Si dice che i gatti abbiano un grande legame con la spiritualità e, per questa ragione, sono stati venerati e trattati con rispetto da molte civiltà.
La saggista e scrittrice toscana Marina Alberghini, presidente dell’Accademia dei “Gatti Magici”, autrice, tra gli altri, dei libri Céline, gatto randagio (Mursia, 2009), Gatti e ribelli (Mursia, 2017) e Gatti e Artisti (Mursia, 2019) cita un mito indù:
Nella sua sesta reincarnazione il gatto diviene un guru perfetto. E allora deve cercarsi un discepolo tra gli umani. Di solito sceglie un intellettuale, un artista...
E il gatto Bébert aveva scelto il medico Louis Ferdinand Destouches (1894–1961), in arte Céline, lo scrittore francese più influente e controverso del XX secolo.
Céline, dal canto suo, sosteneva che:
“Un gatto è l’incantesimo stesso, la delicatezza nell’onda (…) Un gatto è la stregoneria stessa.”
Scopriamo la vera storia del gatto di Céline, legata a doppio filo alla controversa biografia del grande scrittore francese.
Céline, scrittore anarchico e antisemita
“Sono anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente o per nessuno. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta a suonare lo zufolo solo perché decine e decine di falliti me lo suonano? ”
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Lo scrittore e critico letterario Ernesto Ferrero (1938-2023), premio Strega nel 2000, definì Céline “lo scandalo di un secolo”.
Autore dei romanzi Viaggio al termine della notte, tradotto dallo stesso Ferrero, (Corbaccio, 1992) e di Morte a credito (Corbaccio, 1992), scritti con un particolare stile e registro linguistico, l’argot, il gergo parlato dagli abitanti meno abbienti e più diversi delle periferie parigine: popolani, barboni, bottegai, artisti, malviventi. L’argot è fatto per esprimere i veri sentimenti della miseria.
Céline era un medico che, senza farsi pagare, assisteva i pazienti dei rioni più disastrati di Parigi. Da giovanissimo aveva partecipato alla prima guerra mondiale ed era stato ferito, guadagnandosi una medaglia.
Poi aveva girato un po’ il mondo, dapprima dirigendo una piantagione di cacao in Camerun e in seguito conferenziere per la Società delle Nazioni in Europa, Africa e America. Si sposò tre volte: la prima è una entraìneuse, la seconda è una donna della buona società francese che gli diede la figlia Colette, l’ultima moglie fu Lucette, una ballerina francese che gli rimase accanto fino alla morte. Céline ebbe molte donne e anche un grande amore: Elizabeth Craig, la ballerina a cui aveva dedicato il Voyage, che in America sposò un ricco ebreo.
Voyage au bout de la nuit nel 1932 ebbe un grande successo editoriale e di critica, raccogliendo elogi da George Bernanos (“Céline è stato creato da Dio per dare scandalo”), Paul Valéry (“capolavoro del crimine”), Jean-Paul Sartre (“Céline ha forgiato uno strumento nuovo: una scrittura viva come la parola”), Henry Miller (“fratello Céline)” e da Claude Lévi-Strauss, Trotskij, Malraux, Bataille, Simone de Beauvoir.
Ma la maggior parte di loro si rivoltarono quando Céline pubblicò verso la fine degli anni Trenta tre pamphlet considerati antisemiti e filo nazisti: Bagatelle per un massacro (Guanda, 1981), La scuola dei cadaveri (Omnia Veritas, 2018) e Le belle bandiere, oltre che il pamphlet politico Mea culpa (Guanda, 2018), un atto d’accusa del comunismo e della vita nell’Unione Sovietica.
Queste opere diventeranno una sorta di bandiera del regime collaborazionista del governo di Vichy con a capo il maresciallo Pétain e, per tali ragioni, Céline – che mai si definì un “fascista” - venne considerato un fiancheggiatore del Terzo Reich e odiatore del popolo ebreo.
La Resistenza francese, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, lo minacciò di morte per cui Céline lasciò Parigi e con l’aiuto di alcuni gerarchi nazisti raggiunse la Germania, seppure la sua destinazione finale fosse la Danimarca. Céline e la moglie Lucette fuggirono portando con loro un gatto randagio adottato alcuni anni prima, al quale diedero il nome di Bébert, lo stesso nome del personaggio del ragazzino malato di tifo del romanzo Viaggio al termine della notte.
In Danimarca Céline venne arrestato nel dicembre del 1945 e, dopo 14 mesi i prigione, rimase in esilio fino al 1950. Nel frattempo il Tribunale di Parigi lo condannò e solo nel 1951 Céline e la moglie, grazie a una amnistia a favore dei collaborazionisti, ritornarono in Francia e si stabilirono nella città di Meudon. Sul capo di Céline rimase però la condanna per indegnità nazionale e la confisca di tutti i suoi beni. Ma la condanna più dura fu quella morale chiesta dal mondo culturale francese, con Jean-Paul Sartre che chiese espressamente il suo ostracismo.
