Con l’intelligente e seduttiva collana Passaggi di dogana l’editore Giulio Perrone propone abbinamenti tra città, italiane e straniere, e autori che hanno fatto la storia della letteratura del Novecento: A Parigi con Colette, A Lisbona con Antonio Tabucchi, A Praga con Kafka, A Berlino. Con Ingeborg Bachmann per dire alcuni titoli. Tra gli italiani ci sono La Genova di De André, A Roma da Pasolini a Rosselli, A Napoli con Raffaele La Capria, A Torino con Cesare Pavese.
È una sorta di itinerario turistico e letterario, con l’occhio rivolto al passato, nelle città dove hanno vissuto scrittori, poeti, artisti, registi e musicisti. La Parigi di Sidonie-Gabrielle Colette (1873 -1954), scrittrice e pure attrice di music-hall, spesso nuda durante le sue esibizioni, non è più la stessa, come non lo è la Napoli del romanzo Ferito a morte - Premio Strega nel 1961 - di Raffaele La Capria (1922- 2022) o la Torino di Pavese (1908-1950), dove negli anni Trenta nasce la casa editrice di Giulio Einaudi.
Stesso registro narrativo è quello utilizzato dalla scrittrice Gaia Manzini con A Milano con Luciano Bianciardi. Alla scoperta della città romantica (Giulio Perrone, 2021) per parlare dello scrittore maremmano che aveva scelto di vivere, a partire dal 1954, nella Milano detestata e mai di fatto abbandonata, la città del mitico torracchione da far saltare con la dinamite, raccontata nel libro che gli diede successo: La vita agra.
La milanese Gaia Manzini nasce nel 1974 e la sua Milano oggi è molto differente da quella vissuta da Luciano Bianciardi (1922-1971), ma è stata capace di indossarne le scarpe per camminare senza fretta, con il rischio di essere arrestati per eccessiva lentezza, nella città del miracolo economico dove tutti, quasi tutti, corrono per fare i danè.
Gaia Manzini ha scritto Nudo di famiglia (Fandango, 2009, finalista Premio Chiara), La scomparsa di Lauren Armstrong (Fandango, 2012), Ultima la luce (Mondadori, 2017), Nessuna parola dice di noi (Bompiani, 2021) e La via delle sorelle (Bompiani, 2023). Collabora con “Il Foglio” e “L’Espresso”.
“A Milano con Luciano Bianciardi”: il libro
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Gaia Manzini, passeggiando con Bianciardi, descrive la storia di un’epoca milanese: dalla nascente casa editrice Feltrinelli alla Scapigliatura di Brera,>Il libro di Manzini lo si può leggere come un romanzo per quel senso di nostalgia che fa sospirare e mi ricorda l’atmosfera del film Midnight in Paris, scritto e diretto da Woody Allen, con il protagonista, aspirante romanziere statunitense che si ritrova nel passato, nella mitica Parigi degli anni Venti e della Generazione perduta, incontrando Francis Scott Fitzgerald, Gertrude Stein, Ernest Hemingway, Salvador Dalí, Luis Buñuel.
Mi piacerebbe passare una serata con Luciano Bianciardi - scrive Manzini nel capitolo 3 –, diventare testimone di una Milano che non c’è più. Ci daremmo appuntamento in Wagner, lui in arrivo da via Domenichino e io da casa, pronti a salire sul gamb de’ legn, il tram extraurbano che va dritto fino in corso Vercelli. E poi da lì a piedi: a lui piace camminare, a me anche.
Accompagnata da Bianciardi, la Manzini cammina nei quartieri:
Tra le vie della Milano degli artisti, anche se quella Milano non esiste più, eccezion fatta per l’Accademia di Brera ... fatta eccezione per il bar Jamaica. Tracce, echi di un’atmosfera perduta. No, quella Milano – scrive Manzini – che io non ho mai vissuto di persona, non esiste più.
