

Hans Georg Gadamer negli anni 2000, © Leena Ruuskanen; CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
L’11 febbraio 1900 nasceva il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, tra i principali esponenti dell’ermeneutica filosofica.
Con la sua lunga vita Gadamer ha attraversato tutto il Novecento: allievo di grandi filosofi come Natorp e Heidegger è stato uno dei principali esponenti della filosofia continentale e, oltre a numerosi contributi sul pensiero antico, ha elaborato un proprio, originale, pensiero.
Alcune delle opere di Gadamer sono ancora oggi particolarmente rilevanti perché è considerato il padre dell’Ermeneutica contemporanea, una disciplina dalla storia antica, se trova traccia già in Platone, ritorna nel Medioevo e nella Riforma, quando si consumano numerose controversie teologiche sul significato dei testi sacri.
L’ermeneutica, che si occupa dell’interpretazione dei testi (sacri, letterari o giuridici) e delle relative metodologie, inizia però a cambiare il suo statuto nel Romanticismo, con Schleiermacher che la fa diventare una disciplina filosofica e, poi, alla fine dell’Ottocento con Dilthey, che pone la comprensione o, meglio, il comprendere, alla base di tutte le Scienze dello Spirito, ovvero delle scienze che studiano il mondo storico e l’individuo nei suoi rapporti sociali.
Il pensiero di Gadamer riprende e sviluppa la lezione heideggeriana, secondo la quale il comprendere, l’interpretare, non è tanto uno strumento quanto, piuttosto, una struttura costitutiva dell’essere umano, la dimensione in cui l’uomo, per la sua stessa natura, fa esperienza del mondo.
A 125 anni dalla nascita di Hans Georg Gadamer riscopriamo insieme vita, opere e il pensiero filosofico.
La vita e le opere di Hans Georg Gadamer


Link affiliato
Hans Georg Gadamer (Marburgo, 11 febbraio 1900 – Heidelberg, 13 marzo 2002) studiò nell’università di Marburgo dove si laureò con Paul Natorp nel 1922, con una tesi sul tema del piacere nei dialoghi platonici. Nella stessa università, dopo essersi dedicato per alcuni anni alla filologia classica, ottenne la libera docenza, nel 1929, sotto la guida di Martin Heidegger.
Dieci anni più tardi divenne professore ordinario e, dopo la fine della guerra, insegnò filosofia nelle università di Lipsia (di cui fu anche rettore), Francoforte e Heidelberg.
Socio di molte Accademie, tra cui anche quella dei Lincei in Italia, dopo il pensionamento si dedicò a un’intensa attività di divulgazione della sua filosofia e tenne conferenze in molti paesi dell’Europa e del resto del mondo. Assiduo frequentatore dell’Italia, con i suoi interventi riusciva a gremire le sale dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici, dove era accolto da un folto pubblico di studenti e studiosi, per questo a Napoli gli venne conferita la cittadinanza onoraria.
Tra le pubblicazioni più rappresentative ricordiamo:
- l’Etica dialettica di Platone (1931);
- Verità e metodo (1960), che è sicuramente l’opera di maggiore spessore e risonanza;
- Il problema della coscienza storica (1963);
- La dialettica di Hegel (1971);
- L’attualità del bello (1977).
L’ermeneutica di Hans Georg Gadamer
Come già anticipato Gadamer riprende da Heidegger l’intento di fare dell’ermeneutica (dal greco ἑρμηνεύω: interpretare, tradurre, annunciare) una teoria filosofica generale, stante il presupposto che l’esistenza umana (il Dasein nel suo essere-nel-mondo, nel linguaggio heideggeriano) è sempre accompagnata da una comprensione o, meglio, pre-comprensione del mondo e l’interpretazione è lo sviluppo interno della comprensione, ossia l’attività mediante la quale l’uomo, comprendendo, si appropria anche di ciò che ha compreso.
