

Il 10 febbraio 1755, moriva a Parigi lo storico, filosofo e pensatore francese Montesquieu. Mente poliedrica nella quale convissero vasti interessi per la morale, il diritto e la storia, Montesquieu fu uno dei primi illuministi: rielaborò in modo originale la lezione di John Locke, ma si impegnò in prima persona anche nella vita politica.
Nella filosofia politica di Montesquieu ritroviamo la tematizzazione più compiuta della divisione dei poteri, uno dei capisaldi giuridici sul quale si fondano, oggi, tutte le moderne democrazie liberali.
Montesquieu fu anche un grande viaggiatore: traspare nelle sue opere il suo spirito cosmopolita e un genuino interesse per culture molto lontane da quella europea, tratti, questi, che lo rendono un anticipatore del relativismo culturale.
A 270 anni dalla morte, riscopriamo vita, opere e pensiero del filosofo francese, che teorizzò la divisione dei poteri.
La vita e le opere di Montesquieu
Charles Louis de Secondat, barone di Montesquieu (18 gennaio 1689 – 10 febbraio 1755), nacque e visse per gran parte della sua vita nei pressi di Bordeaux. Appartenente alla nobiltà di toga, dopo gli studi giuridici che compì anche a Parigi, divenne consigliere e poi presidente del Parlamento di Bordeaux (i parlamenti in Francia, all’inizio del Settecento, amministravano la bassa giustizia e giudicavano reati di minore entità).
Dopo aver pubblicato le Lettere persiane (1721) e aver venduto la sua carica, Montesquieu viaggiò molto in Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Germania, Olanda e soggiornò per più di un anno in Inghilterra, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza del sistema politico inglese.
Al suo ritorno in Francia si stabilì nel castello di La Brède dove lavorò alle sue opere fino alla fine dei suoi giorni, continuando a frequentare Parigi in modo assiduo: in questo periodo pubblicò le Considerazioni sulla grandezza dei romani e la loro decadenza (1733) e Lo spirito delle leggi (1748) che è senz’altro il suo capolavoro.
Le Lettere persiane e il cosmopolitismo di Montesquieu


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Animato da un profondo interesse per le scienze naturali, Montesquieu, con chiaro spirito illuminista, è convinto che il loro metodo possa e debba essere esteso anche agli eventi storici e ai fenomeni sociali, e nello studio di una società non si limita a indagare le vicende politiche ma osserva attentamente anche gli usi e i costumi di essa.
Ciò è evidente nelle Lettere persiane , un romanzo epistolare che vede protagonisti Usbek e Rica, due giovani persiani che nel loro grand tour dell’Europa mettono alla berlina tutte le istituzioni del vecchio continente. Attraverso la finzione letteraria e lo sguardo inedito dello straniero, Montesquieu si concede campo libero nella critica dell’ancien regime: rende ridicolo il clero e mostra la vacuità delle dispute dottrinali e teologiche, mette in luce i vizi delle classi dominanti ed evidenzia la corruzione della corte con i suoi assurdi cerimoniali. Oltre a denunciare un dispotismo che di illuminato aveva ben poco (l’opera è ambientata al tempo del re Sole), lo sguardo acuto di Montesquieu si estende ai problemi demografici, alla condizione delle donne, all’inefficienza dell’economia e all’arretratezza del diritto penale.
Le Lettere persiane sono, insomma, un piccolo gioiello letterario che esalta il relativismo culturale: se agli occhi degli europei l’Asia era tanto affascinante, con le sue cineserie, quanto incomprensibile, il vecchio continente lo è ancora di più per i due protagonisti, che si burlano amabilmente di questo strambo mondo.
Lo Spirito delle leggi di Montesquieu e la divisione dei poteri


