Una poesia o, forse, un appunto. In ogni caso la prova inconfutabile che ogni testo partorito dalla mente di Montale, abbozzo o schizzo di pensiero, si tramutava in una lirica di indubbio valore, caratterizzata dalla singolare musicalità che è propria della metrica montaliana.
La ricercatrice Ida Duretto quando si è trovata di fronte queste parole non ha avuto il minimo dubbio, il tono, del resto, era inconfondibile: si trattava di una poesia inedita di Eugenio Montale.
Inedito di Montale: la scoperta di Ida Duretto
Ida Duretto, laureata alla Normale di Pisa e insegnante di letteratura italiana a Kyoto, stava svolgendo una ricerca presso il Centro Manoscritti di Pavia per ultimare il commento alla raccolta Altri versi di Montale, quando si è imbattuta in questo scritto. Il testo, risalente al marzo 1975 e recante il titolo I grattacieli scritto a mano, era annotato sul retro di una traduzione montaliana di Yeats.
La poesia inedita di Montale era una riflessione di stampo ambientalista che criticava la costruzione di un edificio, un grande hotel chiamato dispregiativamente “Mostro di Fuenti”, nella località della Costiera Amalfitana. L’enorme complesso fu realizzato negli anni Settanta e rappresentava uno dei primi esempi di abuso edilizio, diventando il punto culminante di un’accesa discussione sulla carta stampata. Numerosi pensatori, scrittori e intellettuali all’epoca avevano preso posizione contro il progetto, tra cui Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Mario Soldati e il nostro Eugenio Montale.
Si auspicava la redazione di una proposta di legge sulla tutela dei beni culturali e questa poesia montaliana - l’inedito ritrovato - doveva essere, in origine, una sollecitazione a favore dell’iniziativa legislativa.
Nelle prime stesure dello scritto compariva il nome di Elena Croce, la figlia di Benedetto Croce, che da tempo pregava il poeta ligure di comporre uno scritto d’occasione a favore della legge.
Montale ne scrisse diverse versioni, sino a giungere alla stesura finale corredata dal titolo scritto a mano I grattacieli, in cui scompare il riferimento a Elena per adottare un tono più impersonale e sospeso, di “inappartenenza”.
Inizia infatti con un verbo “Pare”, che sembra riecheggiare quell’enigmatico “Accade” dell’incipit di Ex voto. Il testo, tuttavia, non fu mai pubblicato.
Risalente al 1975 questo componimento ha il tono amaro e disincantato che caratterizza i componimenti di Satura e, in generale, le poesie dell’ultimo Montale.
Il testo inedito, I grattacieli, è stato pubblicato sul terzo annuario dei Quaderni montaliani in arrivo in libreria per la casa editrice Interlinea da dicembre 2023.
“I grattacieli”: il testo della poesia inedita di Eugenio Montale
Pare che prima o poi
anzi prima che poi
sugli Aliscampi che splendono
tra Amalfi e Vietri si vedranno enormi
grattacieli e già sorge dalla cintola insù
l’intellighenzia, con suoi alti piati.
Ma saranno sprecati; grattare il cielo
è ciò che resta a chi non creda più
che un cielo esista.
“I grattacieli”: analisi della poesia inedita di Eugenio Montale
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L’inedito di Montale si inserisce appieno nella polemica ambientalista dei primi anni Settanta. Il tono è amaro, disincantato, ma anche combattivo, contestatore. Molti testi dell’epoca, tra cui ricordiamo Le città invisibili di Calvino, criticavano la crescente urbanizzazione e proponevano un nuovo modo di pensare lo spazio comune che si stava tramutando in una realtà “invivibile”.
Sulla stessa linea onirica del testo calviniano si muove lo scritto di Montale che, tuttavia, non indugia nella favola ma giunge dritto al punto. Ormai il danno è fatto, preannuncia il poeta con un senso di velata minaccia evidente già nei primi versi. Gli enormi grattacieli cui fa riferimento sono proprio le alte palizzate dell’Hotel Fuenti che si affaccia sulla costa tra Amalfi e Vietri: l’autore ci dà le coordinate spaziali di riferimento, ma a quella implicita considerazione legata al fatto in sé oppone un ragionamento generale e universale.
Nel finale infatti l’autore dichiara la propria sconfitta dinnanzi al progresso che avanza inarrestabile: non vi è modo di opporsi alla nascente società dei consumi e alle sue drammatiche conseguenze, tra cui l’inoppugnabile scempio ambientale e naturalistico.
Eugenio Montale conclude la propria riflessione con una drammatica profezia, in cui immaginava un “cielo vuoto”:
grattare il cielo
è ciò che resta a chi non creda più
che un cielo esista.
Accecati dalla smania di potere, abbagliati dalla velocità inarrestabile del progresso, gli uomini hanno perso il contatto con il trascendente: sono creature ormai svuotate di interiorità che si appellano a un “cielo vuoto”, senza Dio. Nel costruire le loro torri svettanti, capaci di forare la superficie terrestre, non temono di sfidare un presunto aldilà; proprio come l’Ulisse dantesco hanno ormai superato il limite delle colonne d’Ercole da tempo, spinti non dalla curiosità umana ma dalla brama di potere. Il poeta non lascia incombere una maledizione nel finale, ma si limita ad affermare con caustico disincanto che l’umanità ormai si è sostituita a Dio, ed è forse questo il dramma peggiore, si è già avverato. La società dei consumi e la “morte di Dio” - in memoria della sentenza nietzscheana - procedono di pari passo: l’avvento dell’Oltreuomo ha prodotto un nichilismo paludoso e stagnante, al progresso edilizio-tecnologico fa da specchio un lacerante disagio esistenziale.
La poesia si concludeva con una sentenza senza speranza; ma nella realtà un lieto fine c’è stato. L’Hotel Fuenti, il “mostro” che suscitò l’indignazione di Montale, fu demolito dopo trent’anni di polemiche ecologiste nel 1999.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “I grattacieli”: un’analisi della poesia inedita di Eugenio Montale
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