

Il Mostro di Roma. Il caso Girolimoni. 1924
- Autore: Alessandro Gorza
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Giunti
- Anno di pubblicazione: 2024
Nero900 è una collana di pocket lanciata di recente dalla casa editrice fiorentina Giunti, che riprende con un taglio narrativo i casi più neri della cronaca nera in Italia, i crimini e delitti che hanno scosso, spaventato, eccitato l’opinione pubblica nel nostro Paese. Il primo titolo - uscito insieme a quello dedicato alla saponificatrice di Correggio - è Il Mostro di Roma. Il caso Girolimoni. 1924 (settembre 2024, 224 pagine).
Questa è una storia che ha cent’anni, ricorda l’autore veneto-milanese Alessandro Gorza, appassionato di horror, di romanzi noir, birra scura e musica rock spaccatimpani. Firma racconti, come lo scrittore preferito, Stephen King, e sull’esempio del nume ispiratore, per cui nutre un’autentica venerazione, sono affilati, taglienti, secondo un’interpretazione stilistica decisamente efficace nel caso di questi casi da trattare: quelli di nera.
Uno sconosciuto a caccia di bambine, nei quartieri popolari a Roma, nel 1924. È una storia di sangue e di violenza, di errori e di misfatti, continua Gorza, di fatti che non sembrano appartenere al passato, “ma somigliano a un presente inquietante e spaventoso”.
Un secolo intero fa, nei primi anni del Ventennio, non c’erano i media audiovisivi, ma i giornali erano asserviti al regime in ascesa; la classe dirigente si fascistizzava e si compiaceva di raccontare una realtà inesistente. La gente comune non inventava fake news sui social, ma il regime sognava e affermava un fake mondo, una società fittizia in cui il Duce riusciva a sconfiggeva qualsiasi crimine, oltre a fare arrivare i treni in orario. Chi voleva fare carriera nelle Istituzioni e nelle strutture statali e amministrative doveva assecondare la presunzione di perfetto ordine pubblico e d’intonsa pulizia morale del Paese. Un’immagine solo di facciata.
Si rubava, si lucrava, si faceva di peggio, ma non si diceva.
Un assassino che violava e uccideva bimbe prepuberi sembrava stonare fortemente con questa narrazione di un’Italia libera dal male perchè “lui” vegliava da Palazzo Venezia. Una serie di vari efferati delitti probabilmente, non un crimine unitario. Forse era più d’uno a colpire a caso, “senza un disegno o forse no”. Di certo vennero esercitate pesanti pressioni politiche, nella fretta di dare una risposta alla gente che voleva vendetta, non solo giustizia. Tutto questo ha dato spazio a un’indagine sbagliata, minata dai conflitti tra investigatori e burocrati, mentre il mussolinismo si svelava per la dittatura liberticida e giustizialista che era.
Serviva un capro espiatorio e venne trovato: un uomo che ha visto il proprio nome diventare l’equivalente di pedofilo, di sconcio stupratore di innocenti.
È la storia di un mostro creato dalle voci di strada e dalla carta stampata, insiste efficacemente l’autore. Di un errore giudiziario che ha lasciato crimini senza un colpevole. Di Ralph Lyonel Brydges, di Giuseppe Dosi e tanti altri. Soprattutto di Girolimoni, il mostro di Roma, “senza esserlo mai stato”, come si legge sul sito dell’Associazione italiana vittime di malagiustizia.
Ricaviamo dalla stessa Aivm la sintesi della vicenda. Nella capitale, negli anni Venti, il fotografo e mediatore romano Gino Girolimoni (1889-1961) venne ingiustamente accusato del rapimento e stupro di sette bambine e dell’omicidio di cinque di loro. Una campagna mediatica lo inchiodò con un’imputazione infamante, su pressione del regime fascista, che voleva accreditarsi come infallibile garante dell’ordine agli occhi di tutti gli italiani. La vita di Girolimoni venne passata al setaccio, ogni movimento studiato, ogni atto giudicato. Aneddoti falsi si moltiplicarono sul suo conto. La crocifissione morale di un uomo fino ad allora per bene.
Finì per quattro mesi in isolamento nel carcere di Regina Coeli. Gli inquirenti tentavano invano di fargli confessare un crimine mai commesso. Comunque, mancavano le prove della sua colpevolezza. Venne scagionato e tornò libero, ma la sua vita era sconvolta. Intanto, già durante la detenzione di Gino, un bravo commissario di Polizia si era diretto altrove. A Giuseppe Dosi (sarà tra i fondatori dell’Interpol a guerra finita), la descrizione del mostro aveva ricordato uno straniero residente a Roma, fermato a Capri per avere adescato una bambina. Durante una perquisizione domiciliare, emergono indizi: un taccuino con annotati i luoghi in cui sono avvenute le sparizioni delle bimbe e fazzoletti di lino bianco, simili a quelli usati negli strangolamenti. Mussolini decise comunque di distogliere le indagini da quel soggetto, a causa di pressioni internazionali.
Ad oggi, il “mostro di Roma” è ancora senza nome.
In questa storia ci sono due protagonisti, osserva Gorza: Dosi e Girolimoni, ma se dopo ascese e cadute la vita di Giuseppe si è rimessa su giusti binari, quella di Gino si è avvitata in caduta libera. L’uomo allegro e benestante, amante della bella vita e belle donne, invecchiò rapidamente, ridotto a clochard. Almeno così non viene riconosciuto, nessuno lo chiama per nome, lo prende a schiaffi. Nel 1952, dopo averlo caparbiamente cercato, un giornalista dell’Unità riuscì a intervistare quell’uomo stanco, sconfitto, arreso:
Perfino io ho paura ancora di pronunciare il mio nome.
Niente gli ha mai restituito dignità. Tentò di affrontare giornalisti e potenti, provò a cercare lavoro, ottenendo sguardi di compassione oppure occhiate piene di dubbi. Damiano Damiani affidò nel 1972 a un magico Nino Manfredi la parte di Girolimoni, in un film che voleva riabilitare quel nome diventato vergogna. Forse il cinema ha fatto quello che una vita non ha potuto: raccontare la verità, scrive Alessandro Gorza. Ma Girolimoni non poté saperlo. Era morto il 19 novembre 1961, solo, anonimo.

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