“La poesia è ovunque” ci rammenta il premio Nobel Giorgos Seferis nella sua Efeso, lirica luminosa e mistica che sembra nutrirsi d’azzurro e della vertiginosa altezza del cielo sfiorata dalle maestose colonne dei templi ionici.
La poesia di Seferis si pone in costante dialogo con la Storia che pare incastonata e custodita, come un tesoro prezioso, tra le rovine della sua patria, l’amata Grecia.
Nato a Smirne il 13 marzo del 1900, Giorgos Seferis è considerato l’emblema della libertà e della ribellione a ogni forma di dittatura o tirannia. I suoi funerali, nel settembre del 1971, si trasformarono in una solenne manifestazione contro il regime dei colonnelli che aveva preso il potere con un colpo di stato: in quell’occasione la folla si riunì per le strade recitando a gran voce le sue poesie, usando le parole come armi.
Seferis fu diplomatico e consigliere e visse una vita errante che travasò appieno nella sua poetica: era un uomo cosmopolita, poliglotta, nomade, apparentemente un “cittadino del mondo”, eppure legato alle sue radici che ritornano come un leitmotiv in ogni suo canto. La Grecia di Alessandro Magno, l’epos e le tragedie, Edipo e la sua sciagurata stirpe, mito e storia intessono la trama lirica di Seferis, ma vengono elevate sino a costituire una nuova idea di destino.
Il poeta greco, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1963, sapeva che il passato è una “domanda aperta” e che le rovine sono in realtà le sue vestigia. Nella sua parola il passato risorgeva e diventava immortale, come scolpito nella pietra, perché dopotutto un poeta è forse il più affidabile degli architetti e degli scultori. Nel corso della cerimonia di conferimento del Nobel, a Stoccolma, Seferis aveva tenuto un discorso in francese dicendo che:
Io vengo da un piccolo paese. È un piccolo paese, ma la sua tradizione è immensa. (...) Quello che caratterizza ancora quella tradizione è l’amore per l’umano.
Nella sua splendida poesia civile, Efeso, Giorgos Seferis sceglie di rivolgersi a un interlocutore privilegiato: Eraclito. A lui, al “Pensatore oscuro” per eccellenza, dà parola avviando un’indagine sulla vita umana e le sorti degli uomini, mettendo a confronto la tragedia dell’uomo antico con la tragedia dell’uomo moderno.
Nell’incipit della poesia ritorna infatti il tema della rovina che qui tuttavia simboleggia una sorta di “antico portale”, una soglia invisibile tra passato e presente che lascia intravedere persino un remoto spiraglio di futuro.
La poesia Efeso fu pubblicata per la prima volta nella raccolta Giornale di bordo del 1955, in italiano proposta nella traduzione di Filippo Maria Pontani.
Vediamone testo e analisi.
“Efeso” di Giorgos Seferis: testo
Parlava seduto su un marmo
simile a rovina d’antico portale:
sterminato e vuoto a destra il campo
a sinistra scendevano le ombre dal monte:“La poesia è ovunque. La tua voce
a volte incede al suo fianco
come il delfino che per poco ti accompagna
vascello d’oro nel sole
e poi scompare. La poesia è ovunque
come le ali del vento nel vento
che per un attimo hanno sfiorato le ali del gabbiano.
Uguale e diversa dalla nostra vita, come cambia
il volto di una donna che si è spogliata,
e tuttavia rimane uguale. Lo sa
chi ha amato: alla luce degli altri
il mondo implode; ma tu ricorda
Ade e Dioniso sono la stessa cosa”.Disse, e imboccò la grande strada
che mena al porto di un tempo, ora inghiottito
laggiù fra i giunchi. Il crepuscolo pareva
per la morte di un animale,
così nudo.
Ricordo ancora:
viaggiava sulle coste della Ionia, in vuote conchiglie di teatri
dove solo la lucertola striscia sull’arida pietra,
e io gli chiesi: “Un giorno torneranno a riempirsi?”
E mi rispose: “Forse, nell’ora della morte”.
E corse nell’orchestra urlando:
“Lasciatemi ascoltare mio fratello!”.
Ed era duro il silenzio attorno a noi
e non rigato nel vetro dell’azzurro.
“Efeso” di Giorgos Seferis: analisi e significato
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Eraclito era il filosofo preferito di Seferis proprio per “l’arcana suggestività dei suoi frammenti”. In questa lirica gli dà parola, scegliendolo come proprio interlocutore. “La poesia è ovunque”, così esordisce Eraclito, ricordandoci che la poesia è antica come il respiro dell’uomo e appartiene alla memoria dell’umano.
Il discorso del Pensatore oscuro è enigmatico come quello di una Sibilla. Cosa vuole dirci affermando che “Ade e Dioniso sono la stessa cosa”? Forse affermare un’unione arcana tra le due pulsioni primigenie e innate nell’uomo: eros e thanatos, amore e morte, rappresentate dalle due divinità. Nell’uomo si agita anche una tendenza autodistruttiva che lo conduce a invadere, uccidere, espropriare, avviando inutili e sanguinarie guerre.
L’oscura profezia del filosofo intende illuminarci sul cammino della vita. Efeso si configura al contempo come una meditazione sul senso della cultura, la “poesia è ovunque” ci dice l’eco della voce, che si contrappone alla tragica condizione esistenziale dell’uomo moderno, rappresentata dai “teatri vuoti”. L’esile domanda: “Un giorno torneranno a riempirsi?” non riceve una risposta promettente.
Efeso si conclude, come molte poesie di Seferis, con un appello etico e civile:
Lasciatemi ascoltare mio fratello!
In questo verso potremmo cogliere la sottile speranza di poter ancora insegnare agli uomini la pace. L’invocazione alla solidarietà e all’ascolto tra gli uomini si smarrisce in un “duro” silenzio. Quel crepuscolo dell’Occidente prefigurato da Seferis appare come una terribile profezia del futuro. Il concetto di Occidente ebbe nella Magna Grecia la propria culla, fu tra quei templi dorici inondati dal sole che si sviluppò il concetto di libertà, diritto, democrazia, mentre nell’agorà si fondava il dialogo attraverso l’idea concreta di “spazio pubblico”. Il “vascello d’oro”, citato dal poeta come metafora del sole, sembra fare riferimento alla “barca d’oro”, la più antica raffigurazione dell’Occidente.
Cos’hanno da dirci oggi quelle rovine? Sono forse un destino?
L’interrogativo di Giorgos Seferis rimane aperto, lasciandoci intravedere la soglia di un portale che ancora unisce passato, presente e futuro in un vincolo solenne e inestricabile, poiché davvero l’unica cosa che possiamo predire è il passato.
Quei giganti tributi alle divinità adagiati sotto il sole implacabile che mai li adombra - una luce perenne come l’eternità - ce lo ricordano. Non perde la sua attualità l’invito di Giorgos Seferis, ribadito durante il discorso del Nobel nel lontano 1963, ad ascoltare quella “voce umana che si chiama poesia”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Efeso” di Giorgos Seferis: la poesia come voce umana
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