Un nomadismo necessario per “non morire di tedio”, così fu definito questo viaggio incredibile ai confini del mondo dalla sua principale organizzatrice, Annemarie Schwarzenbach, scrittrice, giornalista, intellettuale capace di precorrere i tempi. È stata una delle personalità più controverse del Novecento e ha viaggiato a lungo, da Ovest a Est, spingendosi oltre ogni confine, dalla Persia, al continente indiano, alle zone più primitive e selvagge del Congo.
I suoi reportage di viaggio oggi sono considerati opere letterarie di grande pregio; ma nulla potrai mai eguagliare il viaggio in Afghanistan compiuto, nel giugno del 1939, in compagnia dell’amica fotografa Ella Maillart.
Da quell’impresa sensazionale Annemarie Schwarzenbach trasse un libro, pubblicato in Italia da Il Saggiatore con il titolo Tutte le strade sono aperte nella traduzione di Tina D’Agostini.
Annemarie ed Ella Maillart partirono da Ginevra alla volta dell’Oriente in una bella mattina di giugno: erano dirette alla volta dell’Afghanistan, un paese ancora poco noto agli occidentali, mentre l’Europa si trovava sull’orlo della guerra. Due donne sole e, dinnanzi a loro, l’ignoto: c’erano tutti i presupposti, del resto, per scrivere un bel romanzo d’avventura. Ne avrebbero scritto infatti: Ella Maillart, anche lei scrittrice, avrebbe redatto il resoconto di quel viaggio ne La via crudele. Due donne in viaggio dall’Europa a Kabul, mentre Annemarie Schwarzenbach avrebbe scritto Alle Wege sind offen, letteralmente “Tutti i percorsi sono aperti”.
C’era anche un secondo fine in quel viaggio, almeno per Annemarie, lasciarsi alle spalle il passato e scoprire un nuovo panorama che - più che esteriore - doveva essere interiore.
Scopriamo tutti i dettagli di quell’impresa temeraria divenuta letteratura.
Il viaggio in Afghanistan di Annemarie Schwarzenbach
Link affiliato
Un’impresa azzardata per due donne sole. Ancora oggi, guardando quella foto in bianco e nero scattata il 6 giugno del 1939, proviamo il brivido d’incoscienza che dovette attraversare le loro menti mentre si avviavano spavalde verso una terra sconosciuta. Si fecero fotografare davanti alla Ford Deluxe comprata apposta per l’occasione: Ella Maillart è seduta sul cofano e si rivolge sorridente all’obiettivo, mentre Annemarie Schwarzenbach guarda altrove.
La Ford Deluxe procedeva avanti, verso Oriente, dimenticando l’Europa in cui infuriavano i venti di guerra. L’Afghanistan, nel 1939, era un autentico paradiso terrestre: vi si trovavano frutti succosi e pane bianco, soprattutto le pesche di cui Annemarie va ghiotta, come annota nei suoi taccuini.
Dell’Afghanistan la scrittura di Schwarzenbach ci fa percepire tutto l’incanto spirituale che si lega a doppio filo alla meraviglia dei paesaggi ampi e variegati, dalla Valle di Bamiyan ai laghi blu cobalto di Band-e e Amir. Si giunge poi alla capitale, Kabul, una città di raro fascino con i suoi vicoli stretti dove la gente si affolla per mercanteggiare e la sacralità delle moschee nelle quali filtra la luce ambrata del sole. Al tramonto l’eco della preghiera serale si posa leggera sulle strade. In Afghanistan, nel 1939, c’è la pace che l’Europa ha perduto e un’umanità legata ai riti e alla natura, che ancora si incanta a guardare le stelle e non teme il domani.
Un luogo molto diverso da come lo vediamo oggi: l’Afghanistan che si dispiegava dinnanzi agli occhi di Annemarie ed Ella Maillart era la perla del Medio Oriente, uno scrigno di tesori. La stessa Schwarzenbach ce ne fornisce un ritratto contraddittorio ma perfettamente lucido, che giunge fino a noi intatto nella sua perfetta esattezza:
Perché l’Afghanistan è un paese aspro, straordinariamente vitale e virile. Chi ha sperimentato il suo clima vivificante, i forti venti delle sue montagne e dei suoi altipiani, non può pensare che sia votato alla decadenza.
