

Il cielo sopra Roma. I luoghi dell’astronomia
- Autore: Roberto Buonanno
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
A Roma l’osservazione dei fenomeni celesti era un’abitudine praticata fin dall’antichità, ma ricevette un nuovo impulso nel corso del Sedicesimo secolo, quando si rese necessaria una riforma del calendario giuliano oramai non più rispondente ai reali cicli stagionali. Un lungo lavoro terminato il 1° marzo 1582 con la bolla Inter gravissimas, promulgata da Papa Gregorio XIII, quando venne adottato il nuovo calendario, detto Gregoriano. Non era questo, in realtà, l’unico elemento di novità riguardo i fenomeni celesti, perché in Europa altri studi stavano mettendo in discussione la teoria geocentrica perfezionata da Tolomeo, basata sulla posizione della Terra al centro del sistema solare.
Nel 1543 Niccolò Copernico nel suo libro De revolutionibus orbium coelestium aveva sostenuto come fosse la Terra a trovarsi al centro del sistema solare e dell’Universo. Una teoria che stava guadagnando un crescente consenso in ambito scientifico e soprattutto nel mondo protestante. Teoria alla quale Tycho Brahe aveva cercato di dare una risposta elaborandone nel 1588 una nuova, nota come sistema ticonico, nella quale la Terra era collocata immobile al centro dell’Universo e attorno a essa orbitavano la Luna e il Sole. Intorno al Sole ruotavano gli altri cinque pianeti allora conosciuti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno).
La Roma dell’epoca era interessata da un grande fermento scientifico che aveva attratto da tutta Europa studiosi gesuiti come Cristoforo Clavio, Orazio Grassi, Christoph Scheiner e Athanasius Kircher. Tutti e quattro avevano avuto come centro delle loro attività romane il Collegio Romano ed erano stati strenui difensori della teoria geocentrica - in alcuni casi di quella ticonica -, in opposizione non solo alla teoria copernicana ma soprattutto a quanto sostenuto proprio in quegli anni da Galileo Galilei. Insomma, la Città eterna tutto era tranne che tagliata fuori dai circuiti scientifici d’oltralpe, come si potrebbe pensare - semmai prudente nell’adottare le novità scientifiche -, come racconta nel suo libro Il cielo sopra a Roma: I luoghi dell’astronomia (Springer Verlag, 2007) Roberto Buonanno, Professore Ordinario di Astronomia e Astrofisica all’Università di Roma Tor Vergata e fino al 2005 Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Roma. Buonanno ha scritto un’accattivante storia dell’astronomia nell’Urbe che parte dal Cinquecento per arrivare ai nostri giorni presentando luoghi, persone e scoperte, forse sconosciuti a quanti non sono appassionati di astronomia, ma che permettere al lettore una lettura con occhi diversi della Città. Il lettore viene così a conoscenza delle fabbriche di telescopi e strumenti ottici che, già a metà del Seicento, operavano in un clima di aperta rivalità, segno che l’interesse per l’astronomia si era già diffuso in una città in cui i fenomeni celesti si osservavano dalle finestre, dalle terrazze, dalle alture circostanti l’Urbe o da altre postazioni di fortuna.
La prima specola romana di cui si hanno notizie è l’osservatorio di Santa Maria in Vallicella (oggi Chiesa Nuova), fondato da Giuseppe Ponteo, uno dei membri dell’accademia Fisico-Matematica Romana promossa nel 1675 dalla regina Cristina di Svezia. Una struttura piccola ma ben attrezzata per l’epoca che, a dispetto della sua probabile breve durata, era ben conosciuta in Europa tanto che Isacco Newton, quando scrisse i suoi Principia Mathematica, non esitò ad utilizzarne le osservazioni, pubblicate nel Cometicae Observationes Habitae ab Academia Physiomathematica Romana, Anno 1680 et 1681, per determinare l’orbita della Grande Cometa del 1680.
