

Karl Jaspers, © On Being / CC BY-NC-SA 2.0, via Flickr
Nella giornata di oggi, 23 febbraio, nasceva il filosofo Karl Jaspers. Nelle sue opere ritroviamo una prima, originale tematizzazione dell’esistenzialismo novecentesco: da sempre in dialogo con Heidegger e Husserl, Karl Jaspers evidenziò i limiti del pensiero scientifico, rielaborò fondamentali nuclei della speculazione di Kierkegaard e pose al centro della sua riflessione la concreta esistenza dell’uomo nel mondo.
La filosofia fu però un punto d’approdo piuttosto che un principio, nel pensiero di Karl Jaspers: egli prese le mosse dalla psichiatria e dalla psicopatologia, apprese da queste discipline la chiarezza dello stile e segnò in esse degli avanzamenti decisivi.
Attivo soprattutto nella prima metà del Novecento, Karl Jaspers nella sua vita fu acuto testimone dei grandi eventi della storia mondiale di fronte ai quali assunse posizioni inequivocabili: condannò il Nazismo senza sfuggirgli e, dopo, offrì pregnanti osservazioni sulla questione della colpa del popolo tedesco.
A 142 anni dalla sua nascita riscopriamo, allora, la vita, le opere e il pensiero di Karl Jaspers.
La vita e le opere di Karl Jaspers
Nato nella Bassa Sassonia, Karl Theodor Jaspers (Oldenburg, 23 febbraio 1883 – Basilea, 26 febbraio 1969) fu indirizzato dal padre agli studi di Giurisprudenza che abbandonò presto, per dedicarsi alla Medicina, disciplina nella quale si laureò, specializzandosi, poi, in psicologia e psichiatria.
Dopo le prime esperienze cliniche nell’ospedale psichiatrico di Heidelberg Jaspers insegnò prima psicologia, poi, dal 1920, filosofia. L’avvento del Nazismo, oltre alla rottura dell’amicizia con Heidegger, comportò varie limitazioni, e poi l’interruzione della sua attività accademica, nel 1937: il filosofo aveva, infatti, rifiutato di lasciare la moglie, di origini ebraiche e molto amata. Deciso a non abbandonare l’altrettanto amata città di Heidelberg, Jaspers durante la guerra visse come un fantasma, pur scegliendo di non allontanarsi mai dalla Germania.
Alla fine del conflitto fu chiamato a decidere, insieme ad altre eminenti personalità, del destino accademico di Heidegger: Jaspers rilevò che il filosofo era stato genuinamente nazista, ma aggiunse anche che non si poteva impedirgli di insegnare, essendo Heidegger una delle menti più lucide e brillanti del panorama tedesco. Sempre in questi anni rifiutò la carica di Presidente della Repubblica, che gli era stata offerta, riprese l’insegnamento universitario a Basilea e, prima di morire, divenne cittadino svizzero.
Tra le principali opere di Karl Jaspers ricordiamo:
- Psicopatologia generale (1913);
- Psicologia delle visioni del mondo (1919);
- Filosofia (si tratta del testo più fondamentale di Jaspers, pubblicato nel 1932, e diviso in tre volumi: Orientamento filosofico nel mondo, Chiarificazione dell’esistenza, Metafisica).
Il contributo di Karl Jaspers alla psichiatria
Attento all’insegnamento della fenomenologia Jaspers concorda con Husserl sul fatto che la psicologia non possa essere assimilata alle scienze naturali perché pone al centro della sua indagine l’uomo nella sua individualità. Allo stesso modo la psichiatria non potrà essere una disciplina che spiega ma che comprende: di fronte a un delirio, a una nevrosi, a una qualsiasi patologia (sempre soggettiva e singolare e mai classificabile con un’etichetta, come di solito avviene) essa deve cercare di individuarne il nucleo, ossia il nodo che decide tutte le manifestazioni psichiche di una persona. Una volta individuato tale nucleo tutte le manifestazioni psichiche (siano esse patologiche ma anche fisiologiche) potranno essere spiegate con precisione scientifica. La chiave per realizzare questa comprensione è l’empatia, che consente di catturare la soggettività di una persona, e non una teoria predefinita che, poi, va confermata empiricamente.
La filosofia di Karl Jaspers
L’orientamento nel mondo e la considerazione esistenziale
Come Heidegger Jaspers crede che la ricerca filosofica debba indagare e chiarire l’essere (il senso complessivo della realtà e dell’esistenza) e per fare ciò occorre partire dall’Esser-ci ovvero dall’uomo nella sua concreta esistenza nel mondo, dall’uomo non astrattamente inteso ma calato nel mondo e in relazione ad esso, l’uomo come elemento del mondo, accanto a moltissimi altri elementi o cose del mondo. L’uomo si orienta nel mondo, istituisce rapporti con le cose del mondo, cerca di comprendere il senso della realtà a partire dalle cose del mondo.
In questo tentativo l’uomo può assumere un atteggiamento oggettivante e guardare alle cose del mondo con lo sguardo tipico delle scienze naturali, che individuano leggi di natura, oggettive e valide per tutti.
Nonostante questo, nota Jaspers, le scienze pur studiando le-cose-nel-mondo non riescono mai a restituire una conoscenza-del-mondo, perché raggiungono la conoscenza di una realtà di un fenomeno determinato (ad esempio i gas, le cellule, l’elettromagnetismo) ma non riescono mai cogliere il mondo stesso, ovvero l’essere stesso, il senso complessivo del mondo.
