Straordinaria autrice americana, scomparsa nel 2019 all’età di ottantaquattro anni, Mary Oliver in patria ha vinto un National Book Award e un Premio Pulitzer, ma da noi, prima della recente riscoperta da parte di Einaudi, era pressoché sconosciuta. La sua poetica ci giunge ora intatta, perfetta nella sua sferzante semplicità, e soffia come un vento nuovo.
“Dimmi, cosa pensi di fare della tua unica, selvaggia e preziosa vita?”
Il verso è contenuto nel finale di una poesia dal titolo The Summer Day (Giorno d’estate), sembra soffiare nel vento insieme a miliardi di domande senza risposta - e che forse mai ne avranno. Una domanda importante, smarrita in una corrente di domande superflue. Una domanda breve che, tuttavia, sembra racchiudere in sé la sintesi di ogni pensiero: “dimmi, che pensi di fare della tua unica, selvaggia e preziosa vita?”. Gli aggettivi sono determinanti, perché danno alla parola “vita” una connotazione fortemente singolare, esortandoci, di fatto, a viverla.
Questa domanda così potente, così decisiva, si insinua in maniera apparentemente innocente tra i versi di Oliver. Tutte le liriche della poetessa americana iniziano con l’osservazione della natura o del paesaggio circostante per poi colpire a fondo con una rivelazione inattesa e fortemente simbolica.
L’osservazione del mondo nei versi di Mary Oliver si trasforma in una forma di meditazione esistenziale: “Cosa pensi di fare della tua unica, selvaggia e preziosa vita?”, ci domanda.
La poesia di Mary Oliver non è riducibile alla pura nature poetry; di certo trova i suoi modelli nei grandi padri della letteratura americana, dunque Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau, Walt Whitman, ma con una differenza precisa: loro individuavano nella natura un pretesto per parlare dell’umano o dell’Io - come nella straordinaria Song of Myself di Whitman - mentre Mary Oliver va oltre, decentra l’io, non cerca di antropomorfizzare la natura, sembra spalancare una nuova dimensione prima ignota. Per questo motivo è stata definita una ecopoeta o una poeta ecologista, la sua scrittura sembra nutrirsi di un canto invisibile e porci in relazione con il “Tutto” in una specie di sentire interconnesso che va oltre la natura e persino oltre la suprema ego-referenzialità dell’Io. La poetica di Oliver è stata spesso definita una forma di panteismo ecologico o misticismo pragmatico perché ci invita a una metamorfosi, a un ricongiungimento con la natura.
Nell’introduzione alla prima traduzione italiana dei suoi versi, Paola Loreto, docente di Letteratura Angloamericana presso l’Università degli Studi di Milano, la definisce “La sposa della meraviglia” citando un verso di When Death Comes:
Quando sarà finita, voglio poter dire: tutta la vita/ sono stata una sposa della meraviglia./Non voglio finire con l’aver solo visitato questo mondo.
La sua poesia più celebre, Giorno d’estate, deve essere letta proprio in quest’ottica panteista.
The Summer Day, Giorno d’estate, fu pubblicato per la prima volta nel 1992 nella raccolta New and Selected Poems .
Scopriamone testo e analisi.
“Giorno d’estate” di Mary Oliver: testo
Chi ha fatto il mondo?
Chi ha fatto il cigno e l’orso bruno?
Chi ha fatto la cavalletta?
Questa cavalletta, intendo, — quella che è saltata fuori dall’erba, che sta mangiandomi lo zucchero in mano, che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù — e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati.
Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura.
Ora apre le ali di scatto e vola via.
Non so esattamente che cosa sia una preghiera;
so prestare attenzione, so cadere nell’erba,
inginocchiarmi nell’erba,
so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati,
è quel che oggi ho fatto tutto il giorno.
Dimmi, che altro avrei dovuto fare?
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Dimmi, che cosa pensi di fare
della tua unica, selvaggia e preziosa vita?
“The Summer Day” di Mary Oliver: il testo originale in inglese
Who made the world?
Who made the swan, and the black bear?
Who made the grasshopper?
This grasshopper, I mean—
the one who has flung herself out of the grass,
the one who is eating sugar out of my hand,
who is moving her jaws back and forth instead of up and down—
who is gazing around with her enormous and complicated eyes.
Now she lifts her pale forearms and thoroughly washes her face.
Now she snaps her wings open, and floats away.
I don’t know exactly what a prayer is.
I do know how to pay attention, how to fall down
into the grass, how to kneel down in the grass,
how to be idle and blessed, how to stroll through the fields,
which is what I have been doing all day.
Tell me, what else should I have done?
Doesn’t everything die at last, and too soon?
Tell me, what is it you plan to do
with your one wild and precious life?
“Giorno d’estate” di Mary Oliver: analisi e commento
La domanda posta da Mary Oliver in lingua inglese appare ancora più incisiva:
Tell me, what is it you plan to do
with your one wild and precious life?
