Il 15 gennaio 1873 nasceva a Vienna il filosofo austriaco Max Adler.
Oltre che filosofo, Max Adler nel corso della sua vita fu sociologo e uomo politico, impegnato a elaborare un pensiero che lo rese l’esponente principale dell’Austromarxismo, una delle prime correnti teoriche che operò una revisione della filosofia di Marx e cercò di accordare le tesi del filosofo di Treviri con elementi dell’etica kantiana.
Max Adler visse tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento: assistette alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, al primo conflitto mondiale e fu, poi, testimone della nascita di una repubblica democratica dove la capitale brillò non solo per la sua effervescenza culturale, per le personalità controverse e geniali che la abitavano, ma anche per quel governo socialdemocratico che, fino al 1934, la distinse nettamente, da un contado conservatore e arretrato e le valse l’appellativo di Vienna Rossa.
Personalità eclettica e idealista, simpatizzante verso le tendenze rivoluzionarie e sensibile ai problemi del proletariato, Max Adler, spesso dileggiato all’interno del Partito Socialdemocratico dei lavoratori (Sozialdemokratische Arbeiterpartei, SDAP) per la sua retorica prolissa, fu sempre riconosciuto per la sua autorevolezza nelle questioni teoriche e filosofiche, nelle quali mostrò una profonda competenza.
In occasione dell’anniversario della nascita, ripercorriamo vita, opere e pensiero di Max Adler.
La vita e le opere di Max Adler
Proveniente da una famiglia della media borghesia ebraica, Max Adler (15 gennaio 1873 - 28 giugno 1937) visse per tutta la sua vita a Vienna dove compì studi di Giurisprudenza e intraprese, con scarso entusiasmo, la professione di avvocato, attività che comunque proseguì anche dopo esser diventato libero docente all’università.
Le testimonianze dei contemporanei concordano sul fatto che Adler condusse una vita estremamente appartata e pacifica, dove l’attività politica era intervallata solo dallo studio e dall’insegnamento. Nonostante i grandi eventi storici che toccarono Vienna e l’Austria, se escludiamo un breve periodo di carcere, dopo il colpo di stato di Dollfuss (1934), quando era già vecchio e malato, la sua esistenza fu sempre contrassegnata da un’ordinata metodicità.
Le sue posizioni politiche non lo allontanarono mai dalla comunità ebraica da cui proveniva.
Tra le opere principali di Max Adler ricordiamo:
- Causalità e teleologia nella disputa sulla scienza (1904);
- la rivista Marx-Studien (dal 1904), che Adler diresse e che accolse i suoi interventi più brillanti;
- Il socialismo e gli intellettuali (1910);
- Problemi marxisti (1920);
- La concezione dello Stato nel marxismo (1922);
- Il marxismo come dottrina proletaria (1923);
- Il problema sociologico nella dottrina della conoscenza kantiana (1924);
- Kant e il marxismo (1925);
- Democrazia politica e sociale (1926);
- Manuale della concezione materialista della storia (1930-1931)
- L’enigma della società (1936).
Che cos’è l’Austromarxismo
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Alla fine dell’Ottocento, mentre il movimento operaio ingrossava le sue schiere in tutta Europa, il pensiero di Marx fu oggetto di elaborazioni e revisioni che originarono interessanti sviluppi teorici: l’Austromarxismo ne è un esempio.
Nel clima ottimista della Seconda Internazionale (fondata nel 1889, a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale), Karl Kautsky, al quale Max Adler si avvicinò prima di sviluppare le proprie posizioni, lesse Marx con parametri e categorie positivistiche, attribuì una fondamentale importanza al fattore economico e ritenne, con un certo fatalismo riguardo alla storia, che il comunismo fosse l’esito inevitabile dell’evoluzione della società capitalistica e delle sue contraddizioni.
Altri pensatori politici, come Eduard Bernstein, credettero che fosse necessario abbandonare le posizioni rivoluzionarie e la lotta del proletariato, e imboccarono convintamente la via del socialismo riformista, secondo la quale si sarebbe potuti giungere al comunismo tentando di cambiare la società borghese dall’interno, senza scossoni, mediante l’iniziativa e la lotta parlamentare.
Max Adler, con l’Austromarxismo, si colloca in questa costellazione di pensiero proponendo, iniseme a Karl Vorlander (esponente del marxismo neokantiano), che i valori socialisti venissero fondati su dei principi etici, piuttosto che sul materialismo (di matrice dialettica e di derivazione hegeliana), e legando la lotta per la realizzazione della società comunista all’imperativo categorico kantiano, che prescriveva di trattare ogni individuo sempre come fine e mai come mezzo.
