Il 26 aprile 1986 aveva luogo la più grande catastrofe nucleare in tempo di pace, passata alla storia con il nome della cittadina dell’Ucraina del Nord in cui si è verificata: Chernobyl (in Ucraino Černobyl’, Ndr), toponimo che da quel momento ha perso ogni connotato d’innocenza e consuetudine ed è venuto, suo malgrado, a identificare qualcosa di nefasto.
Ora al solo udire il nome di Chernobyl si percepisce subito l’ombra di un cattivo presagio.
Sono passati più di trent’anni da quel 26 aprile 1986 e, nonostante il tempo debba lenire le antiche ferite, Chernobyl significa ancora, inequivocabilmente, una cosa: morte.
Chernobyl trentasei anni dopo
Oggi il nome infausto della cittadina ucraina è tornato alla ribalta delle cronache a causa della guerra che rappresenta una minaccia ancora più sinistra e pressante. Ma la vera sciagura del disastro nucleare di Chernobyl, questo dobbiamo ricordarlo, fu che quando accadde nessuno era preparato all’eventualità che potesse accadere. Nessuno sospettava neppure le conseguenze minime di un simile incidente: era il primo della storia dell’umanità e, purtroppo, l’unico nel suo genere.
L’esplosione del reattore 4 della centrale ucraina colse l’umanità impreparata, in un giorno come tanti in cui il cielo era nitido, in una giornata di ordinaria normalità in cui nessuna minaccia di guerra si profilava all’orizzonte. Fu un pericolo a lungo tempo invisibile, una nuvola radioattiva che si muoveva nell’aria, mentre la gente ignara di tutto continuava a vivere, a camminare, ad andare a scuola e al lavoro senza sapere di avere la morte nel sangue, nel cervello, nel cuore.
Preghiera per Chernobyl di Svetlana Aleksievič
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Tutto questo lo ha raccontato splendidamente la giornalista e scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la Letteratura nel 2015, nel libro-reportage Preghiera per Chernobyl scritto nel 1997 e di recente ripubblicato da edizioni E/O.
Dallo stesso libro è stata tratta la serie tv Chernobyl, vincitrice del Golden Globe nel 2020 come “miglior serie drammatica”. L’opera di Aleksievič potrebbe essere descritta come una “cronaca della nostra epoca”. In tutti i suoi libri la giornalista bielorussa si muove in bilico tra cronaca, reportage e romanzo mossa da un’unica necessità: riportare la realtà per quello che è effettivamente.
La scrittura di Svetlana Aleksievič padroneggia così svariate tecniche narrative combinando la voce viva di uomini e donne a quella dei documenti, delle testimonianze e dei dettagli. Ne risultano romanzi corali, composti da un collage pulsante di voci individuali, che narrano scorci di storia contemporanea. Aleksievič ha narrato la guerra in Afghanistan (Ragazzi di zinco, Ndr), il disastro di Chernobyl (Preghiera pe Chernobyl, Ndr), lo scioglimento dell’Urss (Tempo di seconda mano, Ndr) attraverso le voci dei suoi protagonisti.
Ne consegue un “esperimento di scrittura” contemporaneo e suggestivo che annulla ogni distanza tra la voce narrante e l’oggetto della narrazione.
Nel libro Preghiera per Chernobyl la giornalista ci restituisce un punto di vista inedito sul disastro nucleare fornendoci il racconto, in presa diretta, dei sopravvissuti. Di chi quel tremendo 26 aprile 1986 c’era e ha visto con i propri occhi, vissuto sulla propria pelle, ciò che accadde.
Nella prefazione dell’ultima edizione del libro Aleksievič scrive:
Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi. Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Černobyl’ è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la terra. Tutto il loro tempo.
Ma soprattutto nel suo libro-reportage Svetlana Aleksievič si interroga su una domanda che ritorna spesso continua, ripetitiva ossessiva, smuovendo le coscienze: cosa ha imparato l’uomo contemporaneo dal disastro di Chernobyl? È questo l’interrogativo che Aleksievič porge ai lettori.
L’uomo moderno non vuole ammettere di non essere onnipotente, osserva la scrittrice nella prefazione. Un uomo che ancora si sente “demiurgo”, padrone del mondo.
