Marino Moretti (1885-1979) è il massimo rappresentante del versante emiliano-romagnolo dell’area crepuscolare. Uso il termine area, perché la critica non è concorde nel riconoscerle lo status di movimento, ma che si tratti di scuola, gruppo organizzato, comune sentire, affinità tra voci geograficamente distanti poco importa. I poeti crepuscolari condividono il rifiuto di una concezione estetizzante dell’espressione artistica, della funzione pubblica del poeta e della tradizione aulica. Propongono un fraseggio dimesso, sapientemente costruito e malinconico, filtrando situazioni della quotidianità con una luce fievole, opaca, al tramonto.
La poesia A Cesena è tratta dalla raccolta “Poesie scritte col lapis” del 1910. In occasione della sua pubblicazione venne coniato da Antonio Borgese il termine crepuscolare. Per i giovani lettori preciso che il lapis è una matita: significa che le poesie possono essere cancellate, quindi sono poca cosa. In realtà Marino Moretti nella letteratura ci credeva eccome, vista la mole di scritti che ha lasciato: raccolte poetiche, romanzi, novelle, carteggi.
Testo
Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolente,
il babbo che ti vuole un po’ di bene...« Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,
che le parli dei miei vïaggi, poi...poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.Parli d’una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;parli del nonno ch’è quasi al tramonto,
il nonno ricco, del tuo Dino, e dici:
«Vedrai, vedrai se lo terrò di conto»;parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui
tutta d’un uomo ch’io conosco appena.tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla... così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:«La mamma nostra t’avrà detto che...
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè!Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome...
Ho fortuna, è una buona gravidanza...»Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.E l’anno scorso eri così bambina!
Metrica e analisi della poesia
Metrica: A Cesena di Marino Moretti è composta da 17 terzine di endecasillabi, accoppiate a due a due dalla rima ACA-BCA.
L’andamento prosastico della lirica, così marcato che si fatica a riconoscerla come tale, rende superflua la parafrasi. Perciò l’articolo propone alcuni spunti tematici, contenutistici, formali.
I-II
Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.
L’incipit cronachistico fornisce tre dati: climatici, cronologici e ambientali. Queste coordinate generano nell’immediato un’atmosfera dimessa, grigia e malinconica. Il poeta è ospite della sorella, fresca sposina, a Cesena sferzata da una pioggia battente. L’acqua ai piedi degli edifici sembra schiuma. All’epoca era un borgo di circa 40mila abitanti. Che distanza dall’atmosfera sensuale e panica della Pioggia nel pineto, dalle location aristocratiche di Andrea Sperelli, dallo slancio superomistico dei personaggi dannunziani! Anche la pioggia, che nei romanzi pirandelliani affligge Roma, non ha un timbro così asfittico e claustrofobico.
III-IV-V
Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;
Questo blocco introduce la contrapposizione tra l’io lirico e la sorella. Il primo è triste, osserva senza sconti la famiglia acquisita della sorella, mai chiamata per nome. Crede reciti la parte della donna appagata che, grazie al matrimonio, è diventata moglie, nuora e un po’ figlia. Che la nuova vita sia inferiore alle aspettative? È probabile, come si evince dalle strofe VIII-X-XI-XII di cui anticipiamo il senso:
- Affiora qualche incomprensione con la suocera, chiamata mamma come si usava fino alla metà del secolo scorso. Mentre si confida, la sorella ha la voce incrinata dal pianto.
- Con la cognata non ha confidenza.
- In ballo a creare tensioni c’è l’eredità del nonno del marito, avanti negli anni, su cui sta già facendo un pensierino. Un tocco da maestro di piccineria.
VI-VII-VIII-IX
so che quell’uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolente,
il babbo che ti vuole un po’ di bene...«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida,
che le parli dei miei vïaggi, poi...poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.Parli d’una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;
Le due terzine tratteggiano la noia della vita provinciale. Il suocero schiaccia un pisolino post prandium. Con la suocera non sa bene come comportarsi. Tanto da chiedere consiglio al fratello, ma da nuora non più da sorella. Moretti amava Pascoli: squisitamente pascoliano è lo scarto tra l’affetto della famiglia d’origine e l’estraneità di quella acquisita.
X-XI-XII
parli del nonno ch’è quasi al tramonto,
il nonno ricco, del tuo Dino, e dici:
«Vedrai, vedrai se lo terrò di conto»;parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d’amor proprio, d’amore.Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui
tutta d’un uomo ch’io conosco appena.
Oltre agli screzi con la suocera e all’ipotetica eredità del nonno, la sorella continua a perdersi in chiacchiere inutili e vaghe, oscillando tra il dire e il non dire.
XIII-XIV-XV-XVI
tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla... così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:«La mamma nostra t’avrà detto che...
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè!Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome...
Ho fortuna, è una buona gravidanza...»Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.
A guisa di refrain viene riproposta la prima terzina con alcune note in più. Ora la sorella appartiene a un altro uomo. Trapela l’ombra di una gelosia inconscia? La pioggia continua a scandire le sue chiacchiere e la confidenza della gravidanza. L’idea della maternità coincide con preoccupazioni prosaiche. È troppo presto per diventare mamma, si augura di allattare naturalmente, è incerta sul nome. Cose così.
XVII
E l’anno scorso eri così bambina!
In chiusura emerge il topos dello scorrere del tempo che in un anno ha trasformato sua sorella in un’adulta e in una estranea.
La referenzialità del linguaggio azzera il confine tra poesia e prosa. Solo la monotonia metrico formale garantisce ritmo e cantabilità. È del grande Barberi Squarotti il commento più azzeccato:
“La poesia si mimetizza con i modi della comunicazione piccolo borghese”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A Cesena di Marino Moretti: testo e analisi della poesia
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