Formatisi alla scuola dei neokantiani e di Hans Kelsen, e influenzati anche da scienziati come Ernst Mach, e dalla scuola viennese di economia di Carl Menger, gli austromarxisti, tennero ben presenti le critiche dei loro maestri, secondo le quali era impossibile che lo sviluppo sociale fosse regolato da leggi causali, e si domandarono quanto di scientifico potesse esservi nel marxismo.
Gli Austromarxisti, inoltre, rifiutarono l’idea che l’evoluzione storica fosse caratterizzata da una necessità ineluttabile, per questo credettero che l’obiettivo rivoluzionario dovesse essere superato e che il socialismo potesse essere ridotto a un postulato etico, a un principio regolatore che permettesse di valutare l’ordinamento sociale esistente per capire come agire.
Non è quindi un caso se personaggi come Hilferding e Renner sostennero i partiti borghesi e predicarono il riformismo parlamentare come condizione di un passaggio civile e indolore al socialismo mentre altri, come lo stesso Adler, criticarono aspramente l’iniziativa rivoluzionaria bolscevica come dittatura sul proletariato (e non del proletariato).
Max Adler e il progresso scientifico
La riflessione di Max Adler muove dall’esigenza di fondare in modo valido la sociologia e di distinguere, nel marxismo, quanto ci sia di scientifico e di descrittivo dal messaggio etico e, quindi, dalle prescrizioni morali.
Nella sua critica alla necessità dello sviluppo storico egli nota che il progresso è un concetto che non rientra nel campo delle scienze esatte e delle leggi di natura quanto, piuttosto, nell’alveo delle scienze dello spirito. Il progresso, quindi, non può essere oggetto di dimostrazione ma può solo essere creduto. E un processo storico diviene progresso solo quando realizza quei valori di libertà, uguaglianza e giustizia che gli uomini hanno creato e credono. In definitiva, del progresso possiamo dare valutazioni etiche ma mai argomentazioni, ossia dimostrazione scientifiche.
Cosa dire allora della concezione materialistica della storia di Marx? Secondo Adler l’idea che la sovrastruttura, ossia l’ideologia, la cultura, sia un prodotto della base economica non si ritrova nemmeno nei testi di Marx e Engels che si sono limitati a sottolineare un collegamento tra l’una e l’altra. Il materialismo storico, allora, andrebbe inteso secondo Adler non come una metafisica, non come la convinzione arbitraria che il decorso storico sia regolato da una necessità, ma come un’indicazione di metodo in base alla quale nell’analisi dei fatti storici l’aspetto economico dovrebbe essere preminente e avere un particolare riguardo.
Se il materialismo puro e semplice, allora, è una posizione metafisica che risponde alla domanda sull’essenza del mondo, il materialismo storico di Marx è, invece, da considerarsi come un programma scientifico da applicare per lo studio della società.
Adler rivolge, poi, una critica dello stesso tenore al concetto marxiano di dialettica. Se con questo termine intendiamo dire (come per primo fece Eraclito) che il contrasto fra le cose è alla base di tutto ciò che accade, stiamo sicuramente compiendo una speculazione metafisica; in Marx e in Engels, però, la dialettica è altro, perché si configura come “principio di ricerca per lo studio della vita sociale” infatti la dialettica di Marx:
“non ha più nulla a che fare con la questione della natura dell’essere, ma constata semplicemente l’opposizione esistente fra l’interesse proprio dell’individuo e le forme sociali in cui egli viene costretto”.
La fondazione dei valori del socialismo
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Se il materialismo storico e la dialettica sono degli strumenti utili alla ricerca scientifica, e non dei principi metafisici, cadono le basi teoriche sulle quali erano fondati i valori del socialismo, per questo Adler sente la necessità di rivolgersi al pensiero kantiano.
Il filosofo nota, innanzitutto, che le condizioni economiche e materiali non ci permettono di distinguere il bene dal male, non creano un ideale etico ma ne spiegano solo la genesi storica, lo contestualizzano storicamente, e si chiede:
“se non esistesse l’ideale etico perché alla fin fine il proletariato non dovrebbe essere soddisfatto di un sistema di feudalesimo industriale se – il che non è affatto escluso – al suo interno si trovasse un salario migliore di quello attuale, un’abitazione pulita, una giornata lavorativa più breve e delle assicurazioni sufficienti contro la malattia, l’infortunio la vecchiaia e l’invalidità?”
L’ideale etico del socialismo, ossia la società senza classi, dove vige un uguaglianza sostanziale, allora, per Adler che qui valorizza l’insegnamento del neokantiano Hermann Cohen, può essere fondata solo su quella versione dell’imperativo categorico che impone il rispetto dell’umanità di ognuno e che chiede di trattare ognuno mai solo come un mezzo e sempre anche come un fine.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Max Adler: vita e pensiero del filosofo dell’Austromarxismo
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