Eppure, osserva la scrittrice, la trasformazione dell’uomo da pre-cernobyliano a cernobyliano è avvenuta sotto i nostri occhi in tutti questi anni.
La lezione di Chernobyl secondo Aleksievič
La catastrofe nucleare del 1986, afferma Aleksievič, cambiò il mondo ma soprattutto cambiò il nostro modo di pensare la morte:
Cambiò il mondo. Cambiò il nemico. Ma soprattutto la morte aveva facce nuove, che non conoscevamo ancora. Non si vedeva la morte, non si toccava, non aveva odore. Mancavano persino le parole per raccontare della gente che aveva paura dell’acqua, della terra, dei fiori, degli alberi. Perché niente di simile era accaduto prima.
Il mondo era lo stesso di sempre eppure infinitamente più pericoloso. Sotto la semplice apparenza delle cose si nascondeva una nuova minaccia: presente, eppure invisibile.
Nel suo libro Svetlana Aleksievič adotta sempre il suo solito infallibile metodo di scrittura. Non gioca la carta del ragionamento indiziario, non fa processi, non cerca le colpe: si limita a raccontare la realtà per quello che è. E le mille storie di uomini e donne, vite minuscole destinate a smarrirsi nel fiume impetuoso della Storia con la esse maiuscola, acquistano un altro significato. Parlano di dolore e amore, di malattia e di morte, di perdita e di speranza. La giornalista parla da “informatrice”, riportando ciò che vede e sente, e al contempo si riconosce come testimone in mezzo agli altri come parte del parte del “popolo di Chernobyl”.
Alla fine ciò che risulta da Preghiera per Chernobyl è un appello a più voci. Tutte queste persone, travolte loro malgrado da eventi che neppure lo scenario più fantascientifico avrebbe potuto immaginare, si interrogano non tanto sulle cause e le conseguenze dell’accaduto ma su un aspetto più astratto e forse inafferrabile: il senso. Quella svolta da Svetlana Aleksievič, in questo libro eccellente eppure non sempre di facile lettura, è una ricerca alle origini del male. Appare inevitabile interrogarsi, leggendo, sul significato del dolore e della sofferenza.
Nella “scrittura dei fatti” Aleksievič afferma di trovare una forma personale di protesta. Il racconto di Chernobyl può certamente essere letto come un atto di denuncia, ma soprattutto lo si può leggere come una testimonianza struggente, vera, a tratti tanto realistica da risultare dolorosa.
Alla fine resta nella mente un’accozzaglia di voci, di storie, frammenti di vite che non dimenticherete facilmente. Se ne sconsiglia (per esperienza) la lettura in un ridente pomeriggio d’agosto perché Preghiera per Chernobyl è un libro tetro: un libro senza luce che, tuttavia, riesce a parlare anche d’amore.
Questo libro vi lascerà nella mente una miriade di domande e, probabilmente, nessuna risposta. Tra tutte le domande ve n’è una, in particolare, che oggi appare più urgente di tutte le altre:
Dopo quanto accaduto, qualcuno osa ancora sostenere che l’energia atomica è la meno costosa?
L’appello lanciato da Svetlana Aleksievič appare quasi come un urlo. Un urlo muto, purtroppo, che attraverso queste pagine ripercuote il suo eco.
Vladimir Putin, riportava la scrittrice nella prefazione del 2011, ha fatto costruire una nuova centrale nucleare in Bielorussia in una zona precedentemente devastata da un terremoto di magnitudo 7. Ha predisposto l’accordo senza chiedere il parere di nessuno, non ha interpellato neppure i cittadini del luogo. Quella centrale nucleare - ha garantito Putin, in seguito all’incidente di Fukushima - sarà più sicura di quelle giapponesi.
Aleksievič conclude affermando che quello che definiamo progresso è anche “perfezionamento delle armi di distruzione di massa”. Sono passati undici anni da quando l’autrice scrisse quella prefazione. E oggi le sue parole risuonano come un avvertimento, che come tutti gli avvertimenti ovviamente si rivela tale solo se rimasto inascoltato.
Nel 2022, trentasei anni dopo, guardiamo a Chernobyl con altri occhi - forse più lucidi, ma non meno inquieti.
Chernobyl: il trailer della serie tv
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Preghiera per Chernobyl” di Svetlana Aleksievič: per non dimenticare il 26 aprile 1986
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