Dopo la polemica divampata nel weekend sul monologo di Antonio Scurati in occasione del 25 aprile, censurato dalla Rai e poi letto ad alta voce da scrittori, intellettuali e giornalisti, vi proponiamo un’analisi dettagliata del testo e dei riferimenti storici proposti.
L’antefatto è ormai noto: Antonio Scurati, Premio Strega 2019 con M. Il figlio del secolo un libro che fu definito dal New York Times come una “lezione di antifascismo sottoforma di romanzo”, doveva leggere un monologo in occasione del programma Che sarà in onda su Rai 3 condotto dalla giornalista Serena Bortone.
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Peccato che l’intervento, all’ultimo, sia saltato senza giustificati motivi, all’insaputa della stessa conduttrice che ha deciso di reagire denunciando il fatto tramite i social attraverso un post Instagram.
La stessa Bortone, dopo essersi battuta accendendo i riflettori sulla causa, ha deciso di leggere ad alta voce il monologo in apertura di puntata affermando: “Me lo ha regalato lo scrittore”, in aperta sfida con chi tuttora fa appello al presunto “costo” del testo. Nel frattempo il monologo censurato era già diventato un caso mediatico: scrittori, intellettuali e giornalisti italiani ne avevano ripreso il testo integralmente, leggendolo ad alta voce in video diventati virali sui social.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni, in un’astuta operazione comunicativa, ha deciso di riprendere lei stessa il testo del monologo sui suoi profili social, attribuendo la mancata messa in onda a un problema di cachet. Immediata la reazione di Scurati:
“La informo che quanto lei incautamente afferma (...) è falso sia per ciò che concerne il compenso sia per quel che riguarda l’entità dell’impegno”.
Lo scrittore non ha mancato di definire la risposta di Meloni come una dichiarazione denigratoria nei confronti di un privato cittadino, aggiungendo che si tratta di una violenza - seppure non fisica - pur sempre di una violenza. Nella conclusione del suo messaggio Scurati ha di nuovo posto l’accento sulla libertà di pensiero, formulandola stavolta attraverso una domanda: “è questo il prezzo da pagare?” riferendosi al pubblico ludibrio cui è stato esposto tramite certe dichiarazioni diffamatorie e infondate.
L’attualità del monologo di Scurati e della letteratura resistenziale
Il caso del monologo di Scurati è un fatto interessante nel panorama letterario, non solo dal punto di vista politico. Apre una riflessione sulla cosiddetta letteratura resistenziale, sul ruolo più che mai attuale della letteratura del dissenso.
Da molto tempo la letteratura è stata relegata nel suo asettico castello di cristallo, trincerata in un mondo astratto e lontano dalla storia attuale: niente più proclami, né manifesti, pochi e scarni gli interventi incisivi sul presente e più diffusi invece quelli riguardanti il passato, da leggere e rileggere come lezione o come un promemoria. Gli scrittori scrivono libri come si scrivono favole, la letteratura pare epurata dal punto di vista politico, dal motivo per cui - a tutti gli effetti - è nata, ovvero la riflessione sul tempo, la storia, la percezione di uno stato d’animo sia individuale che collettivo.
Gli intellettuali sembravano aver perso la capacità di raccontare il presente nel momento in cui accade limitandosi ad ammantare di pregio una narrazione storica, poiché l’attualità viene ancora ritenuta come “fenomeno effimero e transitorio”, non degno poi molta importanza rispetto alla forza granitica - perché ormai risolta - del passato. Luperini la definiva la “letteratura del disimpegno”, causata dall’esaurimento ideologico del postmoderno. Oggi non c’è più la letteratura di Pasolini, la sua incisività, la sua audacia, lo spirito di denuncia dello scrittore corsaro che ancora illuminava con la forza di una parola - ora lo sappiamo - profetica nel denunciare la deriva del capitalismo e delle mode e della perdita della riflessione intellettuale. Ed ecco che, quando ormai lo stato di salute della letteratura italiana sembra essere ridotto al bestseller di turno, qualcosa si muove nel castello di cristallo del mondo delle Lettere e vengono partorite iniziative interessanti, come il monologo di Scurati. Allora, forse, la letteratura italiana non ha ancora perduto la sua capacità di dire e farsi manifesto, la sua intrinseca forza militante.
