Il percorso spirituale di Ada Negri
- Autore: Pietro Zovatto
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2009
Il percorso spirituale di Ada Negri è un saggio di Pietro Zovatto, edito nel 2009 a cura del Centro Studi Storico-Religiosi del Friuli Venezia Giulia di cui Zovatto è fondatore. La prefazione è della docente universitaria Cristina Benussi.
Ada Negri è stata dimenticata ingiustamente per troppi decenni. Le ricerche rigorose condotte in ambito religioso sono rivolte sia ai credenti che ai non credenti. Costituiscono un patrimonio storico e spirituale inalienabile e necessario per individuare la nostra “radiografia”, per scoprire il nostro vero volto, per poi proseguire nella costruzione di noi stessi e della società nella direzione più consona e secondo valori condivisi. Senza conoscenza infatti l’uomo cos’è? Può scadere in un abbrutimento non auspicabile e in una confusione che purtroppo caratterizza il tempo presente. Ben venga dunque la riscoperta di una scrittrice e poetessa che ha fatto del cammino mistico la sua poetica essenziale.
La Negri si volge all’interno di sé, secondo il magistero di Agostino che il prof. Zovatto ben sottolinea, per trovare e congiungersi con il Deus Absconditus, Dio Persona trascendente la creatura ma immanente a essa come Spirito Creatore.
Tutta la produzione della poetessa è fortemente introspettiva, secondo canoni classici e modalità che si rifanno ad Agostino, a Teresa d’Avila, a Teresina del Bambin Gesù, tanto per citare le più amate da Ada. Ma i temi della nostra autrice hanno tutte le caratteristiche della modernità: le sue poesie sono attraversate dall’ansia tipica della nostra epoca, dalla grande malattia della solitudine, sublimata.
Ada Negri attraversa la notte oscura dell’anima, direbbe san Giovanni della Croce, vive la sua estraneità e il suo distacco dal mondo per approdare a un recupero dell’intera vicenda umana, a una splendida serenità interiore nell’unione con l’amato, per lei il Dio Gesù, il Crocifisso, e ritrova la forza per procedere e andare e stare e restare nel mondo come contemplatrice orante, dunque co-salvatrice dell’umanità.
Con meticolosità di studioso, ma pure con l’afflato del poeta e del mistico, Pietro Zovatto guida, incantando con la bellezza della sua prosa, nel labirinto e negli abissi del cuore di Ada Negri. Egli spazza il campo dagli equivoci e dalle incomprensioni che hanno spesso inficiato l’esegesi e la valutazione dell’opera poetica complessiva di Ada Negri.
Brevemente, a livello biografico, ricordiamo che l’artista nasce a Lodi nel 1870 da una famiglia modesta. Il padre è un vetturino etilista, muore quando Ada ha appena un anno; la madre è tessitrice e lavorando duramente in fabbrica riesce a far studiare la figlia, la quale conseguirà il diploma di maestra. Tale realtà segnerà per sempre l’animo di Ada, riempirà di un lirismo socialista la sua prima produzione poetica, già di grande spessore e di ottima fattura formale.
Le raccolte di versi Fatalità e Tempeste procurano alla giovanissima autrice un successo popolare immediato e vasto. La critica fin dagli esordi non è unanime e spesso non si rivela tenera nei suoi riguardi. Pirandello e Croce la avverseranno, mentre troviamo schierati al suo fianco altri nomi eccellenti come Albini, Pancrazi, Matilde Serao e le femministe, e soprattutto Montale. Suoi fini estimatori sono Silvio Benco e padre Giulio Barsotti, suo direttore spirituale. Di questi ultimi il prof. Zovatto include nel libro la vasta e in parte inedita corrispondenza epistolare intrattenuta con la poetessa.
Le critiche malevole rivolte ad Ada sono tutte, immancabilmente, viziate dall’ideologismo e dal maschilismo. Né Croce né Pirandello possono ammettere l’esistenza di una donna artista e intellettuale. In particolare alcuni passi del Croce sono di sapore misogino e addirittura offensivi. Si tratta di invettive che il prof. Zovatto riporta per amore di verità, con finezza e partecipazione verso la nostra autrice.
La critica è rivolta a due raccolte amorose di Ada Negri, Il libro di Mara del 1919 e I Canti dell’isola del 1925, scritti negli anni successivi alla separazione coniugale della Negri dal marito e anche frutto di una seguente e tormentata relazione. Ecco le espressioni di Benedetto Croce: Il libro di Mara è "fremito patologico", "senso animale della femmina che si lascia possedere dal maschio", e riguardo a I Canti dell’isola Croce afferma che "dalla convulsione della libidine delusa si passa all’ebbrezza della natura lussuriosa".
Nulla di più lontano dalla sensibilità calda e finissima di Ada Negri, che semmai è anticipatrice della libertà del sentire e del dire femminile, inconsueta allora, come
"Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio, / e le dicesti, piano, già sopra di lei: “Non ti vedo, ti sento”. / E la ghermisti con artiglio d’aquila, e tutta la costringesti nella tua forza, / riplasmandola in te con tal furore ch’ella perdette il senso di esistere".
Per lo stesso motivo anche la Civiltà Cattolica condanna questi libri di fattura squisita. Anzi gli esponenti più miopi del cattolicesimo di allora avversano la scrittrice per le sue posizioni socialiste e vorrebbero combattere in lei un presunto e inesistente ateismo. Zovatto dimostra ampiamente come invece la Negri sia stata sempre una credente e credente teista; ne è riprova tutta l’opera poetica.
Ritorno ai cenni biografici: dopo una copiosa produzione letteraria in versi e in prosa, sempre di grande successo, nel 1931 Ada Negri riceverà il Premio Mussolini alla carriera.
Esiste un carteggio Negri-Mussolini, nel quale è testimoniata l’amicizia fra i due personaggi. Oggi sinceramente non ce ne stupiamo, se consideriamo i legami di idealità che unirono negli Anni Venti la “vergine rossa” e il futuro dittatore, allora anche lui socialista a Milano a fianco di Turati e Anna Kuliscioff. Anche con A. K. e con Filippo Turati la Negri conservò sempre amicizia. Non ci stupiamo se valutiamo che un regime si avvale sempre dei nomi illustri della nazione e se ne gloria quasi fossero sue creazioni. Per di più, Mussolini nutriva una sincera venerazione per l’antica compagna di battaglie da lui tradite, covando una nostalgia per quanto aveva rimosso, suo patrimonio genetico, dato che il padre di Mussolini era stato un socialista fervente, sepolto avvolto dalla bandiera rossa. Certe esperienze non si cancellano mai, neppure volendo negarle con ferocia.
Ada Negri fu sempre contraria alla guerra e ne soffrì come se i bombardamenti riguardassero la sua carne.
L’artista anziana, sola e dimenticata, lontana da ogni trionfalismo di regime, morirà a Milano nel 1945, nell’oblio prima subito e in seguito coltivato come ascesi, dopo aver goduto la popolarità di una diva nei suoi anni d’oro. Ma ciò era quanto lei stessa alla fine desiderava.
Il prof. Zovatto, in relazione alla poesia giovanile Mistica, sottolinea che in essa è presente non unicamente una devozionalità intensa e popolare, ma anche e soprattutto che esistono i semi di quella che nel gergo tecnico del cammino mistico si chiama disappropriazione, e ben chiarisce il professore:
"cioè distacco da sé per lasciarsi investire totalmente da Dio con l’anima libera dalle umane passioni".
Significativa a tal riguardo l’ultima strofa della lirica, ambientata in una chiesa a Lodi:
"Ed una voce su la bocca: “Io t’amo”, / le disse, ed ella pianse… / Un angelo dall’alto la compianse; / sull’altare una lampada / s’infranse".
Facile a dirsi, difficilissimo ad attuarsi. La Negri esprime il suo vertiginoso sentiero ascetico nel bellissimo pezzo di prosa dedicato al Crocifisso rotto, un’icona monca ritrovata in un cassettone di una villa gentilizia che l’artista non volle mai far restaurare, per indicare proprio la mutilazione, la sofferenza cristica e la redenzione del Salvatore compiuta nell’assumere su di sé ogni dolore. Ella è là, "sola con te solo". La stessa croce brama su di sé Ada, non diversamente da Teresina del Bambin Gesù, quando chiede di poter restare, in un’altra lirica, per sempre dopo la morte, accanto all’uomo "piegato sulla zolla, gravido di peccato".
E quale sia il peccato oggi, lo sappiamo bene: è la mancanza sempre più drammatica di comunicazione e di apertura, di accoglienza e accettazione dell’altro, in un mondo di apparente e facilissima comunicazione tecnologica, ma chiuso e ripiegato nell’egoismo razziale e nel tornaconto del dio denaro.
Il prof. Zovatto analizza in profondità l’ultima raccolta poetica della Negri, pubblicata postuma, Fons Amoris, dal cui titolo, la scaturigine dell’Amore, si evince chiaramente il congiungimento dell’autrice con l’Origine del cosmo. Nel testo Forse, contenuto in Fons Amoris, possiamo scoprire un’eco dell’Infinito leopardiano, un perdersi in quel Tutto misterioso che alla ragione appare come Nulla, in quanto non definibile con altre parole:
"Se tu m’incontrerai, / nell’altra vita, il tanto amato sguardo / più non si fisserà, forse, nel mio. / Mi sfiorerai senza vedermi, assorto / e grave, ed io non oserò chiamarti. / Né mi verrà dolore / da ciò. Tutto sarà senza memoria / e senza peso: tutto che nel mondo / fu, sarà nulla: polvere di stelle".
Esiste una differenza abissale tra il nulla dei nichilisti, che non si appoggia a nulla appunto e non crede più in nulla, e il Nulla dei mistici, della teologia negativa come si dice, tipica di san Giovanni della Croce, di Meister Eckart, per i quali il Nulla di conosciuto è quel Dio che ama, e, per dirla con Ada Negri, è "polvere di stelle" ovunque presente. Una metafora certo, ma pure un quid di cui la scienza moderna dell’ultima ora si sta facendo carico: è la “particella di Dio” così denominata dai fisici delle particelle subatomiche.
Piace pensare che Ada Negri, alla fine della vita, nella sua estasi, svanita in polvere di stelle, si sia congiunta al primo Fiat biblico, alla particella di Dio. Come sembra possa accadere nel famoso verso di Montale, carico di misticismo “laico” ma della stessa qualità del sentimento di ogni mistico:
"Svanire è dunque la ventura delle venture".
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