Questi versi sono molto popolari in America, dove suonano come uno slogan, furono citati persino da Hillary Clinton durante le presidenziali. Ma non bisogna davvero cercare una risposta; l’invito è a vivere, non a trovare una morale. Nel caos continuo, nel mormorio cacofonico del mondo che pare sovrastare persino il pensiero, Mary Oliver ci conduce a riscoprire la nostra voce interiore. Il trascendentalismo di Emerson risuona come un’eco nei versi della poetessa e li plasma sino a condurli ad assumere una nuova forma.
Nella prima strofa di The Summer Day, Mary Oliver si chiede chi abbia creato il mondo, la cavalletta e l’orso, parte dal generale per arrivare al particolare. Infine si concentra proprio sull’essere più piccolo, ovvero la cavalletta (in inglese grasshopper, Ndr), e la osserva, ne studia abitudini e reazioni. Un animale minuscolo, apparentemente insignificante, come la cavalletta, può dirci molto delle leggi che governano l’universo. Questa è la morale nascosta nella poesia di Oliver: si può imparare la vita da una cavalletta che si strofina le zampine e poi vola via, la natura è la miglior maestra. L’apprendistato dell’esistenza parte proprio dalla vita “preziosa, unica e selvaggia” di una cavalletta, non poi così dissimile da un sottile filo d’erba che vibra al vento.
Di nuovo, dal generale al particolare, ora la poetessa immagina di essere la cavalletta: anche lei può inginocchiarsi sul prato, sdraiarsi nel prato, trascorrere un’intera giornata in uno stato di apparente inerzia. Che cos’è il tempo, dopotutto? La poesia si spalanca quindi a una dimensione esistenziale, al dialogo ininterrotto tra morte e vita, alla ricerca primigenia di un senso:
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Il pensiero della morte introduce la fatidica domanda di Oliver sulla vita, come se la morte fosse in fondo una buona consigliera perché ci ricorda che non abbiamo tutto il tempo del mondo e che la vita dobbiamo viverla, trovare da noi il senso.
In Skunk Cabbage scrive “Il nome segreto di ogni morte è una nuova vita”: è questa l’intuizione salvifica di Mary Oliver che ci immerge nel flusso continuo dell’esistenza, inteso come un ciclo eterno di distruzione e rinascita.
La poesia di Oliver genera una connessione intima e istantanea, un’empatia immediata tra noi e ciò che l’autrice osserva. American Primitive (tradotta in italiano come Primitivo Americano, Ndr) fu una delle prime raccolte di Mary Oliver, pubblicata nel 1983, e sembra risanare una frattura tra l’umano e ciò che lo circonda, lo fa restituendoci la complessità del reale in ogni sua sfumatura, oltre la superficie visibile delle cose. Il “primitive” del titolo sembra rimandare a un ritorno al primordiale, come un richiamo alla Creazione: il dialogo con la natura è continuo e ininterrotto, pare un’eco dalle origini.
Mary Oliver ci invita all’appartenenza a qualcosa è più grande dell’Uomo - per questo la sua è stata definita filosoficamente “poesia del Post-umano” e appare così in linea con i nostri tempi incerti, a tratti apocalittici, e la scoperta di uno stile di vita ecologista. La voce di Mary Oliver ci invita al decentramento dell’Io.
Non è vero, come molti credono leggendo il suo famoso verso, che la poetessa ci stia invitando all’avventura, all’eccesso, allo straordinario, in realtà lei ci sta dicendo di porre una nuova attenzione all’ordinario, di osservare il piccolo, di concentrarci sull’essenziale come una goccia di rugiada posata su una foglia. Mary Oliver ci dice che noi uomini siamo, in fondo, poca cosa, e così facendo ristabilisce le gerarchie di potere, restituisce il mondo alla Natura che lo abita. L’uomo si pone molte domande - osserva la poetessa - e non si accorge di avere già attorno a sé tutte le risposte.
Dunque, cosa ci insegna la poesia di Oliver che ha fatto proprio delle domande il proprio più alto significante? Che non possiamo risolvere la complessità del Reale con risposte razionali né con l’uso della ragione, la verità vive fuori dal tempo e dallo spazio, è racchiusa nella saggezza oscura dei torrenti che scorrono, nella resistenza delle rocce o negli animali - che non hanno parola né sorriso - eppure custodiscono una virtù preziosa, quella di saper vivere.
Se volete leggere altre poesie di Mary Oliver, la voce della poetessa americana è arrivata per la prima volta in Italia grazie alla traduzione di Paola Loreto, nella raccolta Primitivo Americano, edita da Einaudi nel 2023.
Primitivo americano. Testo inglese a fronte
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Cosa pensi di fare della tua unica, selvaggia e preziosa vita?”: la poesia di Mary Oliver
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