I prigionieri di guerra in provincia di Cuneo 1915-1919
- Autore: Roberto Martelli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Tanto tempo libero, molta noia, un po’ di moto, qualche progetto di fuga, nessuna libertà: erano tutte uguali e interminabili le giornate dei prigionieri austroungarici e tedeschi della Grande Guerra nel cuneese. È circoscritto a quel territorio – sebbene indubbiamente possa risultare esemplare di tutta la prigionia in Italia – il lavoro accurato di Roberto Martelli, proposto nel volume “I prigionieri di guerra in provincia di Cuneo 1915-1919”, novità da settembre 2018 della casa editrice Nerosubianco di Cuneo (124 pagine 13 euro).
Cultore di lingue straniere, laureato in letteratura polacca all’Università di Torino, l’autore cinquantenne è impegnato presso la Biblioteca Civica della città piemontese e ha già firmato nel 2012 una ricerca storica per Nerosubianco.
Dice di aver tratto il progetto di questo studio da una visita un paio di anni fa a Varsavia, per rendere omaggio a due caduti cuneesi nella Prima guerra mondiale, deceduti in prigionia e sepolti nel cimitero italiano in un quartiere settentrionale della capitale polacca.
È nata lì la considerazione che a fronte di una vasta narrativa e saggistica sulla detenzione dei nostri soldati nei territori della Duplice Monarchia, non vi è in Italia altrettanta disponibilità di testi sulla prigionia dei militari austroungarici (e tedeschi, in misura minore), ospitati forzatamente nei campi e nei luoghi di detenzione in tutta Italia.
Per dare organicità alla sua ricerca, considerati i numeri enormi di prigionieri di quel conflitto che mobilitò enormi masse di uomini, Martelli ha ritenuto di limitarla alla sua provincia, quanto meno in questo primo approccio ad un argomento decisamente ampio. E per definire un quadro generale attendibile, ha scelto di avvalersi dei contributi della stampa italiana e dei documenti dell’Impero austroungarico, supportati dagli atti della Croce Rossa Internazionale.
Nel corso della guerra 15-18, nel Regno d’Italia venne allestita una “moltitudine” di campi di prigionia, ovviamente a debita distanza dal fronte alpino e friulano (poi veneto) e quindi anche lontanissimo dal Nord Est. Decine di migliaia di ufficiali, sottufficiali e soldati delle forze armate imperiali vennero internati in centri di detenzione di competenza dei Corpi d’Armata in cui era suddiviso l’intero territorio peninsulare e insulare.
Si era cominciato con l’impegnare fortezze, scuole, conventi, ma il consistente afflusso di prigionieri dalle zone di guerra indusse poi ad allestire grandi campi di concentramento.
Mentre per gli ufficiali la prigionia non ha potuto che rappresentare un periodo di inattività senza fine, per i militari di truppa c’era la possibilità di essere adibiti ad attività lavorative, in cambio di un vitto migliore e si calcolano in 85mila gli addetti nel 1916, saliti a 130mila nel 1918. Questo rende un’idea dei grandi numeri.
Al netto della necessità di ospitarli, nutrirli e trovare il modo di far trascorrere loro il tempo, se pure non si possa dire che in Italia se la passassero alla grande, è certo che le loro condizioni non erano quelle spaventose dei connazionali detenuti in Siberia, caduti in prigionia sul fronte russo (ma se la videro male anche i prigionieri dei serbi).
L’autore dedica capitoli specifici ai luoghi di concentramento nel cuneese: il Forte del Colle di Tenda, quello di Vinadio, l’ex Regio Polverificio di Fossano, oltre all’ospedale militare di Savigliano, in cui vennero ricoverati austroungarici feriti o ammalati (si tratta comunque di piccoli numeri) e qualcuno finì per soccombere a complicazioni o gravi patologie.
Frequenti le testimonianze di prigionieri citate nel lavoro. Di spicco, quella del Tenente di Vascello Wosecek, pilota boemo dell’Aviazione di Marina austroungarica, ammarato per un’avaria del suo idrovolante al largo di Porto Corsini, sulla costa ravennate e in prigionia quindi fin dai primissimi giorni di guerra, dal 28 maggio 1915, appena quattro giorni dopo l’inizio delle ostilità.
Trasferito al Colle di Tenda, racconta una prigionia non infelice, che gli ufficiali italiani della guarnigione cercavano cavallerescamente di alleviare, quel minimo possibile.
Regnava sovrana la noia, rotta da camminate scortate per le strade e nei campi, partite a bocce in cortile e sfide calcistiche che finivano sistematicamente per rompere le vetrate degli alloggi, con le pallonate fuori centro.
Ecco uno sport che dovettero accantonare, per causa di forza maggiore.
Spazio anche ai tentativi di fuga, ma qui perfino i piani più accurati potevano riuscire parzialmente per il mero concorso di circostanze fortunate o fallire per contingenze altrettanto casuali. Se non altro, però, tenevano occupati la mente e il tempo eterno di giovani in cattività, quasi tutti di ottima famiglia.
I prigionieri di guerra in provincia di Cuneo. 1915-1919
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