Dov’erano gli scrittori durante il Fascismo? Molti silenziati, repressi, costretti ad abbandonare i loro ruoli: pensiamo a Montale, che fu licenziato in tronco dalla direzione del Gabinetto di Viesseux di Firenze; ad Alba de Céspedes, processata per il suo romanzo d’esordio Nessuno torna indietro e posta sotto il controllo della polizia sino alla caduta del regime; altri, come Umberto Saba, si confinarono nel silenzio per non subire lo scempio delle persecuzioni; altri ancora, come l’editore Piero Gobetti, definito da Mussolini un “insulso oppositore”, pagarono il dissenso con la morte.
C’erano anche gli intellettuali schierati, come il filosofo Benedetto Croce, che il 1° maggio 1925 pubblicò su Mondo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, in risposta al manifesto fascista di Giovanni Gentile pubblicato in occasione del Natale di Roma, in cui ribadiva la forza morale della libertà dell’individuo. Il manifesto crociano ebbe inizialmente 48 firmatari, tra i quali figuravano il poeta Eugenio Montale, Matilde Serao, Luigi Einaudi, Carlo Cassola, Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Luigi Albertini e molti altri.
Se dobbiamo dunque guardare a un precedente del monologo di Scurati, inteso come un’azione politica di dissenso letterario, dobbiamo risalire al manifesto crociano di ben 99 anni fa che, lo ricordiamo, all’epoca stava denunciando un fenomeno ancora agli albori.
Vediamo ora più nel dettaglio il testo integrale del monologo di Scurati.
Il monologo di Antonio Scurati: un’analisi
Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924.
Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini.
L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.
Il monologo di Scurati si apre con la narrazione incisiva dell’evento che la storia pone all’origine dell’ascesa del Fascismo: l’assassinio dell’onorevole socialista Giacomo Matteotti, per mano di una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini, che di fatto pose l’avvio alla nascente dittatura di Mussolini.
Si tratta di uno di quegli eventi spartiacque nella storia, dal quale si susseguono a catena - irrefrenabili - una serie di conseguenze ingestibili, pari a una valanga, come l’assassinio del duca Francesco Ferdinando a Sarajevo che diede avvio alla Prima guerra mondiale o, andando più indietro nel tempo, la congiura contro Giulio Cesare nelle Idi di Marzo. La descrizione dell’efferato omicidio di Matteotti, che spesso i libri di storia riducono a una semplice data e alle sue conseguenze, intende sottolineare come l’ascesa al potere di Mussolini abbia tratto origine da un atto di violenza, da mani macchiate di sangue e da una “illacrimata” - per dirla con Foscolo - sepoltura.
Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
Perfettamente descritta anche l’ipocrisia di Mussolini che reagì al fatto con false rassicurazioni. Tutto ciò tende ad enfatizzare la duplicità diabolica del Duce, il suo machiavellismo: Mussolini “giura alla vedova”, proprio come Giuda. Nella sua narrazione, letteraria ma attinente ai fatti, Antonio Scurati fa del Duce un personaggio a tutto tondo, getta luce sulla complessità di una figura subdola che agisce con piena consapevolezza del suo ruolo e con ciò che da quel ruolo, di fatto, istituzionalmente ci si aspettava.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Ecco la prima climax del monologo: il collegamento tra passato e presente. Dai fatti del giugno 1924 si giunge alla “falsa” primavera di cento anni dopo, nel tempo attuale. L’aggettivo “falsa” non è casuale: si allude all’ipocrisia con cui oggi si guarda alla Festa della Liberazione. Cosa dovremmo ricordare nel 25 aprile? Il motivo per cui si festeggia la Liberazione da un regime oppressivo, dittatoriale e violento. Lo scempio compiuto da Mussolini, non solo macchiandosi le mani del delitto Matteotti, ma anche delle stragi delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), Sant’Anna di Stazzema (12 agosto 1944), Marzabotto (19 settembre - 4 ottobre 1944). Di nuovo Scurati non fa sconti nel sottolineare l’efferatezza delle stragi, l’innocenza delle vittime (tra cui viene posto l’accento sui bambini) e le modalità atroci con cui i delitti furono compiuti.
