Se sono poeta o attore non lo sono per scrivere o declamare poesie, ma per viverle. Quando recito una poesia non è per essere applaudito, ma per sentire corpi d’uomini e di donne, dico corpi, tremare e volgersi all’unisono con il mio.
Di Antonin Artaud (Marsiglia, 4 settembre 1896 – Ivry-sur-Seine, 4 marzo 1948) – scrittore, poeta, drammaturgo, attore e regista – molti hanno scritto, pochi lo hanno letto o hanno visto le sue pellicole e molti solo vagamente sanno chi sia. L’inventore del Teatro della Crudeltà (Il teatro e il suo doppio – Einaudi, 1968 - e/o, 2019 ) e autore di Van Gogh: il suicidato dalla società (Adelphi, 1988) oggi è ignorato. O, ahinoi, colui che negli anni Trenta del Novecento aveva stravolto l’idea di teatro e pure della scrittura con l’affermazione che il corpo è “la parola prima della parola” è superficialmente conosciuto come l’anomalo, il ripugnante, il folle.
Il semiologo e filosofo Ugo Volli, nel presentare la mostra Artaud Volti/Labirinti allestita nel 2005 al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (6.12.205 -12.2.2006), scriveva su la Repubblica del 4 dicembre 2005 che:
“Artaud è stato usato larghissimamente come bandiera fino a una ventina d’anni fa e poi mai rinnegato, ma forse un po’ rimosso o comunque lasciato da parte dai suoi paladini di un tempo”. Secondo Jean Jacques Lebel, che lo ha conosciuto nell’ultimo anno della sua vita, Artaud era un’artista “visionario fuori dalle regole, fuori misura, inclassificabile e ormai mitico, che ha messo sottosopra il teatro, le arti plastiche, la lingua scritta/parlata e la psichiatria del XX secolo”.
Antonin Artaud: una biografia
Antonin Artaud (Marsiglia, 1896 – Ivry-sur-Seine, 1948) come molti artisti maledetti ha avuto una breve vita, ha fatto uso di droghe e ha conosciuto il carcere e il manicomio.
Nel periodo in cui da giovanissimo è ricoverato in un sanatorio legge Rimbaud, Baudelaire e Poe. Nella primavera del 1920 si trasferisce a Parigi, si avvicina ai surrealisti e inizia ad interessarsi di teatro. Viene assunto come attore, scenografo e costumista dal Théâtre de l’Œuvre.
Collabora pure con il Théâtre de l’Atelier, la Comédie des Champs Elysées per poi dedicarsi al cinema, lavorando nel tempo con i registi Claude Autan-Lara, Abel Gange, Luiz Morat, Theodor Dreyer, Lèon Poirier, Germaine Dulac, Marcel L’Herbier, Raimond Bernard, Fritz Lang.
Memorabili le interpretazioni di Marat nel film Napoleon (1925) e del monaco Massieu nel film La passione di Giovanna d’Arco (1927).
Nel 1924 su invito del poeta Andrè Breton si unisce ai surrealisti, dirige il nr. 3 di La Revolution Surréaliste e il Bureau Central de Recherches Surréaliste. Nel 1926, dopo un bisticcio con Breton, è estromesso dal gruppo dei surrealisti.
Nel 1926 fonda il Théâtre Alfred Jarry, omaggio all’omonimo autore della Scienza delle soluzioni immaginarie: la patafisica.
Nel 1929 pubblica L’arte e la morte (Il melangolo, 2003). Nel 1932 esce Il primo manifesto di Le Téatre de la Cruatuè e nel 1933 Il secondo manifesto. Nel 1934 pubblica Eliogabalo o l’anarchico incoronato (Adelphi, 1969) e inizia a scrivere l’adattamento dell’opera del poeta inglese Percy B. Shelley I Cenci. Tragedia in quattro atti e dieci quadri da Shelley a Stendhal.
La prima rappresentazione si tenne il 6 maggio del 1935, seguita da sole 16 repliche. Nel 1936 soggiorna in Messico e incontra il pittore Diego Rivera (marito di Frida Kahlo) e vive per un periodo con la tribù indiana dei Tarahumara, partecipando al rito del peyote (Al paese dei Tarahumara e altri scritti Adelphi, 1966).
Nel 1937 riceve in dono un bastone che lui ritiene magico ed essere appartenuto a san Patrizio. Per questa ragione si reca in Irlanda per restituire il bastone al popolo irlandese e approfondire la ricerca dei riti celtici. A settembre viene incarcerato a Dublino per oltraggio al pudore e poi rimpatriato.
Nel 1938 gli viene diagnosticata una malattia mentale incurabile.
Dopo vari ricoveri per disintossicarsi dalle droghe e ricoveri coatti in manicomio nel 1947 scrive Van Gogh: il suicidato dalla società, Succubi e supplizi, Artaud le Momo e il dramma Per farla finita con il giudizio di dio.
