‘Gloria’ è la parola chiave della 14ma edizione del Festival della Filosofia 2014, che si annuncia di grande interesse ma anche di non facile approccio, soprattutto se a fare i conti sono i lati più appetibili e mutevoli dell’umana esistenza.
Da venerdì 12 a domenica 14 settembre 2014 quasi 200 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti, letture, spettacoli, giochi per bambini e cene filosofiche, organizzate da un comitato scientifico prestigioso, presieduto da Remo Bodei, in decine di spazi diversi nelle città emiliane di Modena, Carpi e Sassuolo, unite nel Consorzio Festivalfilosofia insieme alla provincia di Modena, alle fondazioni Collegio San Carlo e Cassa di Risparmio di Modena, affronteranno con particolare cura e autorevolezza le tonalità culturali e spazio-temporali che il tema della ‘gloria’ ha assunto dall’antichità ad oggi, senza escludere i concetti di onore, celebrità o visibilità, così come il delicato tema pedagogico dei modelli.
Scrive Bono Giamboni, da molti ritenuto il probabile volgarizzatore del Tresor di Ser Brunetto Latini:
Gloria è nominanza, che corre per molte terre, d’alcuna persona di grande affare, e di sapere ben sua arte.
In pieno Duecento quella di Giamboni è una ‘matura’ definizione della ‘gloria’, immagine, esperienza e condizione dell’uomo che rinvia anche al topos di Ercole al bivio, della scelta esistenziale tra le due strade (del bene e del male, della virtù e del vizio), di fronte alle quali il sentiero della virtù, percorso senza fatica, lo introduce non solo al culmine della gloria terrena ma lo divinizza. Ercole, lavoratore per eccellenza, che con le sue gloriose fatiche fonda la civiltà, è un’immagine paradigmatica perché tutti noi, come lui, siamo allettati dalla visione di un facile ed eterno godimento dei frutti delle fatiche senza escludere nulla che non possa restituirci un profitto.
Dall’antichità fino ai tempi moderni, il tema della gloria rappresenta la sintesi di praxis ed ethos nella complessità – che non è solo interpretativa e linguistica (non c’è infatti in italiano un’espressione equivalente che renda completamente il senso che la parola doxa, la gloria, ha in greco antico) – delle sfumature culturali o negli intrecci delle sensazioni, delle idee e dei valori apparenti, mutevoli e contrastanti degli uomini. Ecco, dunque, come la ‘gloria’, particolarmente seguita negli indirizzi moraleggianti ed etici della cultura umanistica, finisce per essere raccontata nell’opinione, nella notizia, nella credenza, rivelata nell’attesa, nella speranza, scoperta nella supposizione, nella dottrina, nella congettura, sublimata nella apparenza, nella fama, nella celebrità e nell’onore.
Aristotele all’inizio del primo libro della Metafisica (980a) sottolinea che tutti gli uomini tendono per natura al sapere e a distinguersi – diremmo oggi – per competenze. Attualizzando potremmo precisare che ognuno desidera sapere che di sé tutti sanno: fare cioè un po’ i conti più con l’audience che riscuotiamo che con quello che crea contenuti e li condivide. Viviamo nell’epoca degli applausi e nella dipendenza alquanto tossica dei “mi piace”, ossessioni comode eppure malsicure e degradate per il loro immediato soddisfacimento. Una volta queste erano ambizioni impegnative, oggi hanno una resa inadeguata e insufficiente, perché la spettacolarità della vita, che ha come sua essenza la visibilità e la messa in luce di sé, non poche volte più che impressionare o impressionarci finisce per spaventare o spaventarci, per chiudere o chiuderci.
Oggi basta andare sui media, come che sia se non proprio in un programma Tv, almeno in Rete e ci si rende immediatamente conto di come la costruzione di modelli gloriosi ed esemplari di vita sia manifesta in una serie di figure che rappresentano a vario titolo il lessico della gloria. I social network, solo per citare un fatto sotto gli occhi di tutti, sono divenuti, non solo per i giovani, il pane quotidiano. La questione è, però, che tutti scambiano questi per uno scampolo di gloria, sempre che non ci si abbandoni alla chiacchiera e alla maldicenza: di qui la caduta nella spirale terribile del desiderio, della blanda conoscenza e del vedere e del vedersi a tutti i costi. Oggi è difficile rinunciare alle ambizioni, ma vederci negato il riconoscimento sociale sotto le luci del consenso mediatico spesso porta a conseguenze inimmaginabili. La gloria è un tentativo di lasciare una traccia, un’impronta riconoscibile, non solo nei monumenti materiali, ma anche nella rappresentazione immateriale di sé tipica dei social media. Una sollecitazione in più per fare un po’ come Ercole: solo che di fronte al bivio noi scegliamo sempre di sterzare per la via dell’errore e mai verso quella della salvezza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Festival della Filosofia 2014: le vie della «gloria» in un Festival
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