Joseph Stallaert, Public domain, via Wikimedia Commons
Didone è una delle eroine tragiche dell’Eneide di Virgilio, colei che rappresenta l’amante abbandonata dall’infausto destino. La storia della regina di Cartagine, in realtà, si perde nella notte dei tempi e trova la sua origine nel repertorio mitologico.
Il mito di Didone fu elaborato dagli storici nel tentativo di trovare una giustificazione leggendaria alle guerre tra Roma e Cartagine; il primo a narrare della regina fu lo storico greco Timeo di Tauromenio che ci presenta la principessa Didone come la bellissima figlia del re Mutto di Tiro in Fenicia.
Nei racconti della tradizione Didone era l’unica indiscussa protagonista della sua storia; fu Virgilio ad attribuirle un ruolo secondario, come controparte di un eroe, ma in origine Didone era un’eroina ante litteram, forse una delle prime donne ad assumere un ruolo di rilievo nella storia della letteratura antica.
Chi è la vera Didone?
Il vero nome di Didone è Elissa e la sua storia si unisce al mito della fondazione di Cartagine. Timeo fondava l’exemplum della regina cartaginese come prova di pudicizia e fedeltà alla ragion di Stato. La narrazione sarebbe stata in seguito ripresa da Giustino, al principio del III secolo, che avrebbe arricchito la storia di Didone con dettagli romanzeschi raccontando la contesa, sorta alla morte del re di Tiro, tra i suoi figli, Pigmaglione ed Elissa. La descriveva come una fanciulla di superba bellezza, data in sposa allo zio Acherba; rimasta presto vedova a causa di un complotto ordito dal fratello, la giovane riusciva con l’astuzia a organizzare una fuga e a liberarsi dalla tirannia di Pigmalione. Partita per mare Didone raggiungeva la costa dell’Africa dove fondava una nuova città. Nel racconto originale Didone moriva suicida, ma non per amore di Enea: la regina cartaginese si immolava su una pira per la ragione di Stato, sottraendosi così alle nozze con il re Iarba, sovrano dei Massitani, che minaccia di distruggere a ferro e fuoco il suo regno a un suo rifiuto. Dopo la morte sul rogo il nome di Elissa muta in Didone che, in lingua punica, significa “virago”. Dunque la storia di Didone, in origine, non era quella di un’amante tradita, ma di una regina guerriera.
Forse fu proprio la versione di Giustino a giungere a Virgilio, suggerendo al poeta latino lo spunto per la creazione del suo immortale personaggio letterario che oggi noi conosciamo, seppur inadeguatamente, come più autentico.
Didone tra mito e leggenda
Nella narrazione letteraria la storia della regina esule si incrocia con quella di Enea, appena naufragato sulle spiagge libiche dopo la sua fuga da Troia. Fu il poeta dell’Eneide, Virgilio, a decidere di incrociare i destini dei due eroi dando così vita a un nuovo intreccio, a una “favola amorosa”. Forse l’autore latino aveva intuito le sottili somiglianze tra i due personaggi del mito: entrambi esuli dalla propria terra, viaggiatori per mare in fuga da un destino di morte, fautori di una nuova civiltà.
Nella versione virgiliana, però, Didone ha la funzione di affiancare il pius Enea e di facilitare il suo percorso provvidenziale, voluto dagli Dei e dal fato, nella fondazione di una “nuova Troia”. Didone protegge l’eroe ospitandolo nel suo palazzo, ma ben presto l’occulto “veleno dell’amore” si impadronisce di lei rendendola completamente soggiogata allo straniero.
Virgilio trasforma la regina di Cartagine in un personaggio tragico, schiavo della propria passione: mentre il mito vedeva in Elissa la virago capace di darsi la morte per propria mano in nome della ragione di Stato, ecco nel poema virgiliano troviamo invece una donna innamorata, fragile, preda di turbamenti, che giunge a rinnegare, per amore, il suo destino di regnante.
Il suicidio di Didone: le due versioni del mito
Nella versione che ci è stata tramandata attraverso le pagine dell’Eneide, Didone tradisce sé stessa, viene meno al copione autentico del mito della regina guerriera e diventa una donna schiava del tormento d’amore. Il suicidio della regina viene presentato da Virgilio come il tentativo di espiazione di una “colpa”; tormentata dal ricordo dell’antico sposo (che nell’Eneide ha nome di Sicheo e non di Acherba, Ndr), la regina vive la propria passione per Enea come un tradimento al vincolo sancito dalla sua promessa nuziale. In questa nuova versione il suicidio di Didone viene perfettamente adattato ai valori della Roma augustea: la regina si punisce per non aver rispettato la castità dopo la vedovanza, mantenendo intatta la fedeltà coniugale.
Nel testo di Virgilio Didone tradisce il suo destino di personaggio (regina devota al suo popolo e al suo regno) e abbraccia invece le istanze ideologiche del Mos maiorum romano. In definitiva, il personaggio tragico che oggi noi tutti conosciamo - e amiamo nella sua drammatica umanità - è in verità un prodotto politico: la regina di Didone creata da Virgilio rispondeva alle istanze ideologiche di Augusto, diventando un’icona di pudicizia pagana. Didone si uccide per la colpa di aver perso la castità e disonorato l’antico sposo, la causa è il pudore violato; in questo diventa speculare di un altro exemplum radicato nella cultura romana antica, quello di Lucrezia.
La Didone di Virgilio è, in sintesi, una figura schiava della sua funzione letteraria, completamente subordinata alla morale del tempo: nel tragico destino della regina di Cartagine si condensavano le due esigenze alla base del poema epico in onore di Augusto. Virgilio, attraverso la nuova narrazione di Didone, aveva ottemperato al volere augusteo spiegando, in un’unica opera, le ragioni dell’odio tra Roma e Cartagine e promuovendo un modello culturale che voleva la donna sposa casta e fedele e, dunque, divulgava un preciso paradigma femminile.
Indubbiamente, però, la Didone abbandonata di Virgilio ha esercitato un’attrazione letteraria indiscussa (pensiamo anche alla successiva Didone di Pietro Metastasio) proprio per la sua essenza tragica che la rende più umana e meno virtuosa e quindi straordinariamente moderna. Il suicidio di Didone non è visto dai lettori moderni come una punizione, ma come un atto eroico: ecco come si è modificata, negli anni, la visione del mito, rendendo la regina tradita più esemplare dell’eroe Enea.
Il poeta latino voleva farne un exempla, invece, ha trasformato la regina di Cartagine in una donna di carne e sangue di cui oggi, ancora, possiamo udire le urla e il pianto. Didone dimentica di sé perché schiava della passione diventa la vera sovrana del palcoscenico: non è più la regina di Cartagine, è una donna, è parte integrante del consorzio umano. Ed è proprio lo strazio della sua passione, che tuttora brucia, ciò che rende Didone viva.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Didone, i mille volti della regina di Cartagine tra storia e mito
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