Invece ci fu chi lo amò, come i due scrittori della Beat Generation (Allen Ginsberg e William S. Burroughs) che l’8 luglio del 1958 andarono a trovarlo a Meudon. Ginsberg salutando lo scrittore disse:
"Noi rendiamo onore dall’America al più grande scrittore di Francia".
Henry Miller fu tra i firmatari della petizione a favore di Céline nel 1947.. Charles Bukowski definì Céline “il più grande scrittore degli ultimi duemila anni". Curzio Malaparte, l’autore dei romanzi La pelle e Kaputt, mantenne con Céline un’amicizia epistolare e lo aiutò economicamente.
Céline morirà il 1º luglio 1961 nell’indifferenza generale del mondo culturale. In Italia “La Stampa” di Torino il 5 luglio lo definì in questi termini:
“L’anarchico che predicò il razzismo, i suoi romanzi ebbero un successo fugace: sono un insieme di oscenità, odio, scetticismo e antisemitismo rabbioso”.
Bébert, il gatto di grondaia di Céline
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Nella casa di Meudon avevano vissuto con Céline, oltre a Bébert, molti animali: Thomine, una gatta; Flùte, un gatto grigio; Billy Budd, un gatto; Totom, un pastore tedesco, Polka, un botolo e il pappagallo Toto.
Ma il più amato fu Bébert, il primo gatto, l’eroe di molte avventure.
Infatti, nel periodo più drammatico della vita dello scrittore francese, Bébert, il gatto di grondaia che era nato e vissuto nel quartiere di Montmartre, condivise con Céline e Lucette le fughe e l’esilio e morirà agli inizi del 1952, probabilmente all’età di 16 anni nella casa di Meudon.
Scriverà Céline in Nord, quello che fu il termine della notte del gatto Bébert:
“(...) è morto qui dopo ben altre disgrazie, gattabuie, bivacchi, ceneri, tutta l’Europa”
Il gatto diventerà una presenza nei romanzi del dopoguerra: Da un castello all’altro (Einaudi, 1991), Nord (Einaudi, 1994) e Rigodon (Bompiani. 1970).
Della vita e della storia avventurosa e romantica di questo gatto ne scrive nell’interessante saggio Bébert, il gatto di Louis-Ferdinand Céline ( Grasset 1976 - La Vita Felice, 2013) lo scrittore e membro dell’Académie Française Fréderic Vitoux, tra l’altro biografo di Céline (Misére et parole, 1973 e La vie de Céline, 1988) e autore dei saggi Le Chats du Louvre e il Dictionnaire amoureaux des chats.
Scrive Vitoux nella Premessa che il gatto ebbe un ruolo chiave durante la stesura del libro:
“Assumeva il ruolo di modello o di specchio per lo scrittore (…) evocare Bébert mi sembrava anche un buon espediente per meglio capire il suo padrone”.
Il libro di Vitoux è una specie di delicato romanzo e pure di biografia della vita di Céline, quando con lo stile del cronista e del romanziere si raccontano, con dovizia di particolari e di riferimenti storici, l’odissea e le rocambolesche avventure di Bébert durate ben sette anni – che sono le stesse di Céline e di Lucette: dalla sua nascita oscura nella regione parigina alla vita di randagio, fino al giorno della sua adozione da parte del dottore Destouches, in arte Céline, accasato nell’appartamento in rue Girardon; dalla sua lunga peregrinazione tra Germania e Danimarca al ritorno in Francia.
La fuga di Céline con il gatto Bébert
Nel suo saggio, Vitoux, con l’estro di un romanziere, descrive l’odissea dei tre e delle condizioni di vita del gatto: il viaggio sul treno dentro uno zaino fuggendo da Parigi - il 17 giugno del 1944 - verso la città di Baden Baden, la prima tappa verso l’agognata Danimarca; il primo soggiorno in un paese del Brandeburgo alloggiato presso la torre di un ufficio del Ministero della salute tedesco. Nel novembre del 1944 un nuovo viaggio con il treno durato alcuni giorni, sempre rinchiuso nello zaino, verso la città tedesca di Sigmaringen dove i nazisti avevano ospitato in un castello i francesi in fuga, tra cui il maresciallo Pétain, del governo di Vichy.
Secondo la narrazione di Vitoux il soggiorno nel castello è quello più felice di Bébert per la ragione che come tutti i gatti di questo mondo:
“è curioso, intrepido. Corridoi, gallerie, arcate... Il castello presto non ha più misteri per lui”.
Nel marzo del 1945 Céline ottiene il permesso per raggiungere la Danimarca e Bébert, sempre rinchiuso nello zaino, attraversa tra un treno e l’altro tutta la Germania in un viaggio di quasi tre settimane. E prima di raggiungere Hannover il loro convoglio subisce un bombardamento. Lucette è ferita ad un ginocchio ma il gatto resta indenne.
Vitoux cita una lettera di Céline del 1961 che racconta di quell’avventura:
“Lucette l’aveva messo in uno zaino: L’ha portato così senza bere, senza mangiare, senza pisciare né il resto per diciotto giorni(...) Abbiamo cambiato il treno ventisette volte. Tutto perduto e bruciato per strada, tranne il gatto. Abbiamo fatto circa 37 chilometri a piedi(...) sotto dei fuochi peggio che nel ’17”.
Il 27 marzo del 1945 i tre – Bébert è stato in qualche maniera umanizzato: è un fuggitivo, un profugo, una vittima – raggiungono Copenaghen e vanno ad abitare al terzo piano di un palazzo borghese ospiti di un’amica. Nei primi mesi Bébert è nuovamente un gatto felice e conduce:
“La vita placida e sonnolenta del vecchio gatto sedentario”.
Tranquilla e riservata è pure la vita di Céline e Lucette che non vogliono farsi notare perché temono i regolamenti di conti.
Scrive Vitoux che:
“In Danimarca come in Francia, è l’epoca dei processi ai collaborazionisti. Ci si potrà dimenticare dei suoi scritti antisemiti prima della guerra? ”.
Il 17 dicembre Céline e Lucette vengono arrestati e tradotti nella prigione di Copenaghen. Bébert viene portato in una clinica veterinaria e dopo qualche giorno viene accolto da un’amica di Céline, per poi ritornare dopo un mese con Lucette che nel frattempo era stata liberata. Vivono in un piccolissimo appartamento – quasi un sottoscala - della capitale, mentre lo scrittore rimane rinchiuso in carcere. Vi rimarrà diciotto mesi. Durante la prigionia riceve le visite di Lucette “con Bébert nascosto in una borsa”.
Durante quel periodo Céline si ammala e pure Bébert, che viene operato di un cancro. Si ammala anche Lucette e viene ospedalizzata.
Che accadde al gatto di Céline?
Sarà lo scrittore ad occuparsi di Bébert quando sarà a sua volta ospedalizzato al Rigshopital di Copenaghen. Scrive Vitoux che:
“Durante parecchie settimane, lo nasconderà nella sua camera (...)Bébert si rintana sul fondo di un armadio”.
Quando il 27 giugno 1947 Céline verrà liberato i tre si ricongiungeranno e abiteranno nel piccolo appartamento – il sottoscala – fino al 19 maggio 1948. Dopodiché i tre andranno a vivere fino al giugno del 1951 in una casa di campagna, con il pavimento di terra battuta e senza acqua torrente, sulle rive del Baltico. Bébert in campagna ritrova la sua natura di gatto.
Quando il 25 aprile 1951 entrerà in vigore l’amnistia decretata dal tribunale militare di Parigi, i tre rientreranno in Francia il 1° luglio del 1951 e andranno ad abitare non a Montmartre ma nella periferia di Parigi, in una casa con giardino dove poi Céline ospiterà altri animali abbandonati.
Bébert ha già più di sedici anni ed è un gatto oramai vecchio e malato e non dà confidenza agli altri animali. Non va più a caccia, non esplora più. Passa le sue giornate nel seminterrato della casa che Céline ha adibito al suo ufficio.
Così lo immagina Vitoux:
“Allungato sulla scrivania di Céline, in mezzo ad alcuni manoscritti. Languido, la testa china sulla carta, sembra volersi fondere con l’opera in corso”.
Bébert morirà per il riacutizzarsi del cancro e Céline farà circolare il gatto nella sua controversa e dannata opera.
Secondo l’opinione di Vitoux:
“Bébert si conferma il doppio di Céline. L’autore si proietta in lui”.
Il gatto è modello, specchio, alter ego dello scrittore francese.
Nel romanzo Pantomima per un’altra volta (Einaudi, 1987) Céline scrive che:
“Ora brrt brrt solo per sé, non risponde più alle domande... monologa con se stesso... come faccio io stesso... è abbruttito come lo sono io (…) E Bébert che non ha più denti, baffi...! (come me!)”.
E qui potremmo scandagliare l’anima e l’io alternativo o rimosso di Céline con gli strumenti della psicanalisi, rischiando però pericolose e seducenti scivolate, citando l’opera del filosofo e psicanalista austriaco Otto Rank (1884-1939), allievo di Freud, autore del saggio Il doppio (Sugarco, 1972).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Bébert, il gatto di Céline: storia del modello del più grande scrittore di Francia
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