Il poeta e filologo Angelo Poliziano è stato uno dei più grandi umanisti italiani.
Intelligenza, cultura e talento gli permisero di entrare nelle grazie di Lorenzo de’ Medici, che fu suo protettore e amico.
Della straordinaria corte medicea, composta da artisti e intellettuali di eccezionale levatura, Poliziano fu una delle punte di diamante, una personalità eclettica e fuori dal comune capace di influenzare un’intera epoca.
Conosciamo vita ed opere di uno dei massimi rappresentanti del nostro Umanesimo.
Vita di Angelo Poliziano
Angelo (o Agnolo) Ambrogini nacque a Montepulciano nel 1454 e proprio dal luogo di origine, in latino Mons Politianus, deriva il soprannome con il quale è passato alla storia Poliziano.
La maggioranza dei critici lo considera il più grande poeta del ’400, ma fu anche filologo e professore, un intellettuale completo, una figura di eccellente caratura culturale e morale in grado di imprimere fortemente con la propria opera e il proprio pensiero il periodo a lui coevo.
Poliziano trascorse la maggior parte della vita a Firenze, allora centro indiscusso della cultura italiana ed europea, dove godette dei favori e della personale amicizia di Lorenzo de’ Medici, al quale lo legò uno stretto rapporto di collaborazione, affetto profondo e stima reciproche.
L’infanzia dell’umanista fu segnata dal trauma dell’uccisione del padre, avvenuta quando aveva solo 10 anni.
Dotato di talento e volontà decisamente fuori dal comune, ancora giovanissimo Poliziano cercò fortuna a Firenze.
Il Magnifico, che governava la città con intelligenza e lungimiranza, da eccellente mecenate quale era non impiegò molto a intuire le capacità del ragazzo e nel 1473 lo ammise ufficialmente nella ristretta cerchia dei suoi intimi, di cui facevano parte alcuni dei più grandi artisti e intellettuali dell’epoca.
Non solo: lo volle anche come precettore del figlio primogenito Piero.
Da quel momento in poi Poliziano visse la realtà tipica degli intellettuali di allora, fra dotte amicizie, arte e impegni culturali.
Poliziano fu amico di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola e conobbe, fra gli altri, Leon Battista Alberti e i fratelli Pulci.
Ma tutto cambiò subito dopo la congiura dei Pazzi, che nel 1478 insanguinò Firenze e portò all’assassinio di Giuliano de’ Medici.
A causa dell’incrinatura dei rapporti con Clarice Orsini, moglie del Magnifico, il poeta si trasferì presso la corte dei Gonzaga a Mantova.
Tuttavia fu solo una parentesi.
Già nel 1480, dopo aver chiesto accoratamente perdono a Lorenzo tramite una lettera rimasta celebre, Poliziano potette far ritorno nella città toscana.
Qui ottenne la cattedra di professore di eloquenza latina e greca presso lo Studio Fiorentino, professione alla quale si dedicò con passione e successo per diverso tempo.
Gli anni a seguire furono segnati da numerosi riconoscimenti, ma anche dalle aspre polemiche che lo videro coinvolto insieme ad altre eminenti figure a lui contemporanee, tra cui Bartolomeo Della Scala e il Marullo.
La prematura scomparsa di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nel 1492, lo addolorò profondamente e lo privò della protezione del più importante mecenate del Rinascimento.
Bisognoso di una sistemazione più sicura, Poliziano cercò appoggio nella chiesa e decise di dedicarsi alla carriera ecclesiastica, ma morì prima di poter realizzare questo progetto (sembra per avvelenamento da arsenico).
Era il 1494 e aveva appena 40 anni.
Le Stanze per il Magnifico Giuliano
Considerata l’opera maggiore del Poliziano e una fra le più significative del ’400, le Stanze per il Magnifico Giuliano è un poemetto in ottave a carattere encomiastico e di celebrazione della famiglia dei Medici.
Il fratello minore di Lorenzo de’ Medici, a cui il poema è dedicato, è il protagonista della storia narrata, sebbene trasfigurato, come gli altri personaggi, e trasportato in una realtà che trae direttamente ispirazione dalla mitologia antica.
Iulio (Giuliano) è un uomo dedito solo alla caccia, per nulla interessato all’amore fino a quando Cupido non decide di colpirlo con una freccia e renderlo perdutamente innamorato della bellissima ninfa Simonetta.
Il riferimento è al legame che unì (sembra) il più giovane dei Medici a Simonetta Vespucci.
Nell’opera l’amore, che non è mai carnale ma solo platonico, rappresenta la via d’elezione per elevarsi e raggiungere, attraverso l’esercizio della virtù, un mondo ideale e perfetto.
Il poeta iniziò a comporre le Stanze nel 1475 ma le interruppe nel 1478, quando Giuliano rimase vittima della congiura dei Pazzi.
L’opera si ferma al II libro e non arriva neanche a trattare i temi della giostra e della relativa vittoria.
La Fabula di Orfeo
La Fabula di Orfeo è un componimento teatrale in vario metro, uno dei primi del genere ad argomento profano.
Scritto per essere rappresentato alla corte dei Gonzaga tratta, come è evidente, il mito di Orfeo ed Euridice, molto caro ai Neoplatonici, senza discostarsi di molto dall’originale narrato da Virgilio e Ovidio.
Insidiata dal pastore Aristeo, Euridice muore a causa del morso di un serpente e così il musico Orfeo, suo innamorato, si reca nell’Ade per chiedere di poter riprendere con sé la donna.
La grazia viene accordata, a patto però che lui non si volti mai a guardarla durante la risalita verso il mondo dei vivi.
Ma Orfeo disobbedisce e perde per sempre l’amata.
Tornato sulla Terra, il musico intende volgere le proprie attenzioni solo ai fanciulli, provocando l’ira delle Baccanti, che decidono di ucciderlo e farlo a pezzi.
Le Rime
Le Rime raccolgono le poesie in volgare di Angelo Poliziano.
Scritte prima del 1480, vennero pubblicate postume nel 1495.
Si tratta principalmente d i rispetti, strambotti e canzoni a ballo a forte richiamo popolare.
I temi sono essenzialmente quelli della fugacità della vita e delle cose, la giovinezza, la bellezza, l’amore, la natura e il concetto classico del carpe diem.
Fra i componimenti più famosi ci sono I’ mi trovai fanciulle un bel mattino e Ben venga Maggio.
Poliziano filologo
Non è possibile comprendere pienamente la figura e la vasta produzione letteraria del Poliziano se le si separa dalla sua attività di filologo.
In concomitanza con la nomina a professore di eloquenza a Firenze, l’umanista cominciò a dedicarsi principalmente alla filologia, di cui pure era appassionato fin da ragazzo.
Studiò a fondo gli autori latini e greci, commentò gli scritti di Quintiliano, Giovenale, Ovidio e molti altri, partecipò attivamente e con veemenza alle discussioni sorte fra colleghi e manifestò spesso posizioni innovative nel campo.
Poliziano si dedicò anche alla questione della lingua considerando sopra tutte le altre quella toscana.
In tal caso, come è palese, influì anche la volontà (e la necessità) di portare prestigio alla Firenze medicea.
Immagine: Angelo Poliziano in un affresco di Domenico Ghirlandaio nella Cappella Sassetti in Santa Trinita (Firenze)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Angelo Poliziano: vita e opere
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