La condizione delle donne in Afghanistan
Link affiliato
Rileggendo ora il resoconto di Annemarie Schwarzenbach c’è un aspetto che inevitabilmente colpisce per la sua attualità: la condizione delle donne in Afghanistan. Le due viaggiatrici non correvano alcun pericolo, anzi, si sentivano sicure come “in grembo ad Adamo”, la gente del posto le venerava come dee; ma, ben presto, nella mente di Annemarie inizia a farsi strada un sospetto.
“Mi sembra di vivere in un paese senza donne!”
esclama a un certo punto. E, in effetti, ha ragione. Ben presto le due si accorgono che le donne afghane sono costrette a vivere nel buio delle case, come recluse, non partecipano alla vita pubblica. Non vedevano il mondo esterno e - soprattutto - non potevano essere viste.
“Pensai che non avevano mai visto il mondo esterno se non attraverso la griglia del chador.”
Osserva sconfortata Annemarie, in una riflessione pungente, che ancora adesso sconvolge per la sua attualità. Un pensiero che ha attraversato, forse, la mente di ogni donna occidentale osservando gli scafandri che ricoprono queste donne, occultandone il viso e il corpo. Poche righe dopo sempre Annemarie lo definisce come un velo deturpante, domandandosi quando l’emancipazione femminile sarebbe giunta in quelle terre. Eppure, per un attimo, osservando quelle donne ricoperte dal chador si sorprende a chiedersi:
“Ma queste donne sono davvero infelici?”
Annemarie Schwarzenbach non poteva sapere che le donne afghane avrebbero conosciuto una breve e illusoria parentesi di libertà, prima di essere di nuovo intrappolate nella gabbia del velo deturpante.
Negli anni Settanta del Novecento avrebbero indossato minigonne e camminato libere per le strade, a testa alta, sfidando il mondo. Ora la libertà delle donne è tornata a essere un lusso a Kabul, probabilmente, se fosse lì ora, Annemarie sarebbe pronta a denunciare la condizione terribile in cui queste donne sono costrette a vivere, private del più elementare diritto. Le donne afghane che aveva conosciuto Annemarie Schwarzenbach forse non erano infelici perché non avevano mai conosciuto la libertà, né immaginavano di poter vivere una vita diversa: ora invece le donne afghane hanno conosciuto la libertà ed è stata loro tolta, sono perfettamente consapevoli di vivere in una prigione.
La profezia sull’emancipazione, scritta da Annemarie Schwarzenbach nel 1939, non si è ancora avverata: l’Afghanistan è tornato nel buio e non è più la terra dei dolci frutti che le due donne occidentali avevano scoperto con stupore e occhi pieni di meraviglia.
Le strade delle due viaggiatrici si sarebbero divise nell’ottobre del 1939: Ella Maillart sarebbe rimasta in India, mentre Annemarie sarebbe partita alla volta dell’Eritrea per poi fare ritorno in Svizzera, nel gennaio del 1940. Sempre in Svizzera, nella natale Engadina, avrebbe trovato la morte due anni dopo per una banale caduta dalla bicicletta: proprio lei, che aveva viaggiato ai confini del mondo e affrontato l’aridità dei deserti, moriva così nella banalità azzurra di un giorno di sole nelle placide valli svizzere, che strano destino.
L’avventura di Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach oggi non è più destinata a ripetersi. Il loro viaggio poteva compiersi solo in quel tempo, in quello spazio, in fuga da un’Europa in bilico dalla sua più grande tragedia. Quel tempo sospeso rivive nelle annotazioni diaristiche di Tutte le strade sono aperte che, tuttora, ci restituiscono l’incanto delle imprese impossibili.
Annemarie parlava di un mondo senza confini; sarebbe stupita, forse, di vedere che oggi il suo sogno non si è avverato, l’Europa è sempre sull’orlo del baratro e neppure l’Afghanistan promette salvezza. Le sue fotografie dell’Afghanistan sembrano la testimonianza di un mondo ormai scomparso, la rivelazione di un tesoro sepolto. Eppure in quegli uomini dagli occhi assorti che osservano l’obiettivo con aria corrucciata in mezzo all’aridità dei deserti, sembra di cogliere un impalpabile presagio di libertà. Era nello sguardo di chi li aveva immortalati in quello scatto, di colei che sapeva che Tutte le strade sono aperte.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando Annemarie Schwarzenbach partì alla volta dell’Afghanistan
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Il Saggiatore Curiosità per amanti dei libri Storia della letteratura Letteratura di viaggio Annemarie Schwarzenbach
Lascia il tuo commento