Quest’ultima sua opera è letta dallo stesso Artaud presso l’emittente radiofonica RDF di Parigi, ma all’ultimo momento il programma, registrato il 28 novembre 1947, viene soppresso per blasfemia e oscenità.
Artaud muore di cancro, seduto ai piedi del suo letto, a Ivry il 4 marzo 1948.
Tra i suoi amori, le filles de coeur, ci sono state, tra le altre, l’attrice Génica Athanasiou, la danzatrice Sonia Mossé e l’artista Cécile Schramme.
Una delle sue amanti è stata anche la scrittrice Anais Nin, che nel suo Diario lo definì “impotente”.
Il teatro della crudeltà di Antonin Artaud
Influenzato dal teatro balinese, Artaud teorizza un teatro basato su un linguaggio specifico che nulla ha a che fare con il testo o con la parola, bensì con la fisicità dell’interprete. Con il movimento del corpo e la costruzione dello spazio che lo accoglie. Sostiene Artaud:
Avendo preso coscienza di questo linguaggio nello spazio, linguaggio di suoni, di grida, di luci, di onomatopee, il teatro è tenuto a organizzarlo, creando coi personaggi e con gli oggetti dei veri e propri geroglifici, e servendosi del loro simbolismo e delle loro corrispondenze in rapporto a tutti gli organi e su tutti i piani.
Artaud afferma che il corpo è “la parola prima della parola’”.
Artaud vede il teatro balinese all’Esposizione Coloniale di Parigi del 1931 e ne rimane affascinato. I balinesi realizzano l’idea di teatro puro, il regista elimina le parole, i temi rappresentati ci appaiono come spettrali. Tutto viene dato da gesti e voci basati sui simboli e non più sulle parole. Lo spettacolo è dato dal raptus spirituale, nello studio dell’espressione, nel suono.
Il Teatro di Bali è “drama” (tardo latino, dal greco drâma, drân: fare, agire), dunque azione danzata, non racconto.
Alla voce “Spettacolo” dell’Enciclopedia Treccani si legge che:
Il teatro della crudeltà non deve essere inteso della violenza, della sofferenza o del raccapriccio, né imitativo; bensì un teatro di necessità, di rigore, determinato e cosciente: la ’vita stessa’ com’è, anche in ciò che ha di irrappresentabile. Crudele perché difficile e spietato verso lo stesso attore, cui impone sacrifici, sicché anche un gesto minimo è compiuto con il massimo sforzo.
Scrive il filosofo Jacques Derrida, in un saggio apparso sul numero 230 di Critique (luglio 1966), che:
Il teatro della crudeltà non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile.
Montrage: una mostra e i mille volti di Antonin Artaud
Ho avuto la fortuna di vedere la mostra multimediale di Milano, ideata da J. J. Lebel e Domenique Paini definita un montrage (dalle parole francesi montage – montaggio e montrer – mostrare) dove è stato possibile, attraverso un’abile collocazione degli spazi, vedere e ascoltare Artaud attore (sono state proiettate le sue 22 apparizioni cinematografiche), Artaud disegnatore (disegni, autoritratti); Artaud scrittore (manoscritti, lettere); Artaud che declama con la sua particolarissima voce:
Cosa aspettate? Che la morte venga da voi? Vi propongo, cari miei, si andare da lei! Di guardarla in faccia!
Artaud malato, confinato nella ricostruzione della stanza dell’ospedale psichiatrico di Rodez dove è rinchiuso dal 1943 al maggio del 1946, subendo ben 51 elettroshock, con esposizione delle lastre e delle cartelle cliniche appese al suo letto.
Negli anni precedenti Artaud era stato ricoverato nelle cliniche Chezal-Benoit, Le Havre, Sainte Anne, Ville -Evrard.
A tal proposito scrive Artaud in una lettera indirizzata al dottor J. Latrèmolièere, psichiatra del manicomio di Rodez:
L’elettroshock mi getta nella disperazione, mi intorpidisce il pensiero e il cuore, fa di me un assente che si avverte assente e che per settimane va in cerca del proprio essere, come un morto accanto a un vivo che non è più lui.
“Per farla finita con il giudizio di Dio” di Antonin Artaud
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Agli inizi degli anni Ottanta avevo acquistato il libretto e la audiocassetta di Per farla finita con il giudizio di dio dell’Edizioni del Sole Nero (ripubblicato da Mimesis) e nel 2002 il libricino edito da Stampa Alternativa Per gli analfabeti.
Sul sito “UbuWeb Sound - Antonin Artaud” è possibile ascoltare la voce di Artaud registrata presso l’emittente radiofonica RDF di Parigi.
Ma solo nel 1999, dopo una censura durata 41 anni, Radio France trasmette la pièce radiofonica.
Scrive Antonio Caronia nella prefazione al testo ripubblicato da Mimesis:
Per farla finita con il giudizio di Dio è uno dei più corrosivi lavori di Artaud, e probabilmente la massima espressione di quel “teatro della crudeltà” da lui teorizzato. Una poesia che prende forma di visione, grido, gesto profetico, performance e rivolta antimetafisica: l’uomo è torturato, costretto in un corpo che non gli appartiene, espropriato e corrotto da un potere di volta in volta politico, giudiziario, psichiatrico. Poco si salva dalla ferocia critica dell’autore: non l’America, né i preti, né tantomeno Dio, principale imputato di questo verdetto senza appello. Un testo di riferimento per tutte le avanguardie del XX e XXI secolo.
Quel testo e quella voce hanno ispirato pure il sottoscritto quando ho dedicato ad Artaud, rinchiuso nel manicomio di Rodez, alcuni capitoli del mio romanzo Nata con il cuore in una mano edito da L’Erudita/Perrone nel 2013 e ripubblicato nel 2020 da Porto Seguro con il nuovo titolo I sognatori.
I sognatori, storia d'amore e di delitti in via Solferino 28
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Il linguaggio inventato da Artaud: glossopoiesi
Il volume edito dalle Edizioni del Sole Nero riproduce fotografie, autoritratti e disegni di Artaud, alcune lettere destinate ai dirigenti della RDF, a un padre domenicano, a un giornalista, a un’amica attrice e contiene le seguenti parti: “Tutuguri”, “il rito del sole nero”; “L’abolizione della croce”; “La ricerca della fecalità”;“ Si pone la questione di...”; “Conclusione”.
L’incipit dell’opera riconduce, con quelle parole incomprensibili (Krè, Pucte...), simili a geroglifici, al linguaggio ideato da Artaud e definito dalla linguistica una glossopoiesi: ovvero l’arte di creare linguaggi artificiali.
La lingua inventata di Artaud cerca di colpire non solo l’intelletto di chi ascolta, ma tutti i sensi.
Scrive Artaud in Opere complete:
Aggiungo al linguaggio parlato un altro linguaggio, e cerco di restituire al linguaggio della parola, le cui misteriose risorse sono state dimenticate, la sua antica efficacia magica, la sua efficacia fascinatrice, integrale. Quando dico che non darò un testo scritto, voglio dire che non darò un testo drammatico basato sulla scrittura e sulla parola, che negli spettacoli che allestirò ci sarà una parte fisica preponderante, tale da non lasciarsi fissare e scrivere nel linguaggio abituale delle parole; e che anche la parte parlata e scritta lo sarà in un senso nuovo.
“La ricerca della fecalità” di Antonin Artaud
Nell’ultima parte del capitolo “La ricerca della fecalità” Artaud scrive:
Io rinnego il battesimo e la messa
Non esiste atto umano
che, a un livello erotico interiore,
sia più nocivo della discesa
sugli altari
del sedicente Gesù Cristo.
È difficile credermi
e già vedo le alzate di spalle del pubblico
ma il sunnominato cristo è colui
che di fronte alla piattola dio
ha acconsentito a vivere senza corpo
mentre un esercito di uomini
discesi da una croce,
su cui dio da molto tempo credeva di averli
inchiodati,
si è rivoltato
e coperto di di ferro,
di sangue,
di fuoco e di ossa,
avanza, insultando l’Invisibile
per farla finita con il GIUDIZIO DI DIO.
“Per gli analfabeti”: la scrittura di Artaud per i non lettori
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Marco Dotti (docente di Professioni dell’editoria) nell’introduzione a Pour les analphabètes (pubblicato nel 2002 da Stampa Alternativa nei famosi volumetti dal costo di 1 euro) scrive che:
Questo libretto non è adatto all’uomo di cultura, o allo spacciatore di libri, richiede gente di un’altra razza, esige matti furiosi. Per meglio dire: se ne fotte del lettore. Per leggerlo, bisogna gridare con Artaud, avere un corpo, dire io sono.
Nel capitoletto dal titolo “Per gli analfabeti”, Artaud scrive:
Non sono l’intelligenza o la coscienza ad aver fatto nascere le cose ma il il dolore mistero del mio utero, del mio ano, della mia enterocolite che non è un senso caro signor Freud, ma una massa ottenuta solo soffrendo senza accettare il dolore, senza rivendicarlo, senza imporselo, senza starselo a cercare.
Nella Lettera al sindaco di Perugia Antonin Artaud dichiara:
Per giudicare l’opera di un uomo non mi basta averla in mano, la sua opera, voglio averne in mano anche la vita, e anche quando lo scrittore è morto, essa continua a trasudare nella sua opera.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Antonin Artaud: una vita sospesa tra il buio della follia e la luce della genialità
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