La vita dello scrittore John Griffith Chaney, in arte Jack London, fu degna dei suoi romanzi. Un’esistenza letteraria, nel vero senso del termine, rocambolesca e tormentata.
Persino sulla sua fine si stende ancora l’ombra oscura del mistero: l’ipotesi più accreditata è che lo scrittore si sia suicidato il 22 novembre 1916 nel ranch di Glen Ellen in California, ma nulla è come sembra.
La storia della morte del celebre autore è una narrazione a sé, iperbolica e contraddittoria, che si potrebbe trasfigurare in un romanzo giallo dal titolo "L’ultimo giorno di vita di Jack London".
Tuttavia meglio procedere con ordine e raccontare la storia dello scrittore partendo dalla nascita, come ogni biografia che si rispetti. Del resto, i colpi di scena non mancano.
Jack London: la vita
Jack London nacque il 12 gennaio 1876 a San Francisco, registrato all’anagrafe con il nome di John Griffith Chaney. Era figlio illegittimo. La madre, Flora Wellman, si risposò con un contadino di nome John London solo otto mesi dopo la sua nascita. Jack fu quindi cresciuto a tutti gli effetti dal padre adottivo, da cui in seguito avrebbe preso il cognome.
L’infanzia del piccolo London fu segnata dalla povertà. Si racconta che a dieci anni vendesse giornali per strada per aiutare economicamente la famiglia. La fine dell’Ottocento negli Stati Uniti fu un momento di grande transizione, nella quale la depressione economica ebbe un ruolo preponderante.
Il piccolo Jack dovette imparare in fretta a stare al mondo: le difficoltà economiche e familiari non gli consentivano di vivere appieno l’infanzia. Nella sua più tenera età London viveva sul molo del porto di Oakland, frequentando compagnie non esattamente raccomandabili per un bambino.
Fu per strada che Jack London conobbe tutti coloro che, un giorno, sarebbero diventati protagonisti o comparse dei suoi romanzi: marinai, contrabbandieri, ladri e commercianti.
Lui stesso visse seguendo quei modelli, all’insegna della discontinuità. Nella sua breve esistenza fece i lavori più disparati: cacciatore di ostriche, operaio di fabbrica, marinaio e raccoglitore di iuta. Provò ad iscriversi all’università, alla Berkley University, ma l’impossibilità di pagare la salata retta lo costrinse presto ad abbandonare gli studi.
Una vita la sua sempre all’insegna dell’avventura, tra le varie esperienze da lui intentate non mancò neppure una mirabolante caccia all’oro.
Il giovane London infatti fu coinvolto in una spedizione in Canada alla ricerca del mitico oro del Klondike. La ricerca dell’oro non andò a buon fine: London fece ritorno a San Francisco dopo aver contratto lo scorbuto, parecchio acciaccato e persino più povero di quando era partito.
Dopo quell’insuccesso decise di concentrarsi esclusivamente sulle sue "avventure letterarie", e quelle sì che lo ricompensarono di tutti i fallimenti precedenti.
Il successo come scrittore
Fin dalla più tenera età Jack London coltivava la sua segreta passione per la letteratura, divorando libri di ogni genere. Un efficace "ritratto dello scrittore da giovane" ce lo offre uno dei suoi più celebri protagonisti, Martin Eden. Proprio come Martin, anche Jack è un marinaio-operaio-tuttofare sensibile e colto: la sua intelligenza lo eleva al di sopra della sua classe sociale d’appartenenza, ma non i suoi mezzi. Il tema dello scontro con la borghesia sarà un leitmotiv di tutta la vita di London che, neppure una volta raggiunto il successo letterario, riuscirà mai a conformarsi al mondo benestante, da lui sempre percepito come irraggiungibile e quasi nemico.
Recensione del libro
Martin Eden
di Jack London
L’esperienza della caccia all’oro nel Klondike ispirò a Jack London uno dei suoi migliori racconti Preparare un fuoco (1902): la storia di un cercatore d’oro che morirà assiderato nel tentativo di portare a termine la leggendaria impresa.
Da quella prima opera iniziò, per lo scrittore, la difficile scalata del mondo letterario. Il racconto viene acquistato da una rivista per cinque dollari, con la promessa di rendergliene quaranta per un secondo racconto. Da quel momento London - proprio come Martin Eden - si convinse di poter guadagnare attraverso la scrittura.
Jack London: le opere
Dal 1900 al 1916 Jack London scrisse impetuosamente: dal duro lavoro di quegli anni nacquero quasi cinquanta opere. Scriveva per quasi quattordici ore al giorno, a un ritmo forsennato, che iniziò a minarlo nel fisico e nella salute.
I romanzi dello scrittore vagabondo riscossero un enorme successo di pubblico, titoli divenuti ormai grandi classici della letteratura mondiale: Il richiamo della foresta (1903), Zanna Bianca (1906), Martin Eden (1909), Il vagabondo delle stelle (1915), accompagnati da altri scritti più brevi di carattere saggistico e autobiografico, come La strada (1906) in cui narra i suoi giorni nomadi e avventurieri.
In quegli stessi anni iniziò a lavorare come reporter di guerra: celebre la spedizione in Corea, durata sei mesi, che lo vide come corrispondente dal fronte russo-giapponese.
