Grazia Cherchi è stata una delle figure chiave dell’editoria italiana del Novecento; ma non solo, è stata anche anche critica letteraria, giornalista, scrittrice prolifica. Una vita interamente votata alla letteratura, la sua; un’esistenza trascorsa a tavolino, scrivendo, riscrivendo, correggendo, editando. La sua parabola esistenziale ci restituisce un’autentica fede nella parola, che speriamo non sia mai perduta.
Lei credeva nella letteratura nella sua forma più pura, vi vedeva un’arma potente - quella del pensiero critico - capace di sconfiggere la crescente omologazione della cultura di massa. Nel trionfo della società consumistica, omologata, Cherchi difendeva il prodigio della singolarità che rispondeva a un’unica, trionfale domanda: “Cosa hai letto?”
Grazia Cherchi è stata la voce che sussurrava nell’orecchio di alcuni dei nostri migliori scrittori “si può fare meglio”; il suo lavoro, la sua professionalità, ci aiutano a fare luce su una figura troppo spesso oscurata nel mondo dell’editoria attuale, quella dell’editor. Il perfezionismo, l’attenzione, la precisione di Cherchi ci ricordano che un libro non è finito nel momento in cui è scritto: in quel momento è solo un prodotto grezzo, un’opera incompiuta.
Su quel libro apparentemente “già scritto” Grazia Cherchi era capace di trascorrere notti insonni; era lei l’“autrice fantasma di alcuni dei più bei libri della nostra narrativa”. La sua figura, purtroppo, come quella di molte altre grandi donne del nostro Novecento è oscurata, non vista.
La casa editrice romana minimum fax sta facendo un accurato lavoro di riscoperta ripubblicando la sua opera omnia.
In attesa della prossima pubblicazione, scopriamo chi era Grazia Cherchi.
Grazia Cherchi: la vita e le opere
Fu prima di tutto una lettrice. Concepiva la lettura non come un piacere e nemmeno come un dovere, per lei la lettura era una maniera di stare al mondo.
Nata a Piacenza nel 1937, da una famiglia di origini sarde, si laureò in Lettere all’università di Bologna e, sin da giovanissima, cominciò a dedicarsi alla scrittura. Il suo primo esperimento furono gli articoli pubblicati sull’iconica rivista Quaderni piacentini, fondata insieme all’amico Pierluigi Bellocchio, incontrato durante gli studi. In quei pezzi sferzanti Cherchi già rivelava la sua acuta vis polemica, procedendo alla distruzione sistematica di tutto ciò che era dogma. Persino le sue recensioni erano taglienti e - proprio per questo - indimenticabili. Non aveva remore nel dare giudizi: “Manca la narrazione,” scriveva senza indugio, una frase che equivaleva a un colpo di spada. I suoi scritti erano sempre sferzanti, come la penna rossa di una professoressa, preannunciavano l’editor instancabile che sarebbe diventata. Ma le sue correzioni, in seguito, le avrebbe sempre fatte a matita, tenendo a lato una gomma per cancellare. Si presentava all’autore con i segni e la gomma pronta a cancellarli, ma dietro quella gomma bianca si celava una minaccia oscura e neanche troppo velata: “se li cancelli, è peggio per te”.
Come giornalista Grazia scrisse per testate famose, come Il manifesto, Panorama, l’Unità, Linus. Ma il suo vero lavoro era un lavoro oscuro, per cui non veniva ringraziata “verbalmente”. In un articolo per Panorama, pubblicato nel luglio 1987, scrisse che l’editing era un lavoro che richiedeva una certa dose di masochismo. Perché bisognava andare controcorrente, immedesimarsi nello stile e nella scrittura di un altro; e non si era mai ringraziati per questo. Obbedendo a questa legge oscura divenne una delle prime editor professioniste d’Italia: fu Grazia Cherchi a professionalizzare, grazie alla sua sensibilità, il delicato - e spesso ignorato - lavoro dell’editing.
Iniziò a lavorare come lettrice esterna per Mondadori e Garzanti, affiancando a quell’attività l’impegno di critica letteraria su diverse testate. Gli autori iniziavano a temere i suoi giudizi; la sua penna, che correggeva e giudicava, divenne temuta.
Grazia Cherchi, nel suo lavoro, aveva un unico credo: lei doveva stare dalla parte del lettore. In virtù di questo spingeva la sua scuderia di scrittori - negli anni avrebbe lavorato con Lalla Romano, il poeta Giovanni Giudici, Alessandro Baricco, Maurizio Maggiani, Massimo Carlotto, Gianni Riotta, Stefano Benni - a demolire il proprio ego per mettersi dalla parte di chi legge.
Ma in fondo era anche lei una scrittrice, chiamata alla stessa lotta contro il proprio ego, la propria soggettività, il proprio eccesso verbale.
La scrittura di Grazia Cerchi
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Il primo romanzo di Grazia Cherchi, edito di recente da minimum fax, si intitola con un rimando molto shakesperiano: Fatiche d’amor perdute . Fu pubblicato per la prima volta nel 1993.
Nel libro, dall’impianto molto autobiografico, Grazia immaginava un ritrovo di vecchi amici in una casa della campagna piacentina. Gli ospiti non si vedono da oltre venticinque anni ed ecco che si raccontano le loro vite: a ciascuno di loro è dedicato un capitolo, le voci si rincorrono in uno strascico di ricordi, pensieri, rimpianti.
Un’altra delle sue prove narrative più riuscite è la raccolta di racconti Basta poco per sentirsi soli in cui Cherchi narrava con piglio ironico le sue giornate da editor e gli incontri con amici intellettuali e scrittori sull’orlo di una crisi di nervi.
Tra le osservazioni acute - e ancora molto attuali - fatte da Grazia Cherchi nel suo libro troviamo la frase pungente:
Nessuno legge e si mettono a scrivere anche i cardiologi
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Una delle opere più pregevoli di Cherchi, come critica letteraria, è invece Scompartimento per lettori e taciturni: articoli, ritratti, interviste che raccoglie la sua vasta produzione critica e giornalistica, gli scritti prodotti in una vita intera tutta dedita alla letteratura.
La narrativa brillante di Grazia Cherchi e i suoi interventi puntuali sulle pagine di riviste e giornali ci offrono una panoramica illuminante sul mondo editoriale di oggi e di ieri. Il fatto che le opinioni sferzanti della grande editor italiana non siano affatto passate di moda ci dovrebbe far riflettere sul nostro mondo di intendere la letteratura e l’editoria.
Il metodo di editing di Grazia Cherchi
In un mondo in cui tutti vogliono diventare scrittori acclamati e tutti credono di saper scrivere un romanzo, ma nessuno vuole più fare semplicemente “il lettore”, Grazia Cherchi insegnava a mettere da parte l’ego, a eclissarsi, a concepire la letteratura come impegno - anche in senso politico - e non come palcoscenico. Lei decise di essere “l’autrice fantasma”, ma la sua impronta editoriale è ancora evidente e visibile in ciò che leggiamo oggi.
Grazia Cherchi, sigaretta in bocca e fronte perennemente corrucciata, difendeva la letteratura attraverso un metodo di editing ben preciso: “levare, levare”. Gli scrittori, da lei, non si aspettavano lodi: la sua penna agiva come un bisturi. Detestava gli avverbi e l’aggettivazione sovrabbondante, non credeva nelle parole inutili, ma soltanto nelle parole necessarie. Sostenne questo credo per tutta la vita, morì in una clinica di Milano il 22 agosto del 1995, ma sino alla notte prima aveva lavorando - scrivendo, riscrivendo, correggendo, appuntando - indefessamente, sino all’ultimo respiro.
Un famoso scrittore della sua scuderia, Stefano Benni, le dedicò una formidabile filastrocca che, ancora oggi, ci pare la maniera migliore per salutarla e renderle omaggio con un sorriso.
Grazia ha telefonato: / “Finalmente mi hai mandato / un vero romanzo / asciutto e stringato.” / Grazia, da mesi di dirtelo tento, / era la lettera di accompagnamento.
Poco prima che morisse, avevano domandato a Grazia quali sarebbero stati i “romanzi del futuro”. Lei rispose che credeva in romanzi attraversati dalla vena dell’ironia, ma animati da vera passione, in romanzi pronti a cambiare il mondo in“ meglio”.
Quando il Corriere della Sera annunciò la sua morte, nel titolo scrisse: “Cari lettori, d’ora in avanti leggerete romanzi più brutti”. Se n’era andata per sempre una mente acuta, critica e, soprattutto, generosa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Grazia Cherchi, la pioniera dell’editing
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