

Prehistorica Editore è un unicum nell’orizzonte editoriale italiano: tutto il suo catalogo, infatti, si compone di autori di lingua francese, un progetto ben riassunto anche nel nome, con quell’-h che riporta alla memoria la lettera iniziale della parola d’oltralpe “histoire”.
Nelle quattro collane che ne raggruppano i titoli, si susseguono così Éric Chevillard e Lydie Salvaire, Pierre Jourde e Joris-Karl Huysmans, Alexandre Vialatte e Jean-Marc Aubert. È quasi superfluo dunque sottolineare come al cuore pulsante di questa casa editrice, a reggerne solidamente le fondamenta e tutto lo scheletro, ci siano i traduttori.
HIT: cos’è il marchio “Human Intelligence Translators”?
Sfogliando gli ultimi volumi di Prehistorica, un lettore ben attento si renderà conto di un aspetto insolito. Insieme al testo e ai comuni elementi di paratesto, proprio all’ultima pagina e sopra i dati relativi alla stampa, campeggia infatti un logo: un cuore fatto di budelli cerebrali, che sprizza fuori da un libro stilizzato, aperto e pronto alla lettura. Tutto intorno a questa crasi fra i due organi umani più importanti, l’acronimo HIT e la sua versione per esteso: Human Intelligence Translators.
Segue un testo:
Questo logo certifica che, proprio come la sua versione originale, anche la traduzione del testo è opera del genio e della sensibilità di una persona fisica.
Human Intelligence Translators si intende quindi a tutela, prima ancora che del valore letterario dell’opera approdata in lingua italiana, dell’insostituibile lavoro del traduttore, quale tramite necessariamente umano fra autore e lettore, autentico cuore pulsante della riscrittura, battuta dopo battuta.
A HIT è dedicata anche una pagina sul sito di Prehistorica, che raccoglie tutti i traduttori che hanno collaborato fino a oggi al catalogo: Gabriella Bosco, Antonella Conti, Filippo D’Angelo, Lorenza Di Lella, Gianmaria Finardi, Giuseppe Girimonti Greco, Alice Laverda, Laura Marzi, Lamberto Santuccio, Francesca Sala, Ezio Sinigaglia e Silvia Turato. Ognuno di loro ha scelto una citazione, propria o altrui, per presentare ciò che risiede al cuore pulsante della loro attività di traduttrici e traduttori.
Per comprendere al meglio cosa HIT rappresenti, abbiamo intervistato l’editore e traduttore Gianmaria Finardi.
Intervista a Gianmaria Finardi, traduttore ed editore
- Iniziamo con una domanda base: cos’è HIT?
Si tratta di un marchio depositato e riportato sull’ultima pagina dei libri più recenti da Prehistorica Editore. Risponde all’acronimo di Human Intelligence Translators. In sostanza, ce ne serviamo per esplicitare (ora che il "problema", diciamo così, è diventato molto più urgente) che dietro la traduzione c’è una persona fisica, con la sua sensibilità, il suo ingegno; di lì il logo, che si richiama a un "cuore pensante", a metà tra un cervello e un cuore appunto.
Un modo trasparente per dire ai lettori che Prehistorica Editore si impegna a non servirsi, in nessuna fase della traduzione, di Intelligenza Artificiale - anche se sarebbe molto meno oneroso ricorrervi. Non esigiamo del resto tutti di sapere, quando compriamo un prodotto alimentare, quale sia esattamente la filiera, per star bene attenti a cosa ci mettiamo nella pancia? Perché non dovremmo avere almeno la stessa cura, quando si tratta di quello che ci mettiamo in testa?
- Qual è la situazione attuale tra Intelligenza Artificiale e traduzione, in editoria? Nel testo che presenta HIT, si parla di "tramite necessariamente umano tra autore e lettore": ce ne vuoi parlare?
A oggi, l’IA non costituisce uno strumento adeguato alla traduzione letteraria. Anche al netto di clamorose cantonate e qui pro quo - che sarebbero tutt’altro che infrequenti -, la voce inconfondibile dell’autore verrebbe irrimediabilmente sfigurata. L’IA è tutt’al più in grado di ridurre il testo a una "poltiglia passabile", in un italiano passabile, che giocoforza finirebbe per avere pochi rapporti con quello originale. Lo stile di un autore, d’altra parte, che si distanzia necessariamente dalla lingua standard, è un errore voluto - per dirlo con Valéry.
Da un punto di vista operativo, del resto, l’IA si nutre - si sa - di testi. Riuscisse anche a scimmiottare più fedelmente gli stilemi di questo o quell’autore, finirebbe per non rispettare le (in)coerenze interne all’opera. Offrirebbe una lingua "normata", omogenea in tutto il testo, non in linea con gli "spigoli" voluti dall’autore. Molti sono gli studi che confermano questo limite.
Ci sono poi ovviamente importanti questioni etiche. Credo, per dirne una, che anche nella traduzione debba scorrere la vita. Se si tratta ad esempio di rendere un sentimento, magari - proustianamente parlando - di un sentimento suscitato da un sapore, è bene che sia un’Intelligenza Umana, di qualcuno che quel sapore e quel sentimento lo hanno provato, sulla propria pelle, a occuparsene.
Dal punto di vista dell’editore, infine, che senso ha andare a pubblicare l’opera singolarissima di un grande autore francese, senza cercare di preservarla al massimo, nelle sue peculiarità, facendola masticare alle ruote dentate della macchina?
- Altro termine fondamentale è "riscrittura". Si sa, quando si parla di teoria della traduzione, i termini utilizzati sono fra i più disparati; perché si è scelto proprio questo?
Dato che la traduzione letteraria non può essere considerata alla stregua di un’algebra, non si tratta - ci tengo a precisarlo - solo di una questione di esattezza, bensì di creatività. Il traduttore letterario non è mero artigiano della parola, ma (ri)scrittore, se è vero che è chiamato a realizzare nientemeno che la metafora del testo originale. Si tratta di uno scrittore vero, in carme (sì, da "carmen") e ossa.
- In qualità di traduttore, quali sono stati i testi chiave che ti hanno formato e accompagnato durante tutta la carriera?
Al netto del bagaglio di esperienza che ti porti dietro, testo dopo testo, credo che il traduttore debba avere l’umiltà di immolarsi completamente al cospetto dell’autore, quasi facesse tabula rasa all’inizio di ogni avventura: ogni testo ha, come dire, le sue peculiarità, una particolare nota da prendere, la sua storia.
Certo la prima esperienza, quella che non potrei mai dimenticare, ha avuto luogo tra i banchi dell’università, dove ho avuto l’immensa fortuna di frequentare, per un semestre, un corso di traduzione tenuto dal professor Luca Pietromarchi; correva l’anno 1998, e il romanzo al centro del corso era Le Grand Meulnes di Alain-Fournier. Singolare che si tratti di un grande romanzo di formazione...
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Human Intelligence Translators”: il marchio per la traduzione letteraria senza AI
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