Gadamer vuole, allora, non tanto indicare un metodo interpretativo, delle regole o leggi che ci permettano di cogliere la verità di un qualsiasi oggetto con cui ci confrontiamo (sia esso un evento storico, un testo, una legge, un’opera d’arte), ma, kantianamente, chiarire le condizioni di possibilità di ogni comprensione, come la comprensione stessa che, per lui, è sempre anche interpretazione, sia
“Il modo di essere dell’esistenza come tale”
Più semplicemente potremmo dire che in quanto siamo uomini comprendiamo, per questo l’ermeneutica smette di essere una disciplina settoriale e specialistica ed assume una portata universale. Nel comprendere, poi, si realizza un’esperienza di verità che è del tutto differente dall’impresa scientifica, che vorrebbe garantire una conoscenza obiettiva e neutrale del mondo, per questo Gadamer, nelle sue analisi, si concentra su quelle che definisce esperienze “extra-metodiche” di verità ovvero sulla filosofia, la storia e l’arte che programmaticamente si pongono oltre l’ambito conoscitivo della scienza.
Gadamer, in netta continuità con Heidegger che aveva introdotto la nozione di circolo ermeneutico, nota che la mente dell’interprete, ogni qual volta approccia un oggetto da interpretare, è già affollata da presupposizioni e pregiudizi, ossia da attese, da schemi di senso, che orientano la comprensione stessa e che rendono l’oggetto che si deve comprendere in parte già compreso.
Questa circolarità non va considerata negativamente: si tratta, infatti, dell’unica modalità possibile di comprendere, che reca in sé anche degli aspetti positivi: di tali pregiudizi bisogna prendere coscienza e bisogna, poi, metterli alla prova, confrontandosi a più riprese con l’oggetto o testo da interpretare, con un atteggiamento di apertura all’alterità del testo (o oggetto da interpretare).
In altri termini Gadamer prende atto del fatto che l’uomo non è un interprete chiuso in sé stesso, non è un’entità creatrice che dà senso al mondo e ai suoi oggetti: la razionalità umana è sempre inserita in un orizzonte storico determinato ed è sempre accompagnata da una specifica memoria culturale, da una mentalità, per questo
“Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò […] deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo. Tale sensibilità non presuppone né un’obiettiva neutralità né un oblio di sé stessi ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei propri pregiudizi”.
Da tale assunto derivano delle importanti conseguenze:
- Diversamente da Bacone Gadamer valorizza i pregiudizi che, lungi dall’essere necessariamente falsi, possono essere anche veri e legittimi, soprattutto essi sono parte integrante di noi, in quanto esseri storici e sociali: ancor prima di comprendere noi stessi attraverso una riflessione, infatti, diamo senso a noi stessi mediante schemi (pregiudizi, appunto) che sono introiettati in noi dalla famiglia, dalla società e dallo stato;
- Gadamer rivaluta anche l’autorità (diversa dall’autoritarismo), considerata come il riconoscimento, libero e fondato razionalmente, della preminenza di un giudizio;
- Lo stesso vale per la tradizione che ha valenza positiva, a patto che sia accettata liberamente e con cognizione di causa, perché pertiene alla natura storica dell’uomo.
Gadamer e la storia


Link affiliato
Riguardo alla comprensione storica, alla ricerca della verità storica, Gadamer nota come l’interprete e l’oggetto da interpretare siano separati da una distanza temporale che, però, non è incolmabile: essi appartengono, comunque, ad uno stesso processo storico e proprio la tradizione può fungere da punto di contatto, da ponte tra di essi.
A tal proposito Gadamer parla di storia degli effetti: se, ad esempio, vogliamo comprendere la verità sulla Rivoluzione Francese o sulla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, ci troveremo di fronte a tutta una serie di interpretazioni già date, a degli effetti già prodotti che agiscono in modo inconsapevole e non controllato. Ciò dipende dal fatto che noi stessi siamo esseri storici e che, quindi, non possiamo mai studiare la storia asetticamente, né pervenire ad un punto di vista neutrale.