In breve tempo Jack London divenne uno degli scrittori americani più amati e apprezzati in tutto il mondo, ma il successo e la gloria non riescono a cancellare in lui il ricordo della povertà patita, la certezza di essere "diverso", di appartenere al ceto basso-popolare della società. Raccontava di:
"Essere nato proletario ed essere venuto su dagli abissi".
Insieme al successo venne la dipendenza dall’alcol, che iniziò a condizionare pesantemente la sua vita. Nonostante tutto Jack London continuava a definirsi un "autodidatta" e in fondo al cuore credeva di non meritare la gloria e la fama di scrittore, di non essere all’altezza. Fu questo a distruggerlo.
Gli ultimi anni di Jack London
Nel 1910 si rifugiò con la moglie Charmian nel ranch di Glen Ellen, in California, sperando così di sfuggire alla vita di città e alle trappole che scorgeva nella mondanità di Oakland.
L’intento di Jack London, dopo una vita all’insegna dell’avventura, era di vivere in modo semplice guadagnandosi da vivere tramite i frutti della terra e il lavoro da agricoltore. Ma quel sogno sfumerà presto.
La casa che London fece costruire, con grande dispendio di denaro, fu distrutta in un incendio devastante, lasciandolo quasi sul lastrico.
Da quel momento i problemi economici tornarono ad attanagliarlo, nonostante la fama e il successo. In lui iniziò a farsi strada una forte depressione e il "vizio" dell’alcol divenne presto ingovernabile.
La morte di Jack London
Il 22 novembre 1916 fu l’ultimo giorno di vita di Jack London. Lo scrittore avrebbe lasciato questo mondo a soli quarant’anni, dopo una vita rocambolesca e avventurosa che avrebbe potuto valerne cento.
La mattina di quel fatidico giorno London fu trovato nel suo letto privo di sensi dalla moglie Charmian Kitteridge.
Le cure della moglie e della sorella permisero allo scrittore di riprendersi, grazie a una tazza di caffè nero forte e parecchie sollecitazioni. Tuttavia quando il medico lo visitò poche ore dopo affermò che non c’erano speranze: i reni dello scrittore apparivano gravemente compromessi, tanto da pregiudicare il resto del corpo.
Nulla, in realtà, lasciava presagire un tentativo di suicidio. Quel mattino Jack London aveva lavorato di buona lena al suo nuovo romanzo Cherry, ambientato alle Hawaii, e scritto una lettera alla sua prima figlia Joan per invitarla al prossimo pranzo domenicale.
I medici, in seguito al decesso dello scrittore, concordarono che il decesso era avvenuto per "uremia", ossia per una disfunzione renale. Tuttavia la morte di Jack London fu sempre accompagnata dallo spettro dell’ipotesi del suicidio. Un’ipotesi avvalorata anche dalla moglie Charmian, che gli fu vicina fino all’ultimo istante ma non partecipò al funerale, come se morendo lui in qualche modo l’avesse tradita, gli avesse recato un torto.
Pare infatti che Jack London avesse preso il vizio di iniettarsi di morfina, senza essere pienamente coscienti dei rischi e delle controindicazioni di quello che considerava un farmaco lenitivo. Di certo è molto probabile che l’insufficienza renale fosse stata causata e, in parte, accelerata dall’abuso di alcol che lo scrittore fece negli ultimi anni di vita.
Il pomeriggio del 22 novembre 1916 Jack London spirò a soli quarantun anni. Se ne andava così uno dei più grandi autori di romanzi d’avventura del Novecento.
Il giorno successivo il New York Times annunciava la sua morte in prima pagina con queste parole:
JACK LONDON DIES SUDDENLY ON RANCH. Novelist is found unconscious from uremia and expires after eleven hours.
L’articolo del Times si soffermava sul calvario patito da London, rendendo così un ultimo omaggio alla sua esistenza avventurosa.
Le sue ceneri furono sparse nel ranch di Glen Ellen, il 26 novembre, sulla sommità di quella da lui chiamata la Valle della Luna.
La moglie Charmain in seguito fece costruire una piccola struttura esterna al ranch, denominata Happy Wall, nella quale fece custodire tutti gli oggetti dello scrittore.
Dopo la morte di Charmain Kitteridge quella struttura è diventata ilParco storico statale Jack London, alla quale i visitatori oggi possono accedere e osservare i manoscritti, i libri, i gingilli e i cimeli di guerra che hanno caratterizzato l’esistenza del grande scrittore.
La verità sulla morte di Jack London
È trascorso oltre un secolo dalla morte di Jack London, ma la sua fine è ancora permeata da un alone fitto di mistero. C’è chi afferma che London si sia tolto la vita di sua volontà, proprio come il protagonista letterario che più rispecchiava la sua indole, Martin Eden.
"Come può un’anima come la tua, morire?" scrisse l’amico poeta George Sterling alla morte dello scrittore.
La risposta a questa domanda soffia ancora nel vento del ranch di Glen Ellen, dove resiste l’eco della voce di Jack London, che ulula impetuoso dalla Valle della Luna, come Zanna Bianca.
Proprio in quello che è, forse, il suo romanzo più famoso, Jack London scrisse una frase singolare. Se letta oggi appare come un testamento:
La vita viveva della vita. Vi erano quelli che divoravano e quelli che erano divorati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Jack London: perché la morte dello scrittore è ancora un mistero
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