Nel segno dei padri
- Autore: Giacomo Marinelli Andreoli
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Il perdono è la virtù dei forti e Guglielmina ha saputo perdonare, ma intanto aveva odiato, a lungo. Aveva esecrato la guerra, le uniformi, la morte, gli spari. Ha odiato i tedeschi, fino a quando si è accorta che anche loro erano padri, mariti, figli. Fino a quando ha scoperto che un altro bambino era cresciuto senza padre, proprio come lei. Certo, era vissuto lontano, parlava una lingua diversa, ma lo stesso conflitto e nella stessa Gubbio gli aveva portato via il babbo senza un perché. Nemmeno da questo libro arriverà una risposta, ma vi si leggerà una bella storia. Eventi drammatici hanno cominciato a scriverla settant’anni fa, anche se le pagine che l’hanno trasformata in una vicenda di sentimenti e valori esemplari sono state aggiunte solo di recente.
È raccontata da un giornalista umbro, Giacomo Marinelli Andreoli, nel libro “Nel segno dei padri. La storia di Guglielmina e Peter”, edito da Marsilio nella collana Gli specchi (febbraio 2017, pp. 188, euro 16,50).
Quando i loro papà se ne sono andati (non di loro volontà), Guglielmina Roncigli e Peter avevano un anno. Kurt Staudacher, assistente medico in una divisione della Wehrmacht, è stato ucciso a Gubbio il 20 giugno 1944, in un bar, da giovani partigiani gappisti. Con il suo reparto, ripiegava da Montecassino, in direzione di Firenze, per raggiungere l’Appennino e la costa romagnola. Aveva un bambino in Germania, che aveva visto solo in una breve licenza.
Anche Vittorio Roncigli aveva una bambina, a Gubbio ed era per stare con la sua Guglielmina che non si era dato alla macchia sul monte Ingino, al passaggio in forze dei tedeschi, incattiviti dalla ritirata. Rastrellato, rimase coinvolto nella rappresaglia per la morte di Kurt, l’eccidio di quaranta civili nella cittadina umbra il 22 giugno 1944.
Un male incurabile ha portato via Guglielmina a neanche 70 anni, nel 2012, ma prima si è resa protagonista di una vicenda rimasta a lungo sconosciuta, che però ha tanto da dire: la figlia di una delle vittime del massacro di Gubbio abbraccia il figlio dell’ufficiale tedesco la cui morte scatenò la terribile rappresaglia.
Un solo abbraccio, un solo incontro, nel cimitero militare germanico di Pomezia, dove i resti di Kurt sono stati traslati nel 1956, dal camposanto di Gubbio, ma la corrispondenza tra i due orfani di guerra è proseguita per otto anni.
Nel 2003, nel corso di un viaggio in Italia con la moglie Ursula e di un soggiorno proprio a Gubbio, dove il padre era morto, il dott. Staudacher aveva voluto lasciare una semplice firma nel registro dei visitatori del mausoleo dedicato ai civili fucilati. Controllando quel volume, quale fondatrice dell’Associazione Famiglie dei Quaranta Martiri, nata nel 1997 per lasciare un messaggio di pace alle nuove generazioni, Guglielmina ha notato il cognome e ha voluto prendere contatto con il coetaneo Peter. Da qual momento si è sviluppa una corrispondenza andata avanti per dieci anni, un rapporto epistolare di profonda comprensione e partecipazione, di sincera e intima condivisione,
Guglielmina ha consegnato l’intero carteggio al giornalista Giacomo Marinelli Andreoli, perché tutti potessero conoscere questa gran bella amicizia internazionale, in un libro diverso dagli altri, delicato, dolce, buono come il pane fresco. Questo testo, dice il giornalista umbro che lo ha scritto,
“è la promessa che le ho fatto, quando le ho parlato, per l’ultima volta, a casa sua, in una domenica di freddo polare, quando ha voluto vedermi, a tutti i costi, anche se non stava bene”.
Fragile per la malattia ma tenace per volontà, ha voluto che venissero raccontati a tutti la solidarietà, la sensibilità, la civiltà, il perdono, che si sono scambiati due bambini diventati vecchi, che si sono incontrati dopo una vita intera, per riconciliarsi l’uno con l’altro, pur non avendo commesso niente che meriti una riconciliazione. Lo ha scritto Peter, il bambino in fasce che papà Kurt sognava ogni notte.
E Gugliemina? Ha odiato se stessa, per essere stata in casa, dove il padre era rimasto per proteggerla. Ha odiato il mondo intorno, che non capiva cosa stesse provando, ma si ostinava a dividersi in fazioni, costruendo una verità di comodo per sostenere le rispettive ideologie, incurante della vera tragedia che pesava sui superstiti. Ha odiato il silenzio che ha coperto questa storia per decenni. Come se non si dovesse parlare, come se non si dovesse consolare le le famiglie per quanto avevano sofferto per anni.
La storia di “Nel segno dei padri” è stata raccontata grazie a due angeli custodi, Ursula, la moglie di Peter e Franca, la figlia di Guglielmina, che si sono adoperate per sostenere, collaborare, incoraggiare.
E questa storia ha un testimone, che ha attraversato il tempo. È il cactus che il 6 giugno 1944, nel primo compleanno del figlio, il dott. Kurt Staudacher fece arrivare a Peter da Nettuno, prima di raggiungere Gubbio. La pianta ha continuato a germogliare, accudita amorevolmente dalla famiglia e un erede di quel cactus è stato consegnato a Franca. Simboleggia il presente e il passato che si sono ritrovati, senza spine, però.
Nel segno dei padri. La storia di Guglielmina e Peter
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