Il primo giorno di scuola è l’evento che apre il capolavoro di Edmondo de Amicis, il libro Cuore. Narrando questa giornata, così particolare e animata di un fermento vivacissimo e tutto suo, lo scrittore ci trascina nella sua splendida storia che ha educato intere generazioni ai valori della solidarietà, del rispetto, della fratellanza. Il primo giorno di scuola può essere visto alla stregua di un evento naturale, come la migrazione delle rondini, o di un rito sociale consolidato: ha la stessa ripetitività degli anniversari fissi e si ripropone, di anno in anno, con la stessa immutabile sequela di preparativi, che è pervasa di nostalgia per chi è ormai cresciuto e a scuola non ci deve più tornare.
Cuore è ambientato in una scuola elementare di Torino, all’indomani dell’Unificazione d’Italia. Il protagonista è un bambino di terza elementare, di nome Enrico Bottini, che prende nota nel suo diario di tutto ciò che accade durante i dieci mesi di scuola, dall’ottobre 1881 al luglio 1882, alternando gli avvenimenti alle lettere inviate ai parenti e ai racconti che il suo maestro, Giulio Perboni, legge e fa ricopiare agli alunni.
I racconti di Cuore ebbero un immediato successo nell’Italia postunitaria, in quanto riflettevano appieno gli ideali di quel tempo; mentre oggi alcuni insegnamenti ci appaiono obsoleti e alcune divisioni sociali - tra il borghese e il figlio del ferroviere, ad esempio - risultano discriminatorie. Dobbiamo dunque leggere il libro di De Amicis come uno spaccato dell’Italia di allora e trarne la morale migliore. Il primo giorno di scuola di Enrico fa sorridere, oggi come ieri, perché vi ritroviamo il ritratto perfetto di tanti studenti.
Sarebbe bello se oggi, nel primo giorno di scuola, tutti i giovani scolari iniziassero a tenere un diario come il piccolo Enrico Bottini. La maniera in cui De Amicis descrive l’atmosfera di questo fatidico “primo giorno” è estremamente moderna, nonostante siano passati diversi anni da allora e la scuola non sia più quella di una volta. Ma nei sospiri del piccolo Enrico, nel suo rimpianto dell’estate tutti possono riconoscersi. “Ancora nove mesi!” borbotta tra sé il piccolo protagonista di Cuore, pensando a quanti esami lo attendono, quante verifiche, quante fatiche! Quello che Enrico non ha ancora realizzato, data la sua giovane età, è tutta la vita che quei nove mesi di scuola portano con sé. Non saranno solo le nozioni apprese sui banchi di scuola a farlo crescere, ma soprattutto i rapporti umani instaurati con i compagni, il maestro e tutta quella brulicante umanità che fa parte del sistema scolastico.
Tenerissimo, in questa prima scena che apre il libro Cuore, il gesto della madre che posa una mano sulla spalla del piccolo scolaro e gli dice:
Coraggio Enrico! Studieremo insieme.
Un gesto di incoraggiamento necessario che forse toccherà a molte madri in questo primo giorno di scuola.
Il primo giorno di scuola secondo Edmondo de Amicis
Link affiliato
Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola s’accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra la porta.
Siamo nell’ottobre 1881. Edmondo De Amicis apre il suo romanzo con una descrizione formidabile del primo giorno di scuola che improvvisamente rompe l’incanto - e l’ozio - dei lunghi tre mesi di vacanza. L’atmosfera è elettrica e le strade brulicano di studenti vocianti e animati, così scalpitanti che neppure il bidello riesce a tenerli a bada all’entrata di scuola. Intanto genitori si affrettano ad acquistare nelle botteghe di paese il materiale scolastico mancante: quaderni, diari, zaini, prima dello squillo della fatidica prima campanella. Intanto Enrico sbuffa, pensa alle vacanze trascorse in campagna, e realizza che lui a scuola non ci vuole tornare. Ci va, come si dice, di “malavoglia”.
Vicino alla porta, mi sentii toccare una spalla: era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi capelli rossi arruffati, che mi disse: — Dunque, Enrico, siamo separati per sempre? — Io lo sapevo bene; eppure mi fecero pena quelle parole. Entrammo a stento.
Signore, signori, donne del popolo, operai, ufficiali, nonne, serve, tutti coi ragazzi per una mano e i libretti di promozione nell’altra empivan la stanza d’entrata e le scale, facendo un ronzio che pareva d’entrare in un teatro.
Lo rividi con piacere quel grande camerone a terreno, con le porte delle sette classi, dove passai per tre anni quasi tutti i giorni. C’era folla, le maestre andavano e venivano. La mia maestra della prima superiore mi salutò di sulla porta della classe e mi disse: — Enrico, tu vai al piano di sopra, quest’anno; non ti vedrò nemmen più passare! — e mi guardò con tristezza.
Il Direttore aveva intorno delle donne tutte affannate perchè non c’era più posto per i loro figlioli, e mi parve ch’egli avesse la barba un poco più bianca che l’anno passato. Trovai dei ragazzi cresciuti, ingrassati. Al pian terreno, dove s’eran già fatte le ripartizioni, c’erano dei bambini delle prime inferiori che non volevano entrare nella classe e s’impuntavano come somarelli; bisognava che li tirassero dentro a forza; e alcuni scappavano dai banchi; altri, al veder andar via i parenti, si mettevano a piangere, e questi dovevano tornare indietro a consolarli o a ripigliarseli, e le maestre si disperavano.
Nel momento in cui Enrico fa il suo ingresso a scuola sembra sollevarsi il sipario di un palcoscenico: nella folla si scorgono i personaggi più disparati, appartenenti alle più diverse classi sociali. C’è un gran chiasso e il piccolo Enrico ritrova con nostalgia la sua vecchia classe, rivede il vecchio maestro e d’improvviso prova un poco d’affetto per quella scuola in cui si recava malvolentieri. Scopriamo che De Amicis ci descrive la scuola come un piccolo mondo a sé stante, con le sue regole, le sue leggi scritte o implicite, il suo ordinamento noto solo a chi vi vive. La verità è che nel mondo della scuola, anno dopo anno, gli alunni crescono e cambiano e diventano sempre un poco più grandi. Enrico osserva compiaciuto le differenze tra sé stesso e gli alunni di prima elementare che piangono e non vogliono separarsi dai genitori. Nota il direttore invecchiato, con la barba più bianca, e osserva incuriosito la disperazione delle maestre.
Il mio piccolo fratello fu messo nella classe della maestra Delcati; io dal maestro Perboni, su al primo piano. Alle dieci eravamo tutti in classe: cinquantaquattro: appena quindici o sedici dei miei compagni della seconda, fra i quali Derossi, quello che ha sempre il primo premio. Mi parve così piccola e triste la scuola pensando ai boschi, alle montagne dove passai l’estate! Anche ripensavo al mio maestro di seconda, così buono, che rideva sempre con noi, e piccolo, che pareva un nostro compagno, e mi rincresceva di non vederlo più là, coi suoi capelli rossi arruffati. Il nostro maestro è alto, senza barba, coi capelli grigi e lunghi, e ha una ruga diritta sulla fronte; ha la voce grossa, e ci guarda tutti fisso, l’un dopo l’altro, come per leggerci dentro; e non ride mai.
Io dicevo tra me: — Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi. Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche! — Avevo proprio bisogno di trovar mia madre all’uscita, e corsi a baciarle la mano. Essa mi disse: — Coraggio Enrico! Studieremo insieme. — E tornai a casa contento. Ma non ho più il mio maestro, con quel sorriso buono e allegro, e non mi par più bella come prima la scuola.
Enrico viene inserito nella classe del maestro Perboni, che sarà uno dei grandi protagonisti - e narratori - del libro Cuore. Sorprende constatare l’alto numero di alunni in una sola classe: cinquantaquattro, una cifra che oggi ci farebbe impallidire. Modernissima anche l’osservazione piccata di Enrico che guarda con malcelata invidia il compagnuccio Derossi, che tanto ha sempre il primo premio; un Derossi, in fondo, c’è sempre, in ogni classe.
Il piccolo studente di Cuore pensa con rimpianto alle vacanze e alla libertà perduta mentre osserva questo maestro grigio, con la voce grossa, che non ride mai. Ma presto imparerà a conoscerlo e a ridere con lui. Ora la scuola, con quel nuovo maestro sconosciuto, non gli sembra più bella e subito corre a cercare conforto nell’abbraccio della madre all’uscita. Inevitabile provare tenerezza per il piccolo Enrico, per le sue ansie bambine che sono le stesse degli studenti oggi e probabilmente anche di quelli di domani.
Il libro Cuore e la rivoluzione della scuola
Edmondo De Amicis, lo ricordiamo, era un esperto di pedagogia - tra le sue opere più note, oltre a Cuore, vi è anche Il romanzo di un maestro.
Cuore è un libro fortemente pedagogico, dall’impianto educativo, che trabocca in ogni pagina di insegnamenti, buoni esempi, regole da seguire. Per questo motivo Cuore, insieme a Pinocchio di Carlo Collodi, divenne il libro per eccellenza dell’Italia post-unitaria.
Cuore di Edmondo De Amicis fu pubblicato nel 1886 dai Fratelli Treves ed ebbe un immediato successo di pubblico.
Quella narrata da De Amicis era una scuola pioneristica, perché era la scuola dell’Italia postunitaria in cui si cercava di sconfiggere l’analfabetismo e trovare la coesione “patriottica” attraverso una lingua comune. I libri vengono presentati dal maestro come armi, la classe viene proposta come una squadra.
Forse dovremmo ancora vedere la scuola in questa prospettiva, ovvero come un veicolo di solidarietà e unione sociale e non come un luogo in cui formare diseguaglianze e fomentare la competizione:
I tuoi libri sono le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana.
La scuola di Edmondo De Amicis
La scuola narrata da De Amicis esiste davvero. La sezione Baretti è un nome di fantasia che non corrisponde ad alcuna scuola torinese dell’epoca, tuttavia è possibile identificarla, data l’epoca e la collocazione con la sezione Moncenisio della scuola Bomcompagni di Torino, prima situata in via Doragrossa 51, poi trasferita in via della Cittadella 3.
Antiche fotografie d’archivio oggi confermano la descrizione che ne fa De Amicis nelle prime pagine del libro: le aule distribuite su due piani, sette al piano terra e sette al secondo piano; un grande atrio; la stanzuccia del bidello. All’esterno la scuola è ancora maestosa, con grandi finestre, come tutti i palazzi storici dell’Ottocento.
Così doveva vederla anche il piccolo Enrico Bottini in quel primo giorno di scuola dell’ottobre 1881.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il primo giorno di scuola secondo Edmondo De Amicis nel libro “Cuore”
Lascia il tuo commento