Vinsero entrambe il Premio Strega a soli sei anni di distanza; furono rispettivamente la prima e la seconda donna a vincerlo. Stiamo parlando di Elsa Morante e Natalia Ginzburg. Morante trionfò al Ninfeo di Villa Giulia nel 1957 con L’isola di Arturo (Einaudi, 1957), mentre Ginzburg vinse nel 1963 con Lessico famigliare (Einaudi, 1963).
Due tra le più grandi scrittrici del nostro Novecento, autrici dei massimi capolavori della nostra narrativa, solo questo avrebbe dovuto accendere una competizione spietata o, se non altro, un sentimento di invidia; ma tra loro non c’era rivalità, erano invece unite da una profonda amicizia.
Anzi, c’è di più, senza l’appoggio di Natalia Ginzburg- all’epoca intuitiva editor di Einaudi - probabilmente non avremmo conosciuto il talento di Elsa Morante. Una scrittrice permetteva così a un’altra scrittrice di venire al mondo, di trovare la propria voce; in seguito la seconda avrebbe battuto la prima, tagliando con anticipo il traguardo del maggior premio letterario nazionale. È una bella storia di solidarietà al femminile sfociata in un inedito rapporto di sorellanza.
Innanzitutto, come in un tutte le storie letterarie, galeotto fu un libro e chi lo scrisse.... Quel libro era un romanzo stregato: Menzogna e sortilegio di Morante.
L’incontro tra Natalia Ginzburg e Elsa Morante
Nell’inverno del 1948 Natalia Ginzburg , “l’ultima donna rimasta sulla terra” come la definiva Italo Calvino, ricevette una lettera singolare che piombò come un piccione viaggiatore sulla sua scrivania in via Biancamano 2, negli uffici della casa editrice Einaudi. Il mittente della missiva era Elsa Morante, all’epoca moglie di Alberto Moravia.
Nel ’48, credo nell’inverno, mi arrivò una lettera di Elsa Morante. Mi diceva che aveva appena finito un romanzo e mi chiedeva se me lo poteva mandare. Io abitavo a Torino e lavoravo nella casa editrice Einaudi.
Natalia ricevette così per posta il dattiloscritto di Menzogna e sortilegio. Al principio lo osservò con stupore: erano pagine piene di correzioni, scritte furiosamente in inchiostro rosso. La curiosità non abbandonò Natalia Ginzburg quando si tuffò tra le pagine; quel romanzo aveva il potere di stregarla, non riusciva a staccarsene, a distogliere gli occhi da ciò che stava leggendo. I personaggi avevano nomi singolari scritti con le iniziali maiuscole: c’erano il Butterato, il Cugino. Natalia lesse il libro d’un fiato e, come scrive, “lo amò immensamente”. Ma forse non fu in grado di intuirne subito “l’importanza e la grandezza”.
Elsa Morante quel libro l’aveva scritto e riscritto con una passione febbrile, chiudendosi in una stanza solitaria (a Roma, in via Sgambati) come la sua protagonista, Elisa. In quella prima lettera destinata a Natalia, Morante aveva scritto:
…Riguardo a questo lungo romanzo, veramente, cara Natalia, mi è difficile parlarne. Quel che so, è che da più di due anni non vivo che di questo, e lo scriverlo m’ha procurato una felicità straordinaria. Di più non so dire, ma sono certa che, per quel che mi riguarda, non potrei fare di meglio.
Da questa prima missiva emerge una voce che appare titubante e sicura insieme, una commistione bizzarra come la menzogna e il sortilegio che davano il titolo al manoscritto. Elsa non dovette attendere molto perché la risposta di Natalia arrivò presto ed era indicibilmente consolatoria:
Lo trovo bellissimo, indicibilmente bello, straordinariamente ricco di significati per me. Ne sono ancora tutta presa, e non riesco a vedere che quei luoghi e quelle persone, non riesco a staccarmene del tutto… È un libro di una lacerante tristezza, ma di una grande serenità insieme.
In quelle parole Ginzburg sembrava cogliere tutta l’essenza di Morante, della sua persona oltre che della sua scrittura: una lacerante tristezza/una grande serenità insieme. Lei ed Elsa erano entrambe due anime malinconiche in fondo, ma non erano simili.
Grazie all’appoggio di Natalia, Menzogna e sortilegio venne dato alle stampe e divise l’opinione pubblica. Morante, nel 1948, appariva come una voce fuori dal coro: era un libro strano, il suo, che respingeva il lettore e al contempo lo affascinava. Aveva la dirompenza degli esordi e delle cose mai viste.