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La decisione di collegare l’assassinio di Matteotti alle stragi del 1944 è una precisa presa di posizione, anche contro un governo che ha voluto attribuire le stragi unicamente ai nazisti, tralasciando la comprovata collaborazione fascista. La strage delle Fosse Ardeatine oggi è considerata una sorta di Olocausto italiano. Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema ebbe inizio, lo ricordiamo, la cosiddetta “Marcia della morte” con il preciso intento di fare terra bruciata della resistenza partigiana sul territorio. Fu anche sterminata, di fatto, la popolazione civile considerata “colpevole” di aver sostenuto o di aver collaborato con i partigiani nelle azioni di guerriglia.
Queste due concomitanti ricorrenze luttuose - primavera del ’24, primavera del ’44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?
Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.
Il ventennio fascista viene quindi riassunto efficacemente in due date: primavera del 1924 e primavera del 1944, a indicare che iniziò con una strage e con una strage si concluse, nacque nel sangue e finì nel sangue. Da qui la conseguente definizione di Fascismo come “fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista”. Scurati pratica un ragionamento matematico, seguendo una logica dimostrativa. Uno schiaffo a chi ancora oggi prova a definire il 25 aprile come una “festa divisiva”, oppure osserva con sentenziosità che “Mussolini ha fatto anche cose buone”; certo, come consolare la vedova di Matteotti nascondendo dietro la schiena il pugnale insanguinato, potremmo dire oggi sopprimendo un risolino di sdegno.
Nel suo discorso Scurati si premura di dire che il fascismo è nato nella violenza e che nella violenza si è perpetrato in un’escalation drammatica. C’è poi il collegamento diretto all’oggi, con un’invettiva molto diretta nei confronti di un governo che si rifiuta di ripudiare un passato neo-fascista, a partire (anche se il monologo non lo dice) dalla fiamma tricolore di matrice fascista scelta come simbolo di partito, sebbene utilizzata con un simbolismo diverso.
Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).
L’accusa di Scurati diventa quindi diretta, l’appello al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è inequivocabile. Lo scrittore riprende le parole di Meloni, ribadendo la connotazione neofascista della sua cultura. La presidente, osserva Scurati, si è limitata a prendere le distanze dalla persecuzione contro gli ebrei e dagli atti più efferati del regime, tuttavia non ripudia il ventennio fascista nel suo insieme. Sino all’accusa più grave, proprio in occasione del 25 aprile, aver disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza - ciò che di fatto si dovrebbe celebrare in occasione della Liberazione, ovvero l’importanza della lotta partigiana.
Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.
Il monologo si chiude con una sfida: pronunciare apertamente la parola “antifascismo”. È interessante notare che Antonio Scurati, un intellettuale, uno scrittore, ponga l’accento sull’importanza delle parole: dalla capacità di dare un nome alle cose ha inizio il cambiamento. Questo è l’insegnamento all’origine di tutta la letteratura: dare un nome alle cose per poterle così spiegare, ordinare, dare ad esse un senso. Nella parola “antifascismo” è racchiusa un’implicita componente di denuncia, una palese presa di distanza, una forma di opposizione.
Scurati ne riafferma con orgoglio il significato e il valore, attraverso una marcia fatta soltanto di parole che tuttavia noi vediamo camminare con orgoglio e che in questi giorni ha sfilato nelle menti - e nelle case - di tutti gli italiani. Sono stati in tanti a pronunciare il monologo di Scurati ad alta voce, proclamandolo come un inno, comprendendo che aveva necessità di essere udito. La chiusa del testo è degna di nota perché presenta la democrazia come una diretta conseguenza dell’antifascismo, dunque imprescindibile da esso e dalla presa di coscienza di questo concetto capitale.
Il 25 aprile è caduto in anticipo quest’anno.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il monologo di Antonio Scurati per il 25 aprile: un’analisi del testo integrale
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