Ora, le scienze, nel cammino percorso dall’umanità, hanno progressivamente ampliato le loro conoscenze, in questo modo, però, hanno costruito un cosmo, ovvero una visione che muove sempre da un particolare punto di vista. Ciò non restituisce il senso complessivo del mondo, dal momento che questo rimane sempre sullo sfondo, più le nostre conoscenze si allargano più conosco le cose del mondo in un orizzonte che, però, anziché farsi più vicino, rimane un orizzonte posto sullo sfondo della nostra conoscenza e, via via, si allontana. Per comprendere meglio potremmo pensare al senso della vita, alla finalità dell’universo, al perché sia nato l’universo: per quanto le nostre conoscenze scientifiche si allarghino, la risposta a queste domande ultime sembra allontanarsi sempre, o comunque sfuggirci.
Questo orizzonte ha, dunque, un carattere trascendente, Jaspers lo definisce orizzonte conglobante e proprio il fatto che esso rimanga irraggiungibile pone l’uomo sotto scacco: per quanti sforzi l’uomo faccia nell’estensione delle sue conoscenze, il mondo come unità e totalità assoluta gli rimane sempre precluso, è una casella irraggiungibile, è una mossa inattuabile.
Se ciò è vero, l’uomo, almeno in questa condizione, non può mai cogliere l’essere, non può mai afferrare il senso ultimo della vita e dell’esistenza, per questo, per uscire da questa impasse deve abbandonare la considerazione oggettivante e volgersi a una considerazione esistenziale. In altri termini, invece di studiare sé stesso e le cose come oggetti, deve considerarsi come orientamento nel mondo; originariamente l’uomo coglie sé stesso, si intuisce, come situazione nel mondo, è un insieme di relazioni, è il modo, specifico e peculiare, di relazionarsi col mondo.
In prima battuta, come già aveva notato Kierkegaard, se l’uomo è una situazione nel mondo, un insieme di relazioni col mondo, l’uomo pare essere frutto delle proprie scelte, e la scelta è considerata da Jaspers come ciò che consente una particolare situazione nel mondo. Tuttavia, nota anche Jaspers,
“Io non posso farmi da capo e scegliere tra l’essere me stesso e il non essere me stesso, come se la libertà fosse davanti a me solo come uno strumento”.
Ogni scelta, in altri termini, è frutto di un percorso storicamente determinato: ciascuno di noi è figlio di uno specifico vissuto, di un certo popolo, di alcune tradizioni, di una famiglia; ognuno di noi è determinato da questi fattori e ciò che io sono, la mia identità, piuttosto che la risultante di una scelta, è il frutto del riconoscimento e dell’accettazione di una situazione particolare e dell’unica possibilità che essa configura. Ovviamente possiamo anche non accettare la nostra situazione nel mondo, ma questo significherebbe tradire sé stessi e, quindi, vivere inautenticamente.
Le cifre dell’essere e il naufragio dell’esistenza
Se l’essere, come già detto, sfugge all’uomo, perché sempre trascendente, e quindi inafferrabile, esso non è una possibilità dell’esistenza umana; in altri termini l’essere non si rivela all’esistenza (il senso ultimo della realtà e dell’esistenza non si rivela chiaramente all’uomo) e, quindi, si configura come una impossibilità radicale, in quanto tale è, poi, anche una necessità assoluta e radicale (dal momento che quel che è impossibile è anche necessario).
Nonostante questo, la trascendenza dell’essere può essere sperimentata nell’esistenza umana, ci si presenta e ci interroga, grazie a quelle che Karl Jaspers chiama le cifre dell’essere: dei simboli che possono essere interpretati a partire da ciò che noi stessi siamo, ovvero dall’esistenza umana.
Per comprendere meglio possiamo ricorrere alla celebre immagine jaspersiana del naufragio dell’esistenza, metafora della condizione umana alla quale l’essere è precluso, qui si fa avanti una luce, ovvero una cifra, un segnale che, se adeguatamente decifrato, permette di cogliere un collegamento con l’essere; la comprensione di quest’ultimo rimane impossibile ma afferriamo il rimando, la relazione con esso.
Sono, poi, soprattutto quelle che Jaspers chiama situazioni-limite a rivelare che l’essere è totalmente altro e oltre di noi (la sua trascendenza): la morte, il dolore, la colpa, sono contingenze che si pongono di fronte all’uomo come un muro, nella loro immutabilità, rimangono esperienze definitive e incomprensibili. In questi frangenti l’uomo sperimenta il non-poter-non (non poter non soffrire, non poter non morire, ecc.) e, per questo, si scontra con la necessità dell’essere.
Ancora una volta, queste circostanze mettono a nudo l’impossibilità come dimensione costitutiva dell’esistenza umana: è impossibile evitare il dolore e la colpa, è impossibile scampare alla morte alla quale siamo destinati. Tutto questo rivela ancora una volta lo scacco al quale l’uomo è condannato quando cerca di superare, o anche di dare senso a queste situazioni-limite, dove peraltro la sua libertà viene meno.
Ancora una volta l’uomo, secondo Jaspers, sperimenta qui il naufragio dell’esistenza: si trova sperso, disorientato e oltre a non riuscire a comprendere l’essere nel suo autentico significato, non può evitare tali situazioni e si rende conto di non poter assumere la libertà individuale come proprio fondamento, dal momento che neanche essa gli consente di cogliere compiutamente l’essere.
L’atteggiamento che Jaspers propone, allora, è ancora una volta l’accettazione e il silenzio: l’uomo, di fronte alla necessità assoluta e radicale dell’essere, ovvero alla sua certezza, trova così una pace duratura e può aprirsi alla trascendenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Karl Jaspers: vita e pensiero del filosofo esistenzialista
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