Io stesso ero attratto da quella Milano e all’età di sedici anni, nel 1969, viaggiando in autostop la raggiunsi partendo, non dalla Maremma, ma da un paesino della riviera ligure. In saccoccia avevo Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Pavese, Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg e un quadernetto con le mie poesie.
Bianciardi non sapevo neppure chi fosse, ma mi avevano parlato di Brera e dei suoi artisti. La prima volta passai la notte nella sala d’aspetto della stazione Centrale e al mattino dopo feci colazione in una delle tante latterie nei dintorni di via Torino.
Ricordo vagamente di aver preso un caffè al bar Jamaica, ma ho memoria di una cartomante. Ci tornai diverse volte, pure in compagnia di una fidanzatina, e allargai il giro delle mie camminate: corso Garibaldi e la Bottiglieria Moscatelli, il Naviglio Grande, la Darsena e le case di ringhiera di Porta Genova, Vicolo Lavandai – frequentato nel 1957 da Georges Simenon – lo zoo nei giardini di Porta Venezia.
Trovai per poche lire pure un posto letto in una specie di bordello in una viuzza di traverso a Via Torino e, come Bianciardi, facevo il bagno al diurno Copianchi di piazza Duomo. Quella che stavo frequentando, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, era però il moccolo della candela della Milano vissuta da Bianciardi.
Scrive Manzini, citando il Derby Club, il Cab 64 e la galleria La Muffola, Cochi Ponzoni, l’Osteria All’Oca d’oro frequentata da Lucio Fontana, Dino Buzzati, Dario Fo, Enzo Jannacci che come scrive Manzini:
La Milano degli artisti finisce con gli anni Settanta, con la costruzione del mito della Milano da bere.
Continua Manzini:
Al Derby, quando Bianciardi siede con le braccia conserte in mezzo a tutta quella confusione , c’è nell’aria la nostalgia: è il senso di una fine prossima.
Bianciardi nel 1964 se ne va Rapallo dove non ci sono ad aspettarlo le serate folli di Milano.
Si sveglia presto e va ogni giorno a guardare il mare, a sentirne l’odore.
Poi torna a Milano, in via Boccaccio, zona signorile, palazzi ben curati, a un passo dal Cenacolo.
Scrive Manzini e ci fa sapere che Bianciardi a Rapallo soffriva di isolamento e non aveva più stimoli, per cui torna nella città tanto odiata che non ti lascia andare perché è il posto perfetto per sprofondare con calma e per morire da solo in Via Boccaccio.
La Manzini, passeggiando con Bianciardi, descrive la storia di un’epoca milanese: dalla nascente casa editrice Feltrinelli alla Scapigliatura di Brera, dai torracchioni milanesi (Torre Velasca, Torre Galfa, Torre Branca, Torre Breda, il Pirellone) alle tre torri di City Life e alla moda dei boschi verticali.
La Milano di Luciano Bianciardi: da Brera a City Life
Negli anni Novanta, dalle parti Brera, non passeggiava Luciano Bianciardi con il suo cappotto scuro e il bavero alzato, ma il potente banchiere, fondatore di Mediobanca, Enrico Cuccia che camminava piegato su sé stesso e a testa bassa.
Tra la Milano di Bianciardi, la Milano da bere del rampantismo e degli yuppie degli anni Ottanta e la Milano del business e degli influencer c’è stata anche un’altra Milano che Bianciardi non ha visto e che, forse, ne avrebbe scritto e che io ho amato: quella surreale di Ettore Gagliano, detto lo “schiaffeggiatore” di preti; quella anarcoide di Carlo Torrighelli con il suo carretto, i tre cani chiamati La Bella, L’Umanità e L’Amore e l’inquietante cartello “il clero uccide con l’onda”; e quella sociale di Fratel Ettore dell’Ordine dei Camilliani che, dopo il boom economico degli anni ’50 e ’60, apre un rifugio in un tunnel sotto la Stazione Centrale per accogliere i barboni, quelli che non ce l’hanno fatta nella “città che corre”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Milano letteraria di Luciano Bianciardi nel libro di Gaia Manzini
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