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Grazie allo studio delle cause della grandezza e della decadenza dell’impero romano, Montesquieu matura la convinzione che ogni società sia caratterizzata da leggi, da non intendere qui né come principi razionali né come leggi giuridiche ma come rapporti costanti tra fenomeni storici, che possono ripresentarsi e che determinano il successo ma anche la decadenza di ogni società.
Con spirito delle leggi, invece, Montesquieu intende i rapporti che caratterizzano un insieme di leggi giuridiche e storiche, dal momento che sono molti i fattori che governano gli uomini: non solo le leggi, appunto, ma anche il clima, le religioni, gli indirizzi di governo, gli esempi derivanti dalla storia passata, gli usi e i costumi. Da tutti questi fattori deriva uno spirito generale dove ciascun elemento è in un preciso rapporto con gli altri: ciò spiega, ad esempio, perché ciascun popolo abbia leggi giuridiche diverse, esse dipendono e sono influenzate dal clima, dalla geografia del paese, dagli usi e dai costumi della popolazione, come anche dal tipo di economia che viene praticata.
Montesquieu raccoglie ne Lo spirito delle leggi una vasta quantità di osservazioni, desunte con ogni probabilità dai suoi studi e dai suoi viaggi, su molti paesi e sulle loro istituzioni sociali, politiche e culturali. Sceglie però, anche, di ordinare queste osservazioni con precisi principi, che in quelle stesse osservazioni empiriche trovano conferma. Per quanto le società possano essere diverse è possibile, quindi, distinguere tre forme di governo principali:
- La repubblica, dove il potere è ripartito tra più persone: più specificamente abbiamo una repubblica democratica quando il potere è diviso tra tutti i cittadini (tutti votano) e una repubblica aristocratica quando il potere spetta solo ad alcuni cittadini;
- La monarchia, in questo caso il potere è esercitato da una sola persona, ossia dal monarca che però lo esercita secondo precise regole e quindi è titolare di un potere limitato
- Il dispotismo, dove il potere è esercitato da una sola persona che però lo esercita in modo arbitrario e quindi non è soggetto ad alcuna legge o ad alcun limite (qui Montesquieu ha in mente l’Impero Ottomano);
A queste tre forme costituzionali corrisponde, secondo il nostro filosofo, un principio di natura morale:
- La repubblica si fonda, infatti, sulla virtù politica, ossia sull’interesse per la politica che deve essere praticato da molti e che Montesquieu associa all’amor di patria e all’uguaglianza;
- La monarchia si basa, invece, sull’onore, ossia sul senso di appartenenza a una precisa classe sociale e sulla divisione in classi sociali;
- Il dispotismo, infine, trova la sua origine nel timore che i sudditi nutrono per il tiranno.
Quando questi principi morali si realizzano effettivamente in uno stato, allora questo prospera e le sue istituzioni mostrano una chiara stabilità. All’atto pratico, però, non tutte le repubbliche sono contraddistinte dalla virtù politica, così come non tutte le monarchie sono contrassegnate dal senso dell’onore: in questi casi ci troviamo di fronte a stati che manifestano una crisi e che sono vicini alla decadenza. È così che si spiega anche il declino dell’impero romano.
Degno di nota è anche il concetto di libertà, un valore fondamentale in uno stato, che non può essere garantito in alcun modo dal dispotismo. Per assicurare ai cittadini la libertà, che Montesquieu intende come la possibilità di non essere soggetti a un potere privo di limiti, è necessario che chi regge lo stato (sia esso uno o molti), goda, quindi, di un potere limitato e ciò è possibile solo se si realizza una separazione o divisione dei poteri.
Per Montesquieu, in definitiva,
“occorre che […] il potere freni il potere”.
Ciò è possibile, come già aveva affermato Locke, solo affidando a soggetti diversi il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Se ciò avviene il titolare di ciascun potere controllerà e limiterà chi esercita gli altri poteri: la divisione dei poteri, oltre a garantire la libertà, evita il rischio del dispotismo che concentra tutti i poteri nelle mani della stessa persona.
Nonostante la modernità della dottrina della divisione dei poteri, Montesquieu non è il padre della democrazia per come la intendiamo noi oggi: tra le righe della sua filosofia emerge, infatti, una preferenza per la repubblica aristocratica, dove il diritto di voto è limitato in base al censo, una società, quindi, dove votano solo i più abbienti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Montesquieu: vita, opere e pensiero del filosofo illuminista
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