“Hai la mia adesione e la mia simpatia: vorrei avere il tuo coraggio e la tua fede e perché no, la tua giovinezza” così mi scriveva Ignazio Buttitta nel 1982 dalla sua casa di Aspra, che di anni ne aveva 83 ed io meno di 29. Quel biglietto e la sua busta, su cui era scritto “Manda il numero del tuo telefono”, li conservo gelosamente, come conservo la seconda edizione (1976) edita da Feltrinelli del libro La Paglia bruciata.
Nel 1981, tramite il poeta Angelo Gaccione, pubblicammo su un innocente libro autogestito da una pattuglia di ambiziosi giovani sconosciuti autori pacifisti una sua poesia:
A guerra cumu u terrimotu ammunzedda macerii abbatti mura e palazzi e sippillisce morti: l’omini i jsanu, fanni parrari i petri, io i canusciu l’omini! |
La guerra come il terremoto ammucchia macerie abbatte muri e palazzi e seppellisce cadaveri: gli uomini li innalzano fanno parlare le pietre, io li conosco gli uomini! |
In gioventù avevo letto, facendo fatica a recuperarle, altre sue poesie tra cui alcune del volume La peddi nova (1963) con quel verso che dice:
Mi vogghiu svacantari, scurciari/farimi la pedde nova/comu li scursuna
Letteralmente: “Mi voglio svuotare, scorticare/farmi la pelle nuova/come le serpi nere”.
Un amico siciliano anni dopo mi fece avere le fotocopie di altre poesie di Lu pani si chiama pani (1954), tra cui Non sugnu poeta e mi emozionò il verso:
è poesia sciogliere il cappio agli impiccati, aprire gli occhi ai ciechi.
NON SUGNU PUETA | NON SONO POETA |
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Non sugnu pueta ma siddu è puisia affunnari li manu ntra lu cori di l’omini patuti pi spremiri lu chiantu e lu scunfortu; ma siddu è puisia sciògghiri u chiacciu e nfurcati, gràpiri l’occhi a l’orbi, dari la ntisa e surdi rumpiri catini lazzi e gruppa: (un mumentu ca scattu!)... |
Non sono poeta; ma se è poesia affondare le mani nel cuore degli uomini che soffrono per spremerne il pianto e lo sconforto; ma se è poesia sciogliere il cappio agli impiccati, aprire gli occhi ai ciechi, dare l’udito ai sordi, rompere catene e lacci e nodi: (un momento che scoppio)... |
Il giorno dopo la sua morte, avvenuta il 5 aprile 1997, sul quotidiano la Repubblica il critico letterario Stefano Giovanardi (1949-2012) scriveva che:
Buttitta è stato un poeta singolare: forse uno dei pochissimi del nostro Novecento che abbia così strettamente legato la sua persona fisica (il corpo, la voce, l’etnia) alla poesia da lui scritta (…) Buttitta, nonostante tutto, non era un cantastorie. La fama di poeta popolare, legata a ballate e canzoni famose e avallata dallo stesso autore che, aveva intitolato Il poeta in piazza una delle sue raccolte di poesie, si rivela sfasata, e comunque riduttiva con l’intero arco della sua produzione (...)
Infatti è riduttivo, in considerazione della complessità della sua opera, considerare Buttitta solo un cantastorie, un poeta dialettale, un poeta popolare o attribuirgli l’etichetta di poeta impegnato, una specie di Don Chisciotte.
Era di più, qualcos’altro di più profondo e universale: un poeta che attraverso la sua sicilianità, il suo dialetto e il suono della sua voce ha rappresentato il dolore e la gioia dell’esistenza come sanno fare i poeti, perché la vita non è soltanto rose e fiori.
È un romanzo, un romanzo al giorno, cantato in do minore e in do maggiore.
In un’altra poesia Buttitta dichiara che la poesia ha le radici nella terra e i rami fioriti aperti all’aria come braccia d’uomo.
Ignazio Buttitta: la vita e la poesia
La vita di Buttitta che ha le radici nella terra, quella della Prima guerra mondiale, della strage di Portella della Ginestra, del Fascismo e della Resistenza, è un romanzo degno di un film.
Nel 1917 è soldato sul Piave, nel 1922 è tra i fondatori del circolo di cultura Filippo Turati, che pubblica il foglio settimanale La povera gente e nello stesso anno viene arrestato per una sommossa popolare contro le angherie del dazio. Nel 1943 è in Lombardia e partecipa alla lotta partigiana nelle Brigate Matteotti.
In Lombardia frequenta Salvatore Quasimodo ed Elio Vittorini. Ritorna in Sicilia a metà degli anni Cinquanta.
Nel 1972 vince il Premio Viareggio per la poesia con il volume Io faccio il poeta. Nel 1980 la Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo gli assegna la “Laurea honoris causa” in materie letterarie: lui, un autodidatta, che aveva conseguito solo la licenza elementare.
La mia vita vorrei scriverla cantando; ma ho la chitarra scordata e la voce catarrosa: sarebbe una suonata ai sordi.
questo è l’incipit di La Paglia bruciata, racconti in versi di Ignazio Buttitta, con una prefazione di Roberto Roversi e una nota di Cesare Zavattini.
Ignazio Buttitta e il cinema
Ignazio Buttitta (1899 – 1997) è uno dei figli di Bagheria, il paese in provincia di Palermo che ha dato i natali a Renato Guttuso e al regista Giuseppe Tornatore.