Dobbiamo piuttosto perseguire una fusione degli orizzonti che giunga alla comprensione del tempo altrui mediante il nostro tempo, e che è resa possibile dalla tradizione storica, ossia dal nesso che si dà tra passato e presente.
Come già aveva affermato Hegel, tra presente e passato deve stabilirsi un dialogo, una dialettica di domande e risposte, che si configura come un processo potenzialmente infinito e che dà luogo a un sapere che non è mai definitivo ma che è, di per sé, parziale e aperto a revisioni e rivisitazioni.
La teoria dell’arte di Gadamer


Link affiliato
Secondo il filosofo quando ci troviamo di fronte a un’opera d’arte compiamo un processo di astrazione che egli denomina differenziazione estetica: la separiamo dal suo contesto vitale per attribuirle un puro valore estetico. Pensiamo alla visita in un museo: qui le opere sono strappate dal contesto in cui sono nate, dal loro mondo originario, per diventare l’oggetto di una coscienza estetica tutta fuori dal tempo.
Gadamer critica questo approccio all’arte, che la priva di qualsiasi valore di verità: essa è, invece, un’esperienza del mondo e nel mondo, che modifica profondamente chi la fa perché l’incontro con l’opera d’arte conduce sempre il fruitore a una più approfondita conoscenza di sé e della realtà circostante. Il fenomeno estetico, non è un mero fatto ma un evento che getta una luce inedita sulla realtà e sul suo senso profondo.
Secondo Gadamer anche l’arte va intesa in modo nuovo: egli la assimila al gioco e afferma che, come il gioco, l’arte vive nelle sue molteplici realizzazioni e interpretazioni, ma gode anche di un’esistenza autonoma e, quindi, di una preminenza rispetto agli artisti e ai fruitori delle opere d’arte. Quando Gadamer afferma che siamo giocati dall’arte intende dire che la realtà dell’arte, il valore di verità che l’arte reca con sé, trascende la soggettività degli individui coinvolti nel fenomeno estetico, artisti, esecutori o fruitori che siano.
L’esperienza artistica, poi, non può che confluire nell’ermeneutica perché comporta un’attività interpretativa, implica il problema dell’incontro tra il mondo originario dell’opera d’arte stessa e il mondo di chi fruisce l’opera.
Quando esperiamo il bello, in altri termini, compiamo un’esperienza che ha la stessa configurazione dell’esperienza ermeneutica. Anche qui non possiamo giungere alla verità con un protocollo scientifico; in questi casi, piuttosto, la verità della cosa si auto-presenta al soggetto, Gadamer, infatti, afferma che:
“Le cose belle sono quelle il cui valore rifulge di per sé”
Nell’esperienza del bello è l’opera stessa che agisce sul soggetto; è l’individuo che appartiene all’opera, o alla storia, o al linguaggio, dal momento che sono tutti eventi nei quali è coinvolto, e non oggetti di cui dispone.
Lo stesso vale per la nozione di gioco dove l’essere umano non è il soggetto che gioca ma il tramite per il quale avviene il gioco. Come già aveva affermato Heidegger la verità non è qualcosa che si afferra e si conquista ma una condizione (ontologicamente rilevante) dove apparteniamo a un essere che ci possiede e ci supera.
Anche il mondo per Gadamer è un gioco infinito dove l’essere, mediante il linguaggio, si auto-rappresenta e si auto-manifesta. Di questo essere e di questa verità, quindi, non si dà mai un possesso definitivo: la verità affiora nel linguaggio, e ci si approssima ad essa attraverso il dialogo; l’interpretazione, per la sua natura circolare, è un processo infinito e un compito che non trova mai completa realizzazione.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Hans Georg Gadamer: vita, opere e pensiero del padre dell’Ermeneutica
Lascia il tuo commento