Elsa all’epoca aveva scritto soltanto storie per bambini e una raccolta di racconti dal titolo Il gioco segreto (1941), ora la sua voce si affacciava per la prima volta alla narrativa con un’opera di lungo respiro. Natalia, che dal canto suo aveva più opere all’attivo, sapeva bene di aver appena assistito alla nascita di una scrittrice.
Da quella prima corrispondenza nacque un’amicizia destinata a durare per quasi quarant’anni. Oggi fa riflettere pensare che tra tutti i grandi editor che vi erano da Einaudi in quel periodo - pensiamo a Pavese, a Calvino - Elsa Morante scelse di affidare il proprio manoscritto alle mani di una donna, chiedendole di averne cura, e quella donna era Natalia. “Non mi sono mai spiegata perché l’abbia mandato proprio a me”, dichiarò in seguito Ginzburg.
Già in quella prima lettera, in fondo, possiamo intuire un atto di affidamento sincero, una richiesta di fiducia.
Anni dopo Natalia Ginzburg avrebbe di nuovo dato prova che quella fiducia era stata ben riposta. Fu sempre lei, nel 1974, con una splendida recensione pubblicata sul Corriere della Sera a festeggiare un altro indimenticabile capolavoro di Morante: La Storia.
L’amicizia tra Natalia Ginzburg e Elsa Morante
Non potevano essere più diverse, provenivano da ambienti sociali completamente differenti (una famiglia borghese per Ginzburg; popolare per Morante); ma forse proprio in virtù di questa innegabile diversità si cementò il loro indissolubile legame.
Come ricorda in una testimonianza un poco spiritosa (e irriverente) l’amico comune Ugo Leonzio:
Elsa Morante pensava che Natalia fosse una “gran maschilista”. Mi disse proprio così, una volta: “Una maschilista tremenda!” I loro rapporti erano divertentissimi! C’era una cosa decisiva a separarle: a Natalia piaceva il sesso, a Elsa no.
Elsa era autoritaria, irruente, implacabile, solo di fronte a Natalia, che era placida, schiva, solitaria, si ammansiva. Ginzburg in seguito dichiarò di nutrire grande stima per Morante; di aver amato così tanto i suoi libri che “l’invidia spariva” eclissata da tanta ammirazione per colei che Ginzburg non esitò a definire “il più grande scrittore della nostra epoca”. Curiosa anche questa affinità tra loro: entrambe mal tolleravano la definizione di “scrittrice” al femminile, nella quale riconoscevano una sfumatura dispregiativa, preferivano essere chiamate “scrittori”.
Fu sempre Ginzburg a intervenire a favore di Elsa quando l’amica era gravemente malata. All’epoca Natalia era parlamentare e chiese al presidente Sandro Pertini di devolvere un contributo che potesse finanziare le costose cure cui Morante era costretta a sottoporsi.
La loro amicizia non fu sempre luminosa, negli ultimi anni si era un poco offuscata come ricorda la stessa Ginzburg in un’intervista:
Penso che negli ultimi tempi non mi sopportasse tanto, mi diceva che ero narcisista, cosa vera perché io credo di essere narcisista, come in fondo lo siamo tutti. Mi rimproverava di avere l’imperativo categorico di Kant, non sono mai riuscita a spiegarle che non era vero.
In quell’intervista Natalia Ginzburg diceva che non aveva mai conosciuto una persona di così tanta grandezza, come Elsa Morante; disse che era stata uno “dei beni della sua vita”. Ginzburg considerava Morante un “classico” già in vita:
Penso che sia un romanziere del tutto nuovo, che forse usava degli strumenti antichi.
In materia di letteratura Ginzburg ricorda che Morante aveva delle scelte “molto precise, molto violente”: ad esempio amava Anton Cechov, ma non poteva soffrire l’Ulisse di Joyce né tantomeno Borges.
Dopo la sua morte Elsa lasciò a Natalia ciò che aveva di più caro: i suoi adorati gatti siamesi, sapeva di affidarli alle mani giuste, che lei se ne sarebbe presa cura così come un tempo, non poi molto lontano, aveva avuto cura di quel manoscritto in cui batteva forte il cuore indomito di una scrittrice.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Amicizie geniali: Elsa Morante e Natalia Ginzburg
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Grazie. Un bellissimo articolo. Non conoscevo la storia di questa amicizia.