Ci sono opere letterarie, ormai assurte alla categoria di classici, che oggi leggiamo e rileggiamo continuamente, le abbiamo sempre sotto gli occhi e le ritroviamo citate in ogni dove; eppure, a pensarci bene, in altre circostanze avremmo potuto non leggerle. Una di queste è I fiori del male, capolavoro poetico di Charles Baudelaire, cui toccò una sorte non poi molto diversa dalla Madame Bovary di Gustave Flaubert.
Come accadde a molti altri grandi artisti del suo tempo, l’eredità letteraria di Charles Baudelaire fu apprezzata solo dopo la sua morte. Il poeta maledetto della letteratura francese morì a Parigi il 31 agosto 1867, a soli quarantasei anni, debilitato nel corpo dall’abuso di alcol e dalla paralisi cui lo avevano costretto due ictus. Solamente allora, dopo il tramonto dell’uomo, il mondo intero scoprì il valore autentico dell’opera che aveva condannato.
Anni prima, quando lo spettro della malattia era ancora lontano, nell’agosto del 1857, un giovane Baudelaire fu chiamato alla sbarra del tribunale con l’accusa di insulto alla morale pubblica. Nel mese precedente tutte le copie del suo libro, I fiori del male (erano in totale 1300, Ndr), furono confiscate dalle librerie. Inoltre l’autore venne messo alla berlina da tutti i critici letterari sui principali giornali nazionali, tra cui Le Figaro sulle cui colonne si condannò a gran voce l’oscenità dei suoi versi.
Il motivo? I componimenti del poeta francese rappresentavano una forte rottura rispetto alla poesia tradizionale, inoltre affrontavano temi cupi, scabrosi, che all’epoca vennero letti come un’offesa al buoncostume. La poesia dei Fiori del male parlava all’uomo moderno e ai suoi malesseri interiori, guardava già alla crisi del Novecento; ma il pubblico aristocratico e benestante del glorioso Ottocento questo non poteva capirlo.
Se oggi possiamo leggere Baudelaire, dunque, dobbiamo dire grazie alla giustizia? Scopriamolo insieme.
La colpa di Charles Baudelaire
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La colpa di Charles Baudelaire era quella di essere arrivato con grande anticipo sulla sua epoca. Il pubblico ottocentesco, con la sua morale integra e inscalfibile, non era pronto ad accogliere la modernità dirompente delle sue poesie. Questo straniamento viene rivelato in diverse liriche di Baudelaire, in particolare nelle più famose L’albatros e Il cigno, veri e propri manifesti di poetica in cui l’autore ribadisce l’estraneità del poeta rispetto alla società e al mondo circostante.
Le sue erano poesie di simboli e di corrispondenze - profondamente diverse da tutto quanto era stato scritto in precedenza. Baudelaire si serviva dei simboli per sviscerare le contraddizioni interne dell’uomo e ribaltare i canoni e le leggi sociali negando la morale corrente.
Nell’aula di tribunale, quel 20 agosto 1857, Baudelaire deve essersi sentito fuori luogo proprio come il suo povero albatros stuzzicato e deriso dai crudeli marinai. Ma lui era certo del valore della sua opera. In una lettera scritta alla madre, durante quel periodo tumultuoso, affermava che l’importanza del suo libro stava proprio “nel male che se ne dice”.
I fiori del male di Baudelaire erano una cupa metafora della società moderna: con il titolo della sua raccolta Les fleurs du mal il poeta voleva far riferimento alla bellezza dell’arte (i fiori) che nasceva proprio nei vizi, nei peccati, nelle perversioni di una realtà ben lontana dal divino. Marcel Proust avrebbe lodato l’opera del poeta francese, definendolo “un libro sulla teologia affidato a Satana”.
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Il processo a Charles Baudelaire: difesa e accusa
Il principale nemico dell’opera di Baudelaire è il procuratore imperiale Ernest Pinard, già noto ai lettori per la sua violenta requisitoria contro Madame Bovary. Dopo aver trascinato in giudizio senza successo Gustave Flaubert, ora Pinard era convinto di riuscire nel suo scopo ponendo sotto accusa un’opera piena di riferimenti discutibili. Le poesie di Baudelaire parlavano di amori osceni e contrari alla morale, inneggiavano all’alcolismo e alla decadenza; insomma Pinard aveva pane per i suoi denti. Alla difesa c’era Gustave Chaix d’Est-Anges, un avvocato piuttosto maldestro, che si appellò al fatto che il poeta avesse cantato il vizio con il preciso intento di esorcizzarlo. Anziché focalizzarsi sulle poesie incriminate da Pinard, Chaix d’Est-Anges chiese alla giuria di valutare l’opera nel suo complesso. Baudelaire si trovò in disaccordo con lui e alla fine preferì difendersi da solo.
Come si concluse il processo a Baudelaire?
Ovviamente le cose si misero male. I giudici non trovarono convincente la difesa di quel poeta offeso e strampalato. Lo condannarono per offesa alla pubblica morale al pagamento di 300 franchi di ammenda e impedirono la ripubblicazione delle sei poesie incriminate. Furono condannati anche editore e stampatore.
Baudelaire si appellò alla grazia dell’imperatrice e ottenne un buon compromesso economico: anziché trecento franchi ne avrebbe sborsati solo cinquanta. Le sue tasche furono ricompensate, ma non la sua reputazione. Dopo l’esito del processo le poesie incriminate continuarono a circolare in copie clandestine, mentre il nome di Charles Baudelaire veniva messo alla gogna da tutti i giornali nazionali. Lo accusarono persino di satanismo.
Eliminate le sei poesie bandite dalla corte, i cui titoli erano Lesbos, Femmes damnées, Le Léthé, À celle qui est trop gaie, Les Bijoux e Les Métamorphoses du vampire, la raccolta poetica di Baudelaire tornò a circolare liberamente. In seguito l’autore vi aggiunse altre trentacinque poesie inedite; la nuova edizione dei Fiori del male, con questa integrazione, sarebbe stata pubblicata nel 1861.
I fiori del male di Baudelaire: il destino di un capolavoro
Il processo a Baudelaire mise soprattutto in luce lo sguardo miope di una società e la grande ipocrisia dell’aristocrazia francese. Il libro incriminato circolò soprattutto nei ceti benestanti. Tutti i ricchi francesi avevano una copia dei Fiori del male di Baudelaire, che consideravano un piacere proibito. Il poeta maledetto era dunque il poeta delle élite; mentre i poveri lo guardavano di sottecchi, preferendo tenere nelle loro case una copia consunta dei romanzi di Zola.
Nonostante questo Charles Baudelaire morì in povertà, stremato da due ictus e da tempo malato di sifilide. Al suo funerale erano presenti in pochi; a scortare il feretro c’erano il giovane Paul Verlaine - che aveva intuito il genio di Baudelaire - e il pittore Édouard Manet. Fu sepolto nel cimitero parigino di Montparnasse, senza nessun epitaffio a perpetuarne la memoria.
Oggi la sua tomba è ricoperta di fiori, bigliettini e poesie che si propongono di essere ben più audaci, provocatorie e sovversive della sua scandalosa raccolta.
Come accade sovente in queste questioni di censura, i sei componimenti incriminati in Francia furono pubblicati in Belgio nel 1864 con il titolo di Les Epaves, in italiano “I Relitti”. Le poesie scandalose continuarono insomma a circolare liberamente.
Il 31 maggio 1949, quasi un secolo dopo il processo a Baudelaire, la corte di cassazione annullò la sentenza pronunciata nei confronti del poeta francese. Oggi I fiori del male è un libro letto e studiato nelle scuole di tutto il mondo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il processo a “I fiori del male” di Baudelaire
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