Il 27 aprile 1937 moriva a Roma Antonio Gramsci, uno dei maggiori intellettuali del nostro Novecento. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, di cui divenne segretario generale. Cinque anni dopo, l’8 novembre 1926, fu incarcerato dal regime fascista che vedeva in lui un pericoloso oppositore.
In prigione Gramsci scrisse la sua opera più celebre, I quaderni del carcere, ora letti e tradotti in tutto il mondo. Rimase dietro le sbarre sino a pochi giorni dalla morte, quando ottenne la libertà condizionata a causa delle sue gravi condizioni di salute per essere ricoverato in una clinica di Formia. Morì poco dopo a causa di un’emorragia cerebrale. Se ne andava comunque da uomo libero, Antonio Gramsci, lui che aveva predicato la libertà sino alla fine, perché per lui vivere significava “essere partigiano” e schierarsi sempre “contro gli indifferenti”.
Scopriamo la vita, le opere e il pensiero di Antonio Gramsci, l’uomo che “odiava gli indifferenti”.
Antonio Gramsci: la vita e il pensiero
Il primo luogo di Antonio Gramsci fu la Sardegna. Qui vide la luce il 22 gennaio 1891 nella cittadina di Ales, terzogenito di una famiglia che si andava facendo sempre più numerosa.
Da bambino fu affetto da una grave malattia, il morbo di Pott, una tubercolosi ossea che minacciò di portarlo alla morte. I genitori, che erano superstiziosi, rifiutarono le cure mediche e così aggravarono le condizioni di salute del figlio che soffriva di emorragie associate a convulsioni. Fu comprata persino una piccola cassa da morto, in previsione del lutto imminente; ma Antonio Gramsci ribaltò ogni prognostico e sopravvisse.
La debolezza fisica faceva a pugni con la tempra d’acciaio della sua mente. Il piccolo Gramsci era un bambino intelligente e curioso che leggeva tanto, leggeva di tutto e amava soprattutto perdersi nelle avventure narrate da Emilio Salgari. In Sardegna, nonostante le ristrettezze economiche, si diplomò al liceo e iniziò a scrivere i suoi primi articoli, grazie al sostegno di un professore di lettere Raffaele Garzia, su L’Unione Sarda. Nel 1911 vinse una borsa di studio per il Collegio Carlo Alberto di Torino dove avrebbe proseguito gli studi universitari. Gli studenti ammessi al collegio che provenivano dalla Sardegna erano soltanto due: il secondo era Palmiro Togliatti.
Gli anni torinesi furono difficili, Gramsci era povero in canna e le sue lettere ai genitori erano continue e pressanti richieste di denaro. Alloggiava in una misera pensione, non aveva abiti caldi per fronteggiare l’inverno e, malnutrito, faticava a studiare. In quel triste periodo un compagno di università, Angelo Tasca, gli regalò una copia in francese di Guerra e pace e nella dedica gli domandò di averlo con sé come “compagno di battaglia”. Gramsci entrò così a far parte del partito Socialista e iniziò a interessarsi alle condizioni degli operai del nord Italia. Lesse Marx, per un corso di interpretazione filosofica, e si appassionò alle sue tesi. Iniziò così l’impegno politico che avrebbe determinato il corso della sua vita.
Allo scoppio della Grande Guerra collaborava già alla stampa di partito. Poco dopo abbandonò gli studi universitari e decise di intraprendere un’altra strada, quella del giornalismo. Nel 1919 fondò L’ordine nuovo, una rivista socialista che si schierava dalla parte dei Consigli di fabbrica e della rivoluzione operaia. Nelle pagine del giornale l’intellettuale sosteneva che Politica e Cultura non potessero essere in alcun modo separate, che per realizzare una rivoluzione politico-sociale fosse importante partire dal rinnovamento culturale, di pensiero. La cultura diventava quindi uno strumento preciso di azione politica.
Le sue idee riformiste, tuttavia, lo allontanavano dalla corrente principale del Partito, l’insofferenza era crescente, motivo per cui Gramsci decise di fondarne uno suo: nel 1921 con il Congresso di Lione nacque il Partito Comunista d’Italia, al principio guidato da Amadeo Bordiga, Gramsci non occupava ruoli di rilievo.
Nel 1922 Antonio Gramsci fu inviato a Mosca per partecipare al congresso dell’Internazionale Comunista. Fu un viaggio determinante per lo sviluppo, e non solo. In Russia conobbe anche colei che sarebbe stata la sua futura moglie, la violinista Julia Schucht, che incontrò in un sanatorio dove fu ricoverato a causa delle sue sempre precarie condizioni di salute.
Mentre Gramsci si attardava in Russia per ragioni professionali e sentimentali, in Italia aveva luogo la fatidica Marcia su Roma.
Nonostante la difficile situazione politica e la minaccia concreta di un arresto, Gramsci fece ritorno a Roma per ricoprire la carica di deputato della Camera che avrebbe dovuto garantirgli il sostegno dell’immunità parlamentare. Il fascismo stava prendendo il sopravvento, non in maniera democratica: i dirigenti dei partiti all’opposizione cadevano uno dopo l’altro, Gramsci sapeva di avere i giorni contati. L’8 novembre 1926, mentre usciva da un comizio, fu fermato e arrestato. Sarebbe iniziata la sua lunga prigionia. Antonio Gramsci aveva soli trentacinque anni e già si avviava alla fine precoce della sua vita. Negli anni di carcere fu importante il sostegno della cognata Tatiana Schucht che intrecciò con il detenuto una fitta corrispondenza, monitorando le sue condizioni di salute. Venuta a conoscenza dei primi sintomi tubercolotici, Tatiana si allarmò e si batté perché Gramsci fosse ricoverato in una clinica per curarsi. Gli sforzi andarono a buon fine nel 1934, ma ormai era troppo tardi, le condizioni di salute erano pregiudicate.
Antonio Gramsci morì il 27 aprile 1937, ora riposa nel cimitero acattolico di Roma, dietro la Piramide Cestia.
Sulla sua tomba, che custodisce l’urna contenente le sue ceneri, vengono deposti ogni anno dei fiori rossi. Tra i tanti che andarono a rendergli omaggio c’è anche un altro grande nome della nostra letteratura, Pier Paolo Pasolini, che in suo onore scrisse il poemetto Le ceneri di Gramsci che dà il nome all’omonima raccolta pubblicata nel 1957.
Le ceneri di Gramsci: l’omaggio di Pasolini
Capitato come per caso davanti alla sua tomba Pasolini confessa a Gramsci, definito “umile fratello”, il proprio dissidio interiore, la propria incapacità di scegliere e schierarsi “lo scandalo del contraddirmi”. Al pensatore comunista Pasolini profetizza l’avvento della società dei consumi e con malinconia afferma l’amore per il mondo proletario ormai avviato verso il tramonto.
Mi chiederai tu, morto disadorno, | d’abbandonare questa disperata | passione di essere nel mondo?
I quaderni del carcere di Antonio Gramsci
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Durante gli anni del carcere Gramsci scrisse ben trentatré quaderni, che sarebbero stati pubblicati postumi da Einaudi in sei volumi nel 1948. Nei Quaderni del carcere l’intellettuale comunista rifletteva sulla sua condizione di detenuto, intrecciando a essa pensieri teorici ad altri più intimi e privati.
Oggi in quegli scritti troviamo condensato il suo pensiero, unito a una nitida fotografia di quel drammatico periodo storico in cui il Fascismo prendeva il potere con una brutalità inaudita. Antonio Gramsci analizzava la società del suo tempo attraverso la lente delle sue letture, Marx, Engels, Lenin, e così ne individuava il marcio che impediva al Paese intero di progredire e svilupparsi. In particolare elaborò il concetto di egemonia sociale. Secondo Gramsci tuttavia egemonia non è dominio, e la giusta classe egemone non deve essere dominante ma deve acquisire autorevolezza in senso politico e ottenere il consenso della società civile. La funzione di rieducazione politica e sociale delle masse spettava, nell’idea di Gramsci, agli intellettuali che avevano il compito di svolgere una funzione di “cerniera” tra struttura e sovrastruttura sociale.
Odio gli indifferenti, il discorso di Antonio Gramsci
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L’11 febbraio 1917 sul giornale La città futura, in un’edizione curata da lui in prima persona, Antonio Gramsci scriveva un pezzo destinato a entrare nella storia. Si intitolava “Indifferenti”, ma lo ricordiamo meglio come Odio gli indifferenti.
Il testo uscì in prima pagina, insieme a un articolo del filosofo Benedetto Croce.
Per sua scelta Gramsci non lo firmò, rimase anonimo. Ciononostante queste parole incarnano l’uomo Gramsci, la sua statura intellettuale mai contrapposta alla volontà di agire per portare beneficio non al singolo ma alla collettività tutta. Le parole per l’uomo: il pensiero di Antonio Gramsci, il suo essere illuminato, può essere condensato per intero in questo suo scritto che, a distanza di più di ottant’anni, ci parla ancora in tutta in tutta la sua trasparente attualità spingendoci ad aderire al suo credo.
Nell’articolo Gramsci definiva gli “Indifferenti” come “il peso morto della storia” e chiamava gli individui ad agire contro l’abulia, contro il parassitismo, contro la vigliaccheria. Solo così si sarebbe potuta costruire una società realizzata dall’intelligente opera di tutti i cittadini. Il suo monito giunge sino ad oggi e non ha perso un briciolo del suo vigore: ma siamo davvero disposti ad ascoltarlo?
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Vivere significa essere partigiani, questo è il grande insegnamento di Antonio Gramsci: il richiamo al senso di responsabilità storica insito in ciascun individuo. Quanto sono attuali le sue parole ancora oggi: ora, proprio ora, in questo tempo presente in cui tutti siamo pronti a indignarci ma spesso le nostre rimostranze si riducono a uno sterile post social, e poco più. Non era questo che Gramsci intendeva con il suo “vivo, sono partigiano”. Lui è stato un uomo veramente capace di incarnare un ideale, con la carne e con il sangue: che grande esempio ci ha dato in materia di dialogo, empatia e attivismo.
Antonio Gramsci ci ricorda, proprio come Benedetto Croce, che la “storia è sempre contemporanea”. E che spetta anche a noi, che viviamo in questo instabile e incerto presente, farci tramite delle idee che influenzeranno il tempo futuro.
Che grande responsabilità, ma che bella missione di vita ci ha affidato Gramsci nel suo messaggio contro gli Indifferenti. Non è un caso che spesso siano i più giovani, gli studenti liceali, a ripetere le sue parole perché si sentono investiti di futuro, di vita, di promesse. Antonio Gramsci, invitandoci a “essere partigiani”, allarga quella fame di vita a tutti ricordando l’importanza essenziale, necessaria e non delegabile di ciascuno riportandoci così a un senso di “consapevolezza collettiva” che abbiamo dimenticato. Saremo in grado di svolgere anche noi l’arduo compito che la vita ci pone?
Recensione del libro
Odio gli indifferenti
di Antonio Gramsci
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Antonio Gramsci: la vita e il pensiero contro gli Indifferenti
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