Ed è solo la prima di cui Buonanno parla nella sua opera, perché di osservatori nel corso del Diciottesimo secolo ve ne furono molti e molto più importanti, come quello realizzato dai due padri dell’Ordine dei Minimi, Francois Jacquier e Thomas Le Seur, a Trinità dei Monti sul terrazzo del convento, oppure la specola dei Domenicani, ubicata sopra la loggia di Santa Maria sopra Minerva, dove Giovanni Battista Audiffredi svolse un’autentica attività scientifica fatta di misura dei fenomeni osservati, della loro descrizione, registrazione e comparazione con le misure rilevate da altri studiosi.
Due furono i principali osservatori presenti a Roma a cavallo del Settecento e Ottocento. Il primo inaugurato nel 1778 dal Duca Francesco Caetani, cultore di studi di astronomia e frequentatore delle accademie romane, situato in una loggia situata sulla sommità di palazzo Caetani e diretto dapprima da Giovanni Battista Audiffredi e successivamente dall’abate Feliciano Scarpellini. Una struttura per la quale il Duca non esitò a spendere ingenti somme pur arricchire l’osservatorio di attrezzature moderne, fino a rovinarsi economicamente. La seconda realizzata nel 1787 dall’abate Giuseppe Calandrelli sopra l’edifico del Collegio Romano, già sede della Compagnia del Gesù, che sarebbe diventato il più importante osservatorio della capitale, dove avrebbe operato nel 1800 il gesuita Angelo Secchi, uno dei più grandi astronomi europei del Diciannovesimo Secolo. Dopo la conquista di Roma, la specola venne confiscata dal Governo italiano che continuò a utilizzarla fino agli anni Venti del 1900, costringendo la Santa Sede a utilizzare la Torre Gregoriana presente dentro il Vaticano.
Nel 1829 Feliciano Scarpellini, abate e astronomo, personalità complessa e multiforme che operò tra il Settecento e l’Ottocento in diversi ambiti scientifici, contribuendo in prima persona alla ricostituzione dell’Accademia dei Lincei, inaugurò la Specola Capitolina, che ubicata sul palazzo senatorio svolse un importante ruolo fino all‘inaugurazione dell’Osservatorio di Monte Mario, avvenuta nel 1938. Tuttavia, l’espansione dell’Urbe creò problemi all’attività degli osservatori, che il Vaticano risolse spostando la specola a Castel Gandolfo nel 1935, mentre per quanto riguarda i due osservatori di proprietà de Regno d’Italia la decisione fu molto più sofferta. Giuseppe Armellini, direttore dell’Osservatorio Capitolino dal 1923, voleva realizzare una nuova struttura a Monte Mario, scelta che incontrava l’opposizione di molti astronomi, a causa dell‘eccessiva vicinanza con una Capitale in rapida espansione demografica. Il nodo gordiano fu risolto grazie all’intervento di Adolf Hitler che, in occasione del suo viaggio in Italia, offrì in dono a Benito Mussolini un osservatorio astronomico completo, costituito da tre grandi telescopi e da tutto il corredo di strumentazione ausiliaria. Mussolini, con questo dono, riuscì a superare l’impasse che si trascinava da anni perché Giuseppe Armellini ottenne il suo osservatorio a Monte Mario ed Emilio Bianchi, il fiero oppositore della soluzione “romana”, il suo Osservatorio Nazionale a Monte Porzio.
Ma la guerra sconvolse ogni piano e nel 1948 Giuseppe Armellini ottenne, con un decreto governativo, l’accorpamento dell’osservatorio astronomico di Monte Porzio a quello di Roma, il quale, tuttavia, non sarebbe mai diventato un osservatorio. Oggi queste due strutture, Castel Gandolfo e Monte Mario, non sono più operative; altri luoghi in Italia e soprattutto nel pianeta sono più adatti all’osservazione del cielo, ma grazie a questo libro è possibile conoscere i luoghi dell’astronomia romana che
si trovano disseminati lungo un percorso nel quale ancora oggi si possono ritrovare i segni di Osservatori Astronomici che sono stati attivi e che, per la loro natura, restano nascosti e misteriosi.

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