Nel novembre 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituì l’International Criminal Tribunal for Rwanda, ICTR, con sede ad Arusha, città della Tanzania dove operano importanti organismi diplomatici e legali internazionali. L’ICTR aveva il compito di sottoporre a giudizio persone accusate di aver partecipato ai massacri avvenuti in Rwanda tra il 7 aprile e il 19 luglio 1994.
In 113 giorni, nonostante la presenza di forze armate dell’ONU, nel “Paese delle mille colline” fu attuato quello che in termini legali si definisce genocidio: 800.000 persone, qualcuno parla di un milione, inermi, disarmate furono metodicamente massacrate, per la maggior parte a colpi di machete, apparentemente solo per motivi etnici.
Arusha. La menzogna in tribunale: il libro di Elie Ndayambaje
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Elie Ndayambaje è uno degli imputati del processo ed è stato condannato, in appello, a 47 anni di detenzione di cui 20 (1995-2015) scontati in prigione in attesa di giudizio. Prima del ‘94, era stato per molti anni sindaco di Muganza, il luogo dove, secondo l’accusa, avrebbe fomentato le stragi.
Ndayambaje è autore di Arusha: Ikinyoma mu rukiko mpuzamahanga, disponibile anche:
- in lingua francese con il titolo Arusha: le mensonge au prétoire (L’Harmattan 2018, pp. 691),
- in inglese con il titolo Arusha: Bias and Lies in the Courtroom: The Case of Elie Ndayambaje at the International Criminal Tribunal for Rwanda 1995 – 2015 (formato Kindle)
e di recente in traduzione e adattamento in italiano a cura di Tiziano Pegoraro, con il titolo Arusha. La menzogna in tribunale.
Il libro, come dice l’autore, “non si propone la riapertura del caso”, piuttosto di far conoscere la voce dei vinti, “il grido disperato di un condannato” che ha visto “un tribunale internazionale tollerare la menzogna e giudici professionisti prestarsi alla mistificazione della verità, sebbene alcuni si siano dissociati”. La versione italiana si concentra sul caso giudiziario dell’autore per ottenere un racconto più fluido e rendere più evidenti le incongruenze alla base del processo e della condanna.
Sulle terribili vicende del Rwanda sono stati scritti libri, saggi, prodotti film come “Hotel Rwanda” (2004) che hanno cercato invano di individuare motivazioni e responsabili di quegli eccidi. Ognuno può credere ciò che preferisce ma, comunque la si guardi, è una storia orrenda in cui ONU e tante nazioni occidentali, che si autodefiniscono civilizzate, hanno fallito nel loro compito di salvaguardare la vita umana e la convivenza pacifica e hanno anteposto interessi politici ed economici alla tutela di tante vite.
Nulla di nuovo o straordinario, si dirà, però questo libro, nella sua traduzione italiana, potrà aggiungere elementi di conoscenza e magari interessare qualcuno ad approfondire cause e genesi degli eventi costati la vita a cosi tante persone nel “Paese delle mille colline”.
Il 14 dicembre 2015, vent’anni dopo l’inizio del processo segnato dall’esigenza di proteggere i testimoni a rischio di essere assassinati, la Corte d’Appello dell’ICTR ha
“identificato la violazione di diritti fondamentali degli imputati, primo tra tutti quello per un processo in tempi ragionevoli, ed altri “errori” commessi nel giudizio di primo grado”.
Nonostante questo c’è stata solo una parziale non significativa riduzione delle pene.
Il libro contiene anche una lucida e sintetica analisi del contesto storico che ha portato a quella che l’autore definisce “una tempesta di orrore”. Per la prima volta, dopo trent’anni, fatti ed episodi sono riportati da testimoni oculari, superstiti scampati alla mattanza come nel caso della chiesa parrocchiale di Mugombwa e delle località limitrofe. Si tratta di testimonianze oggettive, passate al vaglio della magistratura internazionale e vengono presentate come atti del processo.
Per usare le parole dell’autore, egli ha voluto
"condurre il lettore nei meandri della giustizia amministrata dal tribunale di Arusha e accompagnarlo nei luoghi di detenzione fino ai corridoi e all’aula del tribunale".
Eppure in questo percorso Elie Ndayambaje non può fare a meno di mettere in luce quelle che ha vissuto, da diretto interessato, come le
“manovre dilatorie del procuratore con la complicità dei giudici e l’ingegnosità nel costruire la prova con l’appoggio delle autorità”.
In poche parole, continua l’autore
“l’aula del tribunale non è stata sempre il luogo dell’attesa verità piuttosto la verità non è mai stata al centro della preoccupazione dei Giudici”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Arusha”: le bugie del genocidio in Rwanda nel libro-testimonianza di Elie Ndayambaje
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