Nel 2009 il regista con il film Baarìa narra la storia della cittadina e di una famiglia dentro un pezzo importante della storia italiana: fascismo, guerra, lotte sindacali, mafia e contrastanti costumi italiani, come la fuitina e l’arrivo della televisione.
In questa storia alcuni attori interpretano Guttuso, Buttitta che declama le sue poesie, oltre che Alberto Lattuada e Alberto Sordi durante le riprese del film Mafioso (1962) girato a Bagheria con una stupenda ripresa dei mostri di Villa Palagonia.
Nell’itinerario turistico culturale “Le vie dei tesori”, alla sua quarta edizione (settembre 2023), il pubblico ha visitato Villa Palagonia e il mezzanino dove un giovanissimo Ignazio Buttitta scriveva i suoi primi versi, al primo piano di una bottega in corso Umberto, a Bagheria. Una bottega storica nel cuore del centro storico, che conserva ancora il bancone di inizio Novecento e gli oggetti della fanciullezza di Buttitta, come una lettera alla fidanzata Angelina – la futura moglie Angelina Isaja - e la prima edizione di Sintimintali, datata 1923.
Ignazio Buttitta e la musica
Il poeta della piazza e delle lotte contadine ha scritto i testi di alcune canzoni, tra cui quelle dedicate alla tragedia della miniera di Marcinelle e ai morti di mafia.
Il testo Lamentu ppi la morti di Turiddu Carnivali, con la musica di Nonò Salomone e la voce del cantastorie siciliano Cicciu Busacca (1925-1989), è la storia di Salvatore Carnevale, bracciante e sindacalista di Sciara - (PA), ucciso a 31 anni dalla mafia a colpi di lupara il 16 maggio 1955 mentre si recava a lavorare in una cava di pietra.
Ecco la prima strofa:
È arrivato Cicciu Busacca/per farvi sentire la storia/
di Turiddu Carnivali/lu sucialista che morì/a Sciara/ammazzato dalla mafia.
Ppi Turiddu Carnivali/hianci so’ matri/e chiancinu tutti/li puvureddi nella Sicilia/perché Turiddu Carnivali/murì ammazzato/ppe difendere lu pane/de li puvureddi.
Il testo Lu Trenu di lu suli (Il treno del sole - 1963), interpretato da Cicciu Busacca, è dedicato alla tragedia della miniera carbonifera di Marcinelle dove nel 1956 trovarono la morte 130 emigrati italiani.
È la vera storia di Salvatore Scordo, minatore siciliano costretto a emigrare in Belgio e sepolto sotto le macerie della miniera presso la quale lavorava appena da un anno.
Salvatore, fino a quel momento, aveva inviato a sua moglie Rosa, rimasta a Mazzarino, i soldi per sfamare la famiglia, per mandare i figli a scuola e, dopo un annu di patiri, finalmente quelli per acquistare i biglietti del Treno del Sole per poterlo raggiungere in Belgio, assieme ai figli. La moglie Rosa e i sette figli del minatore lasciano così la Sicilia e, con “il Treno del Sole”, intraprendono il lungo viaggio che li avrebbe riportati a riabbracciare il loro, caro Salvatore.
Dopo Villa San Giovanni, però, l’immane tragedia. Rosa apprende in diretta la notizia della morte del marito dalla radiolina di un emigrante conosciuto sul treno che aveva appena varcato lo Stretto di Messina.
Il testo Mafia e Parrini è del 1973 (mafia e preti) con la musica di Otello Profazio.
Mafia e Parrini | Le mafia e i preti |
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Si déttiru la manu Poviru cittadinu Poviru paisanu E mafia e parrini Si déttiru la manu E mafia e parrini Si déttiru la manu La mafia e li parrini Eternu sancisuca Poviru cittadinu |
Si diedero la mano Povero cittadino Povero paesano E mafia e preti Si diedero la mano E mafia e preti Si diedero la mano La mafia e i preti Eterno sanguisuga Povero cittadino |
Nel video seguente l’interpretazione è di Rosa Balistreri.
Ignazio Buttitta e il teatro
Buttitta si è dedicato anche al teatro. Ha realizzato insieme a Giorgio Strehler lo spettacolo Pupi e cantastorie di Sicilia, rappresentato a Milano nel 1956. Ha scritto Portella della Ginestra e Il Patriarca (1958).
Successivamente ha rielaborato la vastasata in tre atti di autore ignoto Lu curtigghiu di li Raunisi (1975) e composto nel 1986 Colapesce.
La vastasata è una farsa popolare in voga a Palermo nella seconda metà del 18° sec., di cui erano protagonisti i vastasi: «facchini», ma anche giullari, buffoni. Coloro che facevano lavori duri e avevano un linguaggio maleducato.
Lu curtigghiu di li raunisi: vastasata in tre atti è stata rappresentata al Teatro Biondo di Palermo il 6 settembre 1973.
Sarebbe buona cosa che un editore coraggioso e impegnato ripubblicasse tutta l’opera di Buttitta che, ahinoi, è frammentata in piccole edizioni ormai introvabili o incomplete, come la raccolta Sintimintali (1923), Marabedda (1928), Lu pani si chiama pani (1954), Pietre nere (1983).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ignazio Buttitta: poesie, canzoni, cinema e teatro
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