realtà. A volte – è capitato anche in altri miei romanzi – le cose più assurde, sono vere e viceversa. La difficoltà, per uno scrittore, è trovare qualcuno che condivida le tue emozioni. Quando questo succede, è una specie di magia.
- Come hai gestito un intreccio che si svolge su due piani narrativi e con due voci narranti?
Per poter tenere insieme un romanzo complesso, quando ci lavoro, devo rileggerlo sempre tutto. Se, ad esempio, devo scrivere pagina 110, rileggo prima tutte le 109 pagine precedenti. E questo ogni giorno. È un lavoro lungo ma piacevole, perché nello stesso tempo si può intervenire, ritoccare, correggere. E ricredersi anche. Solo se si riesce ad avere nella mente ben chiaro quello che sta succedendo, si può avere tutto sotto controllo.
Ci sono degli autori di gialli che hanno una parete piena di post-it, perché devono capire l’architettura della storia: io non sono uno scrittore di genere e uso un altro metodo.
- Ci vuoi parlare dell’aspetto formale, di un linguaggio che si arricchisce e cambia ad ogni tua nuova opera?
Penso che ogni storia abbia un suo linguaggio e il linguaggio di questo romanzo non è qualcosa di definitivo. Ho aperto questo file nel 2008, un pomeriggio mentre mi trovavo in villeggiatura, nel centro storico di una località di mare, con una spiaggia bellissima. Poi il racconto ha preso una sua strada, anomala rispetto alla fantascienza più tradizionale. Ho lavorato di bulino, inserendo forzature quasi teatrali: nella mia testa c’era una sorta di palcoscenico shakespeariano, la trama aveva sia il passo sia del romanzo, sia le accelerazioni tipiche del teatro. Non è detto che utilizzerò ancora questo linguaggio in futuro.
- “Le tre resurrezioni di Sisifo Re” è il primo di una “trilogia della Torre”: puoi accennare qualche cosa su come si evolverà la situazione? Hai già pronti gli altri episodi?
Sì, fa parte di una trilogia che ho già scritto, ma che vedrà la luce solo se Sisifo andrà bene!
In questa trilogia c’è un elemento fondamentale: l’ambientazione. Nel secondo capitolo mi sono ispirato ad una baia dove si trovano nell’arco di circa duecento metri quadrati una torre saracena diroccata, un vecchio deposito di munizioni della prima guerra mondiale, un bunker della seconda guerra mondiale, i resti di una villa romana e un criptoportico di una città della Magna Grecia.
E’ un posto magico, dove la gente non va volentieri, perché non è facilmente raggiungibile per via degli scogli. Nel terzo episodio, lascio il mare per la “Torre”: mi sono ispirato all’ospedale di Taranto sulla strada per Martina Franca. La città finisce, c’è la macchia mediterranea, pietraie, una specie di anfiteatro abbandonato e poi questa torre che è la struttura dove la gente si cura soprattutto dal cancro. Entra ed esce a ciclo continuo per i problemi creati dall’inquinamento dell’Ilva.
- Per concludere, a me pare che, se a livello letterario la fantascienza risulta un genere per veri appassionati, al cinema è sicuramente seguita da un pubblico più ampio. Se sei d’accordo, come ti spieghi questo fenomeno?
Secondo me la fantascienza è stata rovinata da un equivoco di fondo: c’è tanta produzione mediocre, perché si crede che tutti possano scrivere fantascienza o fantasy con una qualità accettabile. Invece, si tratta di un genere molto difficile e per approcciarsi alla fantascienza occorre avere una grandissima capacità non solo di scrittura, ma anche di conoscenza degli aspetti tecnici e filosofici, di argomenti specifici in ambiti diversi, di tutto ciò che sta intorno.
Capita che mi mandino dei manoscritti: molti si cimentano nel fantasy e nella fantascienza, scrivendo cose già lette, scimiottando autori importanti come Isaac Asimov, Arthur C. Clarke, George Orwell…
Invece la fantascienza è genere molto complesso e solo chi ha alle spalle i grandi classici del passato, che hanno toccato vertici clamorosi, può tentare un approccio. Si tratta di un genere affascinante e di altissimo livello. Paradossalmente, uno potrebbe scrivere bene la propria biografia ma scrivere di fantascienza è un terreno molto scivoloso. Per quanto riguarda i film, invece, sono spesso realizzati con grandissimi mezzi economici, e quindi hanno un impatto molto potente su un pubblico più diversificato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cosimo Argentina presenta in un’intervista “Le tre resurrezioni di Sisifo Re”
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