Il crollo delle certezze che investe l’Europa tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento mette in crisi i princìpi su cui è fondato il concetto di ragione. Ciò si manifesta nella negazione e nel superamento della cultura del Positivismo e in particolare dell’idea che la scienza sia la via della verità e del progresso, che su di essa si possa costruire un sistema sociale fondato su valori duraturi nel tempo. La crisi della ragione viene avvertita dall’intellettuale come insofferenza di fronte alla realtà, che egli vede come apparenza ingannevole che non permette di cogliere il significato autentico delle cose.
L’intellettuale prende così coscienza della sua condizione di solitudine e di estraneità. Questo fa sì che egli sposti il suo campo d’indagine dalla realtà esterna al proprio io: si chiede cosa si nasconda nel profondo dell’animo umano, ma alla fine non trova risposte poiché si accorge che, nel profondo, l’animo umano risulta incomprensibile.
All’interno del romanzo ciò è reso evidente dalla figura del narratore: coincidendo quasi sempre con il protagonista della storia, fa sì che passato e presente della narrazione si confondano nella forma di un vissuto interiore, in cui i ricordi scorrono insieme all’esperienza del momento. Le distanze tra "ora" e "allora" variano continuamente e possono perfino annullarsi in intuizioni che rendono ciò che è accaduto simultaneo a ciò che accade. In questo modo le distanze e i rapporti tra gli eventi vengono stabiliti momento per momento dal modo di vedere e di sentire del narratore, che prende coscienza della storia mentre la racconta, poiché egli non ne conosce il senso e la trama in anticipo.
Il nuovo rapporto tra io e mondo esterno e tra tempo e scrittura è ben esemplificato nel racconto Corto viaggio sentimentale di Italo Svevo, rimasto incompleto perché scritto nell’anno della sua morte e pubblicato postumo.
Il rapporto fra tempo e scrittura in Corto viaggio sentimentale di Italo Svevo
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Nella novella Corto viaggio sentimentale (1928) Italo Svevo usa la scrittura come "strumento di contratto col tempo", come lo definisce Mazzacurati in Stagioni dell’Apocalisse. È cioè un racconto in cui il tempo
"non scorre se non in quanto lo fa scorrere, lo arresta, lo inverte, con scoperto gioco, la volontà della scrittura".
"La scrittura fa del libro il proprio specchio, è organizzatrice, padrona del testo, del suo ordine, del suo tempo; e attraverso questo governo del proprio spazio produttivo, prolunga e assolutizza il presente."
L’io e l’ambiente esterno in Corto viaggio sentimentale
Nel racconto la narrazione si perde in inutili digressioni sulle cose che il protagonista Giacomo Aghios vede e delle quali fornisce una personale interpretazione, frutto della sua fantasia:
"Il biondino pallido [...] dormiva tranquillo e giaceva sul guanciale come un pupazzetto di cera, scosso dai sobbalzamenti del treno. Soltanto le narici del suo naso fine parevano allargate, quasi per uno sforzo di lasciar passare maggiore quantità d’aria. Da quei biondini trasparenti le narici sembravano delle piccole ali. Ma poi il signor Aghios ricordò un suo cavallo imbolsito, che tendeva le narici col solito sforzo fuori di posto dei malati e mormorò: "Dev’essere enfisematico"."
Il protagonista Giacomo Aghios, lontano dalla famiglia (l’ambiente "chiuso ove c’è muffa e ruggine"), vive un’esperienza che tocca la parte più nascosta di se stesso ("egli ora, in viaggio, libero, tentava di ritrovarsi intero") in un momento, un banalissimo viaggio in treno, che si pone in contrasto con il suo tentativo di "sentire" gli altri quando chiama in causa la propria coscienza.
Il mondo che il protagonista vede, o meglio che si aspetta di vedere, in questo viaggio coincide con l’esperienza del suo io. Come spiega Botti ne Il secondo Svevo, "il mondo di Aghios è il suo io" e nulla può esistere all’esterno di esso.
"L’io [...] istituisce e chiude la superficie del dicibile, circoscrive, nell’onnivalenza delle proprie empiriche traiettorie, l’effigie possibile dell’oggettività."
L’intera storia è filtrata dall’umore di Aghios, che vive vari momenti:
"Come di tutte le cose, anche del viaggio la parte più bella era l’inizio. Partendo si correva via immediatamente liberi dal groviglio di affari e affarucci che gremivano la vita. Per un istante si respirava liberi. Non si serviva da puntello a nessuno e nessuno più vi puntellava."
Aghios: un altro esempio di inetto sveviano
Qualche volta questi momenti spingono il protagonista a evadere dalla realtà presente ("Il signor Aghios si trovò trasportato in tutt’altra epoca"), ma le sue illusioni si infrangono di fronte alle azioni degli uomini. Tutto questo non fa che accrescere il sentimento di sfiducia che Aghios nutre verso gli altri.
Aghios vuole nascondere a se stesso la propria identità, ma come tutti i personaggi sveviani (Alfonso Nitti, Emilio Brentani, Zeno Cosini) è un inetto.
I suoi tentativi per apparire diverso risultano inutili, anzi non fanno altro che rendere più evidente la sua fragilità psicologica. Aghios rifiuta di accettare ciò che è ovvio per "l’uomo normale". L’identità di Aghios è indecifrabile, essendo la sua ricerca un paradosso in se stessa: Aghios vuole conoscere gli altri, ma allo stesso tempo rifiuta di conoscere le loro ragioni; "il suo pensiero" scrive Italo Svevo, "si muove tra i fantasmi".
Secondo l’analisi di Botti, il Corto viaggio "inscena la trama sfrangiata degli eventi e a un tempo stesso ne esalta la significanza assoluta". Anche le battute più sobriamente prosaiche sembrano risuonare di una "quotidiana estraneità del mondo, modellata sulla scorta di un ulissismo domestico, di un’epica in miniatura (alla Joyce, per intenderci)".
Perciò le esperienze di Aghios non giungono mai a una svolta concreta: in treno egli "evita la graziosa giovinetta", ma sogna con questa un’avventura amorosa, pensando che "non sarebbe stato male se lo scompiglio in quel breve spazio l’avesse gettato su di lei". Poco dopo presta attenzione a un’altra "donna elegante", "alle sue gambe calzate di seta, ai suoi piedini piccolissimi in scarpine nere di lacca" e al suo viso, non più bello, che pure doveva un tempo esserlo stato.
"La sua faccia era stata alterata e consumata dalla vita, ridotta a linee rigide, prodotte da un duro scalpello, che la rendevano lunga. I capelli bruni, ricci ad arte, le coprivano gli orecchi. Ma il piedino era grazioso, più piccolo della piccola scarpina di lacca".
La donna rappresenta per Aghios, che si è allontanato momentaneamente dalla moglie, "il secondo suo desiderio, cioè il secondo tradimento e anche il secondo peccato".
"Ogni ammirazione per una donna è un desiderio. Le si attribuisce intelligenza o dolore per rendere più saporite quelle labbra che si vorrebbero baciare."
Alla fine Aghios rimane da solo con i suoi desideri, cosciente che essi sono irrealizzabili. La coscienza di Aghios si addentra entro percorsi immaginari, in una spirale di eventi che muta di fronte ai suoi interrogativi e finisce per moltiplicare gli ostacoli che le si parano davanti.
Il sogno come manifestazione dell’inconscio di Aghios
A un certo punto del racconto, il protagonista fa uno strano sogno. Questo sogno rappresenta una vera e propria manifestazione dell’inconscio di Aghios, di quello che egli nasconde paurosamente dentro di sé, illudendosi che in una realtà fatta di convenzioni il suo io nascosto conti qualcosa.
Ma come può esistere in Aghios un io nascosto, se egli stesso si accorge di non saperlo riconoscere? Allora non gli resta che godere dell’emozione che, per un istante, le cose attorno a lui sanno generare:
"E la gondola della benevolenza (perché c’era lui, il signor Aghios, e il suo nuovo amico che gli sottraeva a una grande tristezza e il gondoliere che tanto volentieri per lui vogava) procedeva nel rio oscuro, misterioso".
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Corto viaggio sentimentale: analisi e commento